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Home ›Quarant'anni di esperienze
Il panorama sociale e politico del gennaio 1921, metteva in netta evidenza le gravi carenze d'un regime stretto nella morsa di una economia postbellica in stato fallimentare che alimentava al vertice una esasperata e torbida psicologia di potenza non giustificata certo da una «vittoria» a cui persino gli alleati dimostravano assai spesso di non credere.
Il marasma dei partiti indicava che in nessuno di essi era chiara la coscienza del come si potesse e di dovesse uscire dalla crisi, meno che mai nel partito socialista di cui la condotta della guerra, le asprezze e le incertezze del dopoguerra avevano ingigantito l'influenza sulle masse e la potenza numerica, facendone, tuttavia, un gigante dai piedi d'argilla.
Le forze montanti dello squadrismo fascista erano un dato di fatto di cui bisognava tener conto, anche se in quel momento della situazione internazionale apparivano come un fenomeno tipico delle contraddizioni vive e profonde in un paese, come l'Italia, per mille fili legato alla arretratezza della sua economia con tutto il conservatorismo bigotto e reazionario che essa portava e porta con sé.
E il congresso di Livorno ne ha tenuto conto; nel clima nel quale si svolgeva come nei suoi dibattiti il problema della violenza, sia quella reazionaria in atto, sia quella rivoluzionaria soltanto ipotizzata, appariva dominante e riempiva di sé i motivi della scissione tanto in sede di dottrina e di interpretazione del marxismo, come nella visione tattica e strategica, della lotta del proletariato.
Anche allora si trattava soprattutto di dare una spallata a tutto il rancidume socialdemocratico cristallizzatosi ai vertici del partito, del gruppo parlamentare e della Confederazione del lavoro, uno strappo particolarmente psicologico che rendesse chiaro nella coscienza della parte più viva e attiva e indipendente del proletariato che una, una sola era la strada da imboccare, quella indicata dal pensiero operante di Lenin e dagli insegnamenti della rivoluzione d'ottobre contro il capitalismo responsabile della guerra e delle sue immani rovine, contro l'insorgente fascismo, la forza armata di lanzichenecchi del capitale lanciati come cani arrabbiati contro gli operai politicamente disuniti, moralmente e materialmente disarmati dalla dabbenaggine massimal-riformista del partito socialista.
Bisognava salvare questa riserva umana del proletariato italiano dalla nefasta influenza di una politica che si serviva della ingannevole verbosità massimalista per meglio mascherare ideologia e interessi tradizionali di marca socialdemocratica. Bisognava spostare l'azione di queste masse dal piano nazionale a quello della lotta internazionale individuando nella risorta internazionale dei lavoratori, la III Internazionale, nella sua ideologia, rivoluzionaria, nel suo indirizzo programmatico e nella sua disciplina il centro polarizzatore degli interessi del proletariato internazionale nella fase storicamente aperta della realizzazione del socialismo.
Urgeva a questo compito la costruzione del partito della III Internazionale, di un partito cioè nuovo, dinamico, conseguente che rompesse definitivamente col passato e si ponesse nella storia d'Italia come un ponte ideale lanciato nell'avvenire del proletariato quale che fosse l'esperienza che stava per attenderlo in tutto il periodo della dominazione fascista.
Così è nato a Livorno, quarant'anni fa, questo partito; e chi come noi ne continua oggi la strada è chiamato a rivendicarne, contro ogni deformazione interessata e contro ogni opportunismo, i capisaldi di dottrina, di tattica e di prospettiva rivoluzionaria; a ricreare su questa base il nuovo partito, dato che quello nato a Livorno è andato fisicamente perduto, già dal 1926, nei gorghi torbidi della controrivoluzione stalinista per gli interessi nazionali e internazionali del capitalismo di Stato.
Distingue i comunisti di allora e di oggi dai comunisti burletta di sempre:
1) La visione della fine catastrofica del capitalismo;
2) l'antiparlamentarismo e con esso la lotta contro ogni tentativo di risolvere sul piano democratico-parlamentare la crisi dei capitalismo;
3) la conquista violenta del potere per la instaurazione e l'esercizio della dittatura del proletariato attraverso l'azione ordinatrice del suo partito;
4) la lotta al riformismo, trincea avanzata del capitalismo nel seno della classe lavoratrice per neutralizzarne la spinta rivoluzionaria e deviarla dagli obiettivi fondamentali.
È assunto inoppugnabile che i quarant'anni che ci separano dal congresso di Livorno non hanno cambiato la natura e l'intensità delle contraddizioni che lacerano sempre più profondamente da una crisi all'altra l'economia capitalista; non hanno spostato né attenuato i termini della lotta di classe e non hanno rivelato la necessità di una nuova e diversa problematica nei metodi della lotta operaia. Quelli che affermano il contrario, anche se provenienti dal Convegno di Imola e dal Congresso di Livorno, so no coloro che, spenta l'ondata offensiva del proletariato, hanno abbandonato la strada della rivoluzione.
È dunque sulle fondamenta del partito di Lenin e non su quelle del partito di Gramsci e di Togliatti che bisogna ricostruire se si vuole che il proletariato ritrovi finalmente se stesso.
- Onorato Damen
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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