Anche Marx Burocrate

Secondo P. Cardan, del gruppo di «Socialisme ou Barbarie», Marx aveva una visione burocratica del comunismo poiché non aveva compreso che le cause dello sfruttamento capitalistico, delle sue contraddizioni e irrazionalità sono da ricercarsi nel mondo della produzione e non semplicemente a livello del mercato e del sistema di appropriazione. Sorprendente! Per Marx (citiamo fedelmente)

«la fabbrica, com'è ora, non è nient'altro che efficienza e razionalità. Essa è la Ragione in persona (sentite che bel linguaggio da Carlo Marx...) tanto dal punto di vista tecnico che organizzativo. La tecnologia capitalista è la tecnologia, imposta completamente all'umanità nello stadio presente dello sviluppo storico e incessantemente promossa e applicata alla produzione per mezzo di questi ciechi strumenti della Ragione storica, i capitalisti. L'organizzazione capitalista della produzione( divisione del lavoro e dei compiti, controllo minuzioso del lavoro attraverso supervisori, e da ultimo con le macchine stesse) è la organizzazione della produzione dal momento che si adatta costantemente alla più moderna tecnologia e si adopera per il massimo di efficienza della produzione.
Del resto, per Marx «la logica obbiettiva» della produzione è di comprimere i bisogni soggettivi, i desideri, le tendenze dell'uomo e di disciplinarli. Non c'è mezzo di incidere su ciò: questa situazione deriva inevitabilmente dallo stadio attuale dello sviluppo tecnico, e, più generalmente, dalla natura reale dell'economia, regno della necessità».

Dopo averci assicurato che tali idee non sono solo tali del marxismo inteso in senso «operativo e storico», ma sono «rigorosamente» le idee del «Capitale», C. conclude questo passo del suo articolo «Capitalismo e Socialismo» affermando che l'implicazione diretta delle parole di Marx è che la libertà dell'uomo comunista sarà stabilita al di fuori del lavoro, probabilmente attraverso una riduzione della giornata lavorativa: per Marx la libertà è il tempo libero o così sembrerebbe. Tutto all'opposto invece per il compagno Cardan: non solo la causa dello sfruttamento risiede nella produzione, ma più precisamente nella divisione tra dirigenti ed esecutori: la gestione della produzione è la base e l'essenza dello sfruttamento e non semplicemente un mezzo per gli sfruttatori per incrementare lo sfruttamento.

Prima di riportare il passo incriminato di «Il Capitale» e sottoporlo ad adeguato commento, è necessario richiamare all'attenzione che per Marx in nessun caso si darebbe il passaggio dal capitalismo al socialismo senza un radicale rivoluzionamento della stessa produzione e che a questo proposito né Marx né Engels hanno mai operato una artificiosa distinzione tra mondo della produzione e mondo dell'economia in generale. Sempre in «Il capitale» (1) viene scritto nel modo più chiaro:

«L'industria moderna non considera e non tratta mai come definitiva la forma esistente di un processo di produzione. Quindi la sua base tecnica è rivoluzionaria, mentre la base di tutti gli altri modi di produzione era conservatrice. Con le macchine, con i processi chimici e con altri metodi essa sovverte costantemente, assieme alla base tecnica della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo. Così essa rivoluziona con altrettanta costanza la divisione del lavoro entro la società e getta incessantemente masse di capitale e masse di operai da una branca della produzione all'altra. Quindi la natura della grande industria porta con sé variazione del lavoro, fluidità delle funzioni, la universale mobilità del lavoratore. Dall'altra parte essa riproduce l'antica divisione del lavoro con le sue particolarità ossificate ma nella sua forma capitalistica. Si è visto come questa contraddizione assoluta elimini ogni tranquillità, solidità e sicurezza delle condizioni di vita dell'operaio.
Però, se ora la variazione del lavoro si impone soltanto come prepotente legge naturale e con l'effetto ciecamente distruttivo di una legge naturale che incontri ostacoli dappertutto, la grande industria, con le sue stesse catastrofi, fa sì che il riconoscimento della variazione dei lavori e quindi della maggiore versatilità possibile dell'operaio come legge sociale generale della produzione e l'adattamento delle circostanze alla attuazione normale di tale legge, diventino una questione di vita e di morte. Sì, la grande industria costringe la società sotto pena di morte a sostituire all'individuo parcellare, semplice esecutore di una funzione produttiva di dettaglio, l'individuo integrale, che sappia tener fronte alle esigenze le più svariate del lavoro e nelle funzioni alternate non faccia altro che dar movimento libero alle diversità delle sue capacità naturali od acquisite».

Per Marx quindi non solo l'abolizione della divisione del lavoro tra operai e tra dirigenti è ormai una legge sociale generale della produzione che deve solo essere riconosciuta, ma il riconoscimento di questa realtà (documentata da ricerche di psicologia industriale (2) è una questione di vita o di morte. Pur non perdendo di vista il contesto obbiettivo ed economico dei fenomeni capitalistici (mercato, crisi, categorie economiche, ecc.), nei punti decisivi delle sue opere evinceva nel modo più chiaro che il nocciolo della questione del socialismo risiede proprio nell'abolizione della divisione del lavoro e anzi tale abolizione egli riconosceva già operante nei fatti come legge sociale generale della produzione. Non un solo aspetto dell'interpretazione del marxismo di C. rimane in piedi: né circa l'invarianza del mondo produttivo (anzi per Marx la stessa industria capitalistica è rivoluzionaria), né circa l'intangibilità della divisione dei compiti tra dirigenti ed esecutori, né circa la urgenza o meno del rivoluzionamento in seno al mondo produttivo: infatti è una questione di vita o di morte!

Del resto già Hegel, in la «Fenomenologia dello Spirito» aveva esplicitamente riconosciuto che il ciclo dell'autoriconoscimento della coscienza si conclude col trionfo della libertà attraverso la redenzione del lavoro (3). Si può dire che su questo punto tra Hegel e Marx esiste una continuità assoluta, essendo inoltre noto che Hegel ravvisava nell'autocoscienza un'attività essenzialmente pratica.

Anche nella «Critica al programma di Gotha» la posizione di Marx al riguardo non può lasciare adito a dubbi e lo si vede anche dal commento che ne fa Lenin in «Stato e Rivoluzione» (4). Lenin così commenta:

«La condizione economica della completa estinzione dello Stato è che il comunismo giunga a un così elevato grado di sviluppo che ogni contrasto di lavoro intellettuale e materiale scompaia, e che scompaia quindi una delle principali fonti della disuguaglianza sociale contemporanea, fonte che la sola socializzazione dei mezzi di produzione, la sola espropriazione dei capitalisti non può essiccare dall'oggi al domani».

Pur essendo decisamente incline a frenare il ritmo temporale del processo dell'abolizione della divisione del lavoro, non è dubbio che tale abolizione, e pertanto il rivolgimento visto a livello produttivo, costituisce una conditio sine qua non della società comunista per Lenin. Rispetto al passo di Marx tuttavia l'interpretazione di Lenin non è in tutto fedele: poiché mentre per Marx la società comunista sarà il prodotto della abolizione della subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro e del fatto che il lavoro sarà divenuto non soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; mentre soprattutto per Marx la condizione necessaria è rappresentata dallo sviluppo generale degli individui cui consegue anche lo sviluppo delle forze produttive, per Lenin è invece semplicemente e naturalisticamente questa la causa dell'abolizione della divisione del lavoro.

A nostro avviso storture interpretative e abusi filologici, come questo del comp. Cardan, sono spiegabili non sulla base della ignoranza o della cattiva intelligenza, di cui certo non difetta; e ne è prova la giustezza della sua posizione che è identica a quella di Marx, malgrado un certo pericolo di astrazione volontaristica; si possono solo spiegare con la mania e l'ossessione di ritenersi gli inventori di un materialismo nuovo, «contemporaneo»: il marxismo invece sarebbe solo «classico». Con Bordiga riteniamo invece che il marxismo è teoria nata a una svolta fondamentale della storia e in questo senso è «invariante».

Anche la famosa proposizione marxista del «lavoro socialmente necessario» (5), come espressione storica dell'eguaglianza tra gli uomini immanente nella stessa società capitalista e riconosciuta dalla legge delle economia moderna sul valore (per cui il valore di una merce è misurato dal lavoro socialmente necessario in essa contenuto) è al tempo stesso riconoscimento della fondamentale determinazione del lavoro su ogni programma del movimento proletario, sul programma socialista. Criticando l'economia politica, poiché essa occultava l'alienazione del lavoro proprio perché non considerava l'immediato rapporto tra l'operaio e la produzione, notava che l'alienazione non si mostra solo nel risultato, ma soprattutto nell'atto della produzione, «dentro la stessa attività producente» (6). Introdurre una separazione tra produzione e uomo, tra una presunta necessità che, per Marx sarebbe attributo della prima, e una libertà che sarebbe nel socialismo attributo del secondo significa ignorare l'operazione fondamentale del marxismo; poiché avvicinare il più possibile il «rapporto di produzione» al rimanente di «umano», questa è la caratteristica fondamentale di tutto Marx e dell'intero marxismo, come al tempo stesso la caratteristica fondamentale del proletariato (di cui motivo e scopo è appunto l'abolizione della divisione del lavoro e la morte di tutte le sovrastrutture), appunto per questo anche nelle più remote affermazioni Marx poteva scrivere che «il mangiare, il bere, il generare sono in effetti schiette funzioni umane», nella misura in cui non vengono separate dal restante cerchio dell'umana attività (5). Mai nella storia dell'umanità il lavoro ha potuto esser visto in modo più umano e più positivo come da Marx (7):

« L'animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene; mentre l'uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all'oggetto la misura inerente, quindi l'uomo foggia anche secondo le leggi della bellezza».

Anche la classe proletaria è rivoluzionaria e produttiva al tempo stesso, è il più grande potere produttivo (8). L'industria è il grande libro aperto degli uomini (9).

Per Engels è cosa indubbia che la liberazione dell'individuo, sotto la forma storicamente controllabile del proletario, deve non solo procedere dalla produzione, ma avvenire nella produzione.

«Con le condizioni economiche intendiamo il modo con cui gli uomini di una data società producono i loro mezzi di sussistenza e scambiano tra di loro i prodotti. Tutta la tecnica della produzione e del trasporto determina anche il modo dello scambio, della distribuzione dei prodotti e quindi anche le condizioni di padronanza e di servitù (10)».

Nella vera e reale collettività gli individui raggiungono la loro libertà nella loro associazione (11);

«Al posto della vecchia società borghese divisa in classi cozzanti tra di loro subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti (12)».

Non solo quindi il movimento reale procede dal mondo della produzione, ma questo è talmente poco il regno della necessità (naturalmente in epoca socialista) che la condizione del socialismo è l'esistenza di «individui universali», di una «massa rivoluzionaria che rivoluziona non soltanto le singole condizioni della società esistente, ma la stessa attuale «produzione della vita», ossia 'intera attività su cui questa si basa (13)». Tale è una massa composta di «individui inseriti nella storia universale ed empiricamente universali (14)». Respingendo decisamente la falsità della posizione che distingue, in epoca socialista, lo uomo libero dal produttore, pur non nutrendo nessuna mania produttivistica e cercando di concepire l'individuo nella vicendevole implicazione dei suoi aspetti, derideva la riduzione della libera attività al tempo libero. Ulteriore considerazione. Siccome i comunisti affermano che soltanto nella libera attività è la vera essenza dell'uomo, così essi abbisognano, poiché non può pensare diversamente chi lavora meccanicamente tutti i giorni, di una domenica che innalzi e compensi dal lungo lavoro inintellettuale ». E commenta:

«il comunista appare qui dunque come uomo e come operaio».

Tale era la concezione domenicale del comunismo dello Stirner; e già aveva criticato i tentativi di Proudhon e dello stesso Stirner di superare la divisione del lavoro tramite la ricostruzione mentale dell'intero processo lavorativo, come vuole anche Gramsci (15).

«L'uomo rimane un fabbricatore di capocchie di spillo, ma ha la tranquilla coscienza che le capocchie di spillo appartengono allo spillo e che egli può fare l'intero spillo (16)».

Da tutto ciò si evince una corrosione totale dell'attuale mondo produttivo, un'esigenza di libertà che non si riesce a capire come possa essere ignorata da un buon conoscitore di Marx come il comp. Cardan.

Ed ecco ora il passo incriminato, che per Cardan, si noti bene, è come il simbolo dell'intera concezione marxista del socialismo (un solo passo!):

«Di fatto il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, così deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e in tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che egli si sviluppa il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni, ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia le sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire solo sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa (17)».

Scandaloso!

Tuttavia accogliamo l'invito di Jan Hyppolite intorno alla necessità di insistere sull'importanza di tutte le parole di questo testo (18). E lo confrontiamo con questo passo di Engels, che ne rappresenta il motivo e il significato più profondo e meno ingannevole (19):

«... fino ad oggi tutti i contrasti storici di classi sfruttatrici e sfruttate trovano la loro spiegazione nella stessa produttività del lavoro umano che relativamente non si è ancora abbastanza sviluppato. Fin tanto che la popolazione veramente lavoratrice è così presa dal suo necessario lavoro che non le resti tempo di sorta per la cura degli affari pubblici della società ― direzione del lavoro, affari di stato, questioni di diritto, arte scienza, ecc. ― deve sempre sussistere una classe speciale che, libera dal lavoro reale, deve aver cura di tali affari... solo l'enorme sviluppo delle forze produttive raggiunto mediante la grande industria consente di dividere il lavoro fra tutti i membri della società senza eccezione e ridurre per ciascuno il tempo dedicato al lavoro, così che per tutti resti tempo libero sufficiente a partecipare agli affari comuni della società, così teoretici che pratici».

Notiamo innanzi tutto che il passo di Marx non giustifica minimamente la divisione del lavoro; in secondo luogo non giustifica nessuna costrizione sull'uomo che possa derivare da altri uomini uniti in classe; per quanto concerne gli uomini, dice, essi possono usare della libertà nell'interno della produzione, ma fino a un certo punto; quale questo punto? evidentemente quello imposto dal mondo della natura e dei bisogni naturali che prolungano la natura dentro all'essere umano e alla stessa produzione. Lo stesso sviluppo delle forze produttive è una condizione obbiettiva del socialismo. Ma questo si limita soltanto alla sfera della produzione materiale: qui Cardan confonde la produzione materiale con l'industria e lo sviluppo delle capacità umane; oltre il mondo della produzione materiale incomincia lo sviluppo delle capacità, il regno della libertà; ma occorre tutto il malanimo di un cattivo interprete per non ravvisare, in un marxista come Marx, questo sviluppo delle capacità e innanzi tutto nello stesso mondo dell'industria e del lavoro! Di un ragionamento che con tiene notevoli spunti ontologici (vedi lotta con la natura, stato delle forze produttive, fondamento obbiettivo della concezione marxista).

Cardan dà un'interpretazione in sola chiave «industriale»!

Ora la frase di Engels dice molto esplicitamente in che cosa prima di tutto consista lo sviluppo delle capacità umane: nella direzione del lavoro di cui condizione fondamentale, come per Marx è la riduzione della giornata lavorativa. È questa l'altra faccia dell'uomo che la divisione del lavoro ha separato dal produttore, tuttavia innanzi tutto dal produttore materiale, dal proletario, cioè da questa forma unica e storicamente attuale di produttore. Ma poiché l'abolizione della divisione del lavoro sarà appunto la ricongiunzione nello stesso individuo del produttore materiale e del dirigente (e insieme della vita di tutte le sovrastrutture) nascerà un nuovo tipo di uomo: certo produttore innanzi tutto o meglio finalmente un libero produttore. Tuttavia ciò implica un determinato sviluppo delle forze produttive e il riconoscimento dell'inevitabile aspetto ontologicamente determinante del mondo naturale. Già nella «Ideologia Tedesca», opera della giovinezza, non certo tacciabile di naturalismo e nella quale domina il concetto di una natura umana (dove sarebbe la scienza naturale senza industria e senza commercio? (20) scriveva che rimane ferma la priorità della natura esterna (21). I problemi del rapporto tra necessità e libertà, tra natura e uomo sono certo rilevanti: essi sono ovviamente problemi produttivi e umani; per Breton (22) si tratta di una fatale contrapposizione difficilmente risolubile nell'idea che l'uomo si fa della necessità di entrambi i termini.

Questa di Breton è la migliore notazione che si possa fare al passo tanto incriminato di Marx. Le lamentele di Cardan, le sue storture interpretative, i suoi abusi filologici, e il suo materialismo «contemporaneo» ci hanno interessato come spunto per ribadire cosa intendeva Marx per socialismo; e anche per richiamare alla mente l'assoluta disorganizzazione «culturale» dei gruppi di sinistra, disuniti in tutto, anche nell'interpretazione di Marx, cosa che un borghese come Benedetto Croce sapeva fare in modo corretto...

«tutti sono premuti dalla necessità, e i loro aguzzini sono bensì prepotenti e profittatori, ma non perciò liberi; finché col ribellarsi della classe degli operai o salariati contro quella dei detentori del capitale entrambe e classi spariranno, l'una nell'atto stesso e l'altra un po' dopo per la risolutezza degli operai a rompere l'incanto millenario, ed entrambe entreranno, affrancate e eguagliate nel respiro fino allora impedito della libertà... in una società in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà condizione al libero sviluppo di tutti».

Al Croce ciò pareva negazione della terra per il cielo, ma questo è un altro argomento.

Armando Parlato

(1) Marx: Il Capitale, Edizioni Rinascita, Roma, 1956, Volume primo, 2, pagg. 199-201.

(2) Brown J.A.C.: La psicologia sociale dell'industria, Mondadori, 1961; Halbwachs M.: Esquisse d'une psychologie des classes sociales, Riviere, Paris, 1955; Stagner R.: Psychology of Industrial Conflict, Wiley, New York, 1956; Cohen A.K.: Delinquent Boys, The Culture of the Gang, The Free Press, Glencoe, 1955; Merton R.K.: Social Theory and Social Structure, Glencoe, The Free Press, 1949; Sellin T.: Culture Conflict Crimee, New York, Social Science Research Council, 1938: Wolfgang M.E., Ferracuti F.: Subculture of Violente, Napoli, Idelson, 1960.

(3) Hegel G.G.F.: La Fenomenologia dello Spirito, Firenze, 1933, 1936. Hyppolite J.: Genèse et Structure de Phenomenologie de l'Esprit de Hegel, Paris, 1946.

(4) Lenin: Stato e Rivoluzione, Opere scelte, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1948, vol. II.

(5) Marx: Cit., Vol. I, 1.

(6) Marx: Opere filosofiche giovanili, Roma, Rinascita, 1950.

(7) Marx: Ivi.

(8) Marx: Ivi.

(9) Marx-Engels: Manifesto del Partito Comunista, Opere, Milano, Avanti! », 1914.

(10) Marx, Engels, Lassalle: Opere, Milano, « Avanti! », 1914, vol. IV.

(11) Marx: L'Ideologia Tedesca, Milano, I.E.I., 1947.

(12) Marx-Engels: Il Manifesto, cit.

(13) Marx: Op. Fol. Giov., cit.

(14) Marx: Ivi.

(15) Gramsci: L'Ordine Nuovo, Torino, Einaudi, 1954.

(16) Marx: L'Ideologia Tedesca, cit.

(17) Marx: Il Capitale, vol. III, 3.

(18) Hyppolite J.: Etudes sur Marx et Hegel, Rivière, Paris, 1955.

(19) Marx-Engels-Lassalle: Cit., 1916, vol. VIII.

(20) Marx: Op. Fa. Giov., cit.

(21) Marx: Ivi.

(22) Breton A.: La Clé des Champs, Paris, Sagittaire, 1953.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.