Che cos'è e che cosa vuole il Partito Comunista Internazionalista

Chi siamo?

Il nostro partito non è uno dei tanti partiti nati artificialmente dalla fungaia dell'antifascismo generico, ma è il continuatore diretto del Partito Comunista d'Italia, così come si formò alla scissione di Livorno sulle basi fondamentali delle Tesi del II Congresso dell'Internazionale comunista (1920) ed agì e operò nei suoi primi anni di vita. le basi ideologiche che allora furono gettate rappresentano per noi una realtà permanente, la necessaria linea di demarcazione di ogni partito comunista degno di questo nome. Esse si riassumono nel taglio netto col riformismo, col centrismo e con la tattica della collaborazione, nel principio che l'emancipazione del proletariato può essere ottenuta solo attraverso la presa violenta del potere e l'esercizio della dittatura proletaria contro la classe sfruttatrice, e che la vittoria della rivoluzione comunista è possibile solo su scala internazionale, così come internazionali sono i problemi che agitano la classe operaia di tutti i paesi.

Questi principi, che hanno presieduto alla rivoluzione russa, ma che hanno trovato la loro più lucida espressione nella piattaforma politica del Partito Comunista d'Italia (Tesi di Roma, 1922), sono stati difesi dagli uomini della Sinistra quando ancora reggevano il timone del partito da essi creato e quando, nel 1923, furono arbitrariamente allontanati dalla direzione del partito; lo furono più tardi quando la Sinistra si organizzò in frazione (1927) nell'estremo tentativo di ricondurre il partito stesso e l'Internazionale sulla via maestra tracciata da Lenin; lo sono oggi, da quando l'impossibilità di condividere la politica di compromesso e di adesione alla guerra di tutti i partiti comunisti degeneri consigliò, in pieno conflitto mondiale, il definitivo distacco dal centrismo e la creazione di un partito di classe che, appunto per reazione al bellicismo e opportunismo nazionale del vecchio partito, si chiamo "Comunista Internazionalista".

Sinistri, o semplicemente, comunisti?

Noi siamo la Sinistra italiana nella sua continuità ideologica e organizzativa; e lo riaffermiamo. È stata la Sinistra italiana la prima, fra tutti i partiti dell'Internazionale, a gettare il grido di allarme sugli smarrimenti e sulla successiva degenerazione della III Internazionale; è stata essa, nel lavorio ideologico della Frazione all'estero, a trarre le logiche conseguenze dall'esperienza delle lotte del proletariato nel ventennio dell'altro dopoguerra.

Ma, a chi ci accusa di essere "scissionisti", noi rispondiamo che oggi non esiste più una questione di "sinistra" o di "centro", poiché si tratta, semplicemente, di rimanere sul piano di classe o di abbandonarlo, di essere o non essere comunisti, in altre parole di scegliere fra democrazia progressiva e rivoluzione proletaria. Non diversamente, ventiquattro anni fa, si trattava di scegliere fra il riformismo, il massimalismo e la tattica anti-collaborazionista, anti-pattriottarda e francamente rivoluzionario di Lenin. Non noi abbiamo scisso e scindiamo le forze rivoluzionarie del proletariato, ma coloro che, in piena guerra mondiale, sono stati per l'"unità nazionale" e per la "difesa della patria" e oggi, all'aprirsi della crisi più profonda del regime capitalista, orientano il proletariato verso la legalità borghese e il compromesso politico, anziché verso la rivoluzione.

Trotskisti?

L'etichetta che ci è spesso affibbiata di "trotskisti" è soltanto polemica e quindi falsa: non solo perché non siamo vincolati a nessun nome e a nessuna personalità fisica, per grande che sia, ma perché dal "trotskismo" ci hanno diviso e ci dividono profonde divergenze. Non saremo noi a negare i meriti storici di Trotsky nella realizzazione dell'Ottobre russo e nelle prime e gloriose battaglie dello Stato operaio. Ma siamo stati e siamo noi i primi a riconoscere quanto nel "trotskismo" porta la responsabilità del fallimento dello Stato operaio e dell'Internazionale, e a condannare sia una concezione della tattica e del compromesso che doveva costantemente porlo sullo stesso piano del centrismo internazionale, sia quel concetto della "difesa della patria", anche se proletaria, che rappresenta per noi una frattura ideologica ed organizzativa dell'internazionalismo operaio.

Perciò, mentre ci siamo trovati più volte accanto alla Sinistra russa nella lotta contro le manifestazioni degenerative dell'Internazionale, non abbiamo condiviso né il tono acremente personale della polemica trotskista, né la sua costante tendenza al blocco, e abbiamo ritenuto prematura e viziata nelle sue basi ideologiche la fondazione della IV Internazionale.

La nostra analisi della situazione presente

Nel corso del secondo conflitto mondiale, il nostro partito è stato l'unico raggruppamento operaio a levare la bandiera dell'internazionalismo e della lotta di classe al disopra e contro l'ubriacatura patriottica e collaborazionista degli opportunisti. Ha combattuto la guerra come la più mostruosa manifestazione del capitalismo imperialistico e come un riuscito tentativo di portare decisamente a termine la lotta contro il proletariato, e ha ripugnato così dall'ideologia della "guerra fascista" come dall'ideologia della "guerra democratica". Ha perciò chiamato la classe operaia a combattere il fascismo non con le armi infami della guerra, ma con le armi politiche della lotta di classe, e l'ha messo in guardia contro le manovre di chi, per combattere il fascismo, lo buttava nelle braccia delle democrazie. Per noi la guerra o si concludeva con la sua trasformazione in guerra civile o si sarebbe conclusa con una "pace" borghese sotto etichetta democratica, allo stesso modo che il fascismo o cadeva sotto i colpi della rivoluzione proletaria o avrebbe ceduto i poteri ai rappresentanti in veste antifascista della stessa classe che l'aveva generato.

A questo modo crudamente marxista di analizzare le situazioni storiche i fatti hanno dato ragione. In Italia la lotta eroica contro il fascismo si è conclusa col pacifico trapasso di poteri dalla borghesia fascista a quella democratica, senza modificare le basi della società borghese e i rapporti fra padrone e operaio: sul piano internazionale la guerra si è conclusa, senza l'intervento di fattori rivoluzionari, con la vittoria militare, politica ed economica del capitalismo internazionalmente più saldo, il capitalismo americano.

Ma, mentre constatiamo questo, riteniamo anche che la fine della guerra abbia aperto una fase di profonda crisi borghese, e che in questa crisi il proletariato italiano e mondiale possa inserire la sua lotta finale per il potere. Ad una condizione però: che abbia una guida, la guida di un partito rivoluzionario non compromesso in ibride alleanze politiche e in fallaci combinazioni parlamentari.

Parlamento, costituente o presa del potere?

Il nostro compito è oggi appunto questo: rinsaldare i quadri di un partito che tenda con tutte le sue energie a guidare il proletariato verso la sua rivoluzione. Noi non abbiamo cessato, mentre combattevamo il fascismo, di sfatare le ricorrenti illusioni democratiche: oggi che da tutte le parti si levano inni alla democrazia, non tralasciamo dal mettere in guardia il proletariato contro l'illusione che il potere conquisti attraverso la scheda elettorale o che al socialismo si vada per via legale, a suon di decreti-legge emanati da un governo di maggioranza socialista o centrista.

Allo stesso modo, noi sottoponiamo ai colpi della critica marxista la Costituente, in cui vediamo sia un metodo di consolidamento del regime borghese, sia il tentativo di far arenare nelle secche della legalità e del parlamentarismo la marea montante della rivoluzione proletaria. E se il nostro partito deciderà di partecipare alle elezioni, questa sua decisione sarà mai influenzata dalla preoccupazione di conquistare seggi nelle amministrazioni comunali e provinciali o in parlamento, ma da ragioni di battaglia politica e di difesa dei nostri quadri dalla dittatura della coalizione democratica.

Noi saremo per la partecipazione alle elezioni se la situazione obiettiva non porrà nei prossimi mesi in termini di concrete possibilità pratiche il problema della rivoluzione, ma saremo per l'astensione e il sabotaggio della Costituente se la situazione si evolverà verso un urto diretto fra proletariato e borghesia e tutte le energie della classe operaia dovranno allora essere tese alla conquista rivoluzionaria del potere.

Sindacati e organismi di massa

Noi siamo sempre stati, e rimaniamo, fautori del sindacato unitario e libero, che cioè comprenda tutti gli operai della stessa categoria e, fuori da ogni sudditanza dallo Stato, riconosca a tutte le correnti sindacali la piena libertà di eleggersi i dirigenti. Gli stessi criteri organizzativi rivendichiamo per le commissioni interne e per tutti gli organi analoghi sorti a difesa degli interessi delle maestranze contro gli imprenditori.

Ma, edotti da una lunga esperienza, riteniamo che i sindacati non siano né possono mai essere gli organi genuini della lotta di classe, sia per il prevalere degli interessi corporativi a danno delle finalità politiche in seno ad essi, sia per i vincoli che attualmente li legano allo Stato, né ci illudiamo di poter smantellare nel loro ambito il tradizionale predominio della burocrazia confederale.

Crediamo che, nella fase di crisi economica e sociale che sta aprendosi in Italia e nel mondo, il proletariato dovrà cercare gli strumenti della sua lotta in organismi nati sul posto di lavoro e convoglianti senza interferenze funzionaristiche tutta la massa degli operai. Questi organismi sono i Consigli di fabbrica, che, eletti democraticamente, non infeudati allo Stato né ai sindacati di categoria, rappresenteranno la più viva palestra di formazione politica e rivoluzionaria del proletariato. La più efficace leva per la conquista del potere e, a rivoluzione compiuta, l'organo-base della gestione proletaria delle fabbriche.

Sono questi gli organismi che noi contrapponiamo ai C. L. N. aziendali, organi nati di riflesso dalla politica di collaborazione dei cinque partiti e perciò costituzionalmente legati allo Stato borghese-democratico.

La crisi del dopoguerra e la classe operaia e contadina

I mesi prossimi saranno caratterizzati da una crisi economica che inciderà profondamente sulle condizioni di vita del proletariato e che non sarà superata neppure dal tentativo del gruppo delle potenze capitalistiche vittoriose di ossigenare l'economia italiana e di regolare le concessioni di viveri e di materie prime in funzione di un suo infeudamento alle rispettive economie. L'Italia dovrà affrontare non solo un periodo di carestia e di faticoso trapasso dall'economia di guerra all'economia di pace, ma sarà schiacciata sotto il peso dei debiti contratti dal vecchio regime e di quelli che il nuovo sarà costretto a contrarre. Di questa crisi l'operaio risentirà direttamente come salariato, come consumatore e come contribuente, e non mancherà di agitarsi per quella soluzione dei suoi problemi di vita che nessuna democrazia borghese potrà mai garantirgli.

Il partito lo sosterrà in questa lotta tanto attraverso la propaganda e l'agitazione politica quanto attraverso gli organismi sindacali e di massa, ma non si stancherà di dimostrargli che qualunque "miglioramento" parziale delle sue condizioni di vita è destinato a rimanere illusorio finché non sarà distrutto il regime di sfruttamento del lavoro caratteristico del sistema di produzione borghese.

La crisi avrà violente ripercussioni anche sulla classe contadina e farà presto svanire l'euforia dei facili guadagni realizzati da alcune categorie rurali in regime di guerra. In un paese in cui la classe contadina è composta da un largo strato di salariati e da un'enorme massa di piccoli proprietari e coloni, l'indebitamento e la fame di terra conseguenti al conflitto renderanno ancor più fragile le basi dell'economia agraria e agiteranno non soltanto gli strati contadini naturalmente inclini a combattere la stessa battaglia del proletariato industriale - i braccianti, - ma i piccoli proprietari e coloni che solo in un successo della rivoluzione proletaria potranno sperar di uscire dalla morsa della pressione fiscale e dei prestiti usurari. Il nostro partito asseconderà queste agitazioni non solo mobilitando il contadiname povero contro il giogo del grande capitale, ma convincendolo dei concreti vantaggi di una rivoluzione che, mentre procederà bensì alla collettivizzazione immediata delle grandi e medie proprietà capitalistiche, non può porsi come compito immediato l'abolizione della piccola proprietà terriera, ma la sua liberazione dai gravami che oggi la soffocano e la sua graduale integrazione nell'economia socialista attraverso forme cooperative, consortili e simili.

D'altra parte, attorno ai Consigli di fabbrica e di azienda saranno portati a gravitare come forze ausiliarie della rivoluzione quegli strati impiegatizi ed intellettuali che per condizioni economiche non si differenziano quasi affatto della classe operaia, ma ne sono tenuti lontani in tempi normali da una diversità di condizioni sociali e di abitudini di vita.

La conquista del potere

Tuttavia, le lotte che il proletariato industriale e agricolo, fiancheggiato dall'esercito dei contadini poveri e da alcune categorie piccolo-borghesi, condurrà in questa fase della vita politica italiana e mondiale avranno importanza e significato non in sé, ma solo in quanto momenti successivi di una lotta più vasta che deve condurre il proletariato al potere per l'edificazione socialista.

Per il nostro partito le socializzazioni, statizzazioni e nazionalizzazioni di cui tanto si parla nei cosiddetti ambienti di sinistra, anche se realizzate col controllo di organismi operai, non sono che espedienti per il salvataggio del profitto capitalistico se non sono precedute dalla conquista del potere da parte della classe lavoratrice. E la via che porta a tale conquista non passa per le elezioni e la Costituente, né per i "governi di popolo", ma implica l'atto violento della rivoluzione. Premessa necessaria di quest'ultimo è l'esistenza di un partito fondato su basi di vigorosa intransigenza e intimamente legato agli organismi di classe in cui si esprimono gli interessi, le categorie e le aspirazioni del proletariato.

Solo dopo l'atto violento della presa del potere, il proletariato, e il partito attraverso il quale si eserciterà la sua dittatura, potranno attuare quelle profonde trasformazioni della struttura economica che devono portare ad un'organizzazione sistematica della produzione sociale per fini sociale e alla soppressione di qualunque privilegio di classe. La dittatura del proletariato sulla classe vinta poggerà da una parte sulla compattezza del partito della rivoluzione e, dall'altra, sul più esteso esercizio della democrazia operaia in tutti i gangli dello Stato, negli organismi sindacali e dentro il partito stesso.

La nuova Internazionale

Perché, riteniamo che le lotte del proletariato italiano siano legate nel loro divenire e nei loro destini alle lotte del proletariato mondiale, uno dei punti fermi della nostra concezione politica è l'urgente necessità di un organismo internazionale che quelle lotte coordini e, mantenendosi immuni dalle forme di degenerazione della II e della III, reagisca pure alle inevitabili tendenze involutive dello Stato operaio.

Questa nuova Internazionale non può nascere che sulle basi di partenza dell'Internazionale di Lenin, completate dalle successive elaborazioni della Sinistra e dalle esperienze di un ventennio di lotte. Essa si garantirà contro il pericolo dell'irrigidimento funzionaristico con tanto maggior efficacia quanto più solida e chiara sarà la sua piattaforma di partenza e quanto meno subordinerà la sua linea politica agli interessi mutevoli e alle esigenze contingenti dello Stato proletario.

Solo su queste basi sarà possibile al proletariato italiano, dopo tante eroiche lotte e tanti sanguinosi sacrifici, la vittoria.

Partito Comunista Internazionalista - Marzo 1945