Il realismo “socialista” nell'esperienza dell'arte russa

Arte e rivoluzione

Precedono le rivoluzioni, con le lotte di emancipazione, i rivolgimenti filosofici e letterari che ne sono il riflesso, per il maturarsi delle contraddizioni nei rapporti di produzione sociale.

L'arte, sia pur con le remore che si trascina, è sempre il barometro dei tempi, decadente quando un'epoca tramonta, ed un'altra ancora all'orizzonte non si profila, critica o rivoluzionaria, quando la necessità di contribuire alla lotta di classe, s'impone nell'asprezza delle sue conclusioni, per cui il letterato come il filosofo ed il militante, si fondono e subiscono quasi sempre insieme, la repressione dei vecchi istituti.

La letteratura russa, è permeata dallo sforzo dei suoi letterati, anche di quelli che pur non accettando l'avvento del bolscevismo, ugualmente contribuirono alla demolizione delle vecchie strutture feudali dell'autocrazia, poichè alla rivoluzione politico sociale dell'ottobre non corrispose quella letteraria, che si ritrova invece in epoche diverse e precedenti, con la comparsa del simbolismo, del realismo critico, del futurismo, con l'affermazione dei Gorky, dei Blok, dei Bunin, dei Chlebnikov, dei Majakowsky.

Naturalmente nel corso della lotta, non tutti toccarono il traguardo, anzi i più si sono dispersi nei rivoli delle ideologie che si differenziarono dalle sue finalità, nelle incomprensioni e nell'incapacità di adeguarsi alla severa dialettica di classe, identificate spesso con gli interessi dei gruppi sociali da cui derivarono e che si rivelarono sempre più in contrasto con gli obiettivi rivoluzionari.

I pochi che vi giunsero, subirono il peso del bagaglio culturale della classe che aveva perduto il potere politico, ma che continuava a sopravvivere nelle sovrastrutture, fin quando i rapporti di produzione sociale non fossero mutati, determinandone di nuovi. È la presenza di tale bagaglio, e la coscienza della ineluttabilità della sua distruzione, non come rinuncia ad esso, ma come tendenza a superarlo, che ha posto in lizza, nel corso dei primi anni del potere sovietico, tra di loro le nuove correnti letterarie, il futurismo, la prolectkult, i fratelli di Serapione, i Compagni di strada, ed altri, fino al 1o Congresso degli scrittori sovietici ed al conseguente avvento del cosidetto "Realismo socialista".

Il Futurismo russo trovò origine, come quello italiano in esigenze formalistiche, e comparve dapprima come movimento pittorico, di superamento del cubismo, attraverso l'impressione dinamica alla statica dissociazione degli elementi plastici contenuti negli oggetti. Sul piano letterario invece in una spinta intesa a gonfiare i dizionari di neologismi arbitrari che miravano alla emancipazione della parola poetica, dalle prigioni della filosofia e della religione, alla distruzione dei canoni dell'estetica tradizionale, per una lingua transmentale capace di sviluppare con accezioni nuove dei fattori autonomi di pensiero. Comunque è nello svolgersi degli avvenimenti che gli esperimenti sintattici e stilistici non si giustificarono, se non per quel che servirono a caratterizzare i futuristi nei valori contenutistici di ordine sociale, per cui i russi si differenziarono dagli italiani, che sfociarono nell'interventismo prima, e nel fascismo poi, interpretando la rivoluzione come loro postulato ed avocandone il diritto a rappresentarla sul piano letterario.

Ma il futurismo non era la rivoluzione, ed anche se era rintracciabile alle origini, se l'esaltava con l'iperbole letteraria, le sue radici non coincidevano con essa, in quanto manifestazioni estreme di decadentismo borghese, seppure dagli stessi futuristi avversato. E pur tra le astratte esaltazioni, che in qualcuno dei suoi assertori parvero deliri (innalzeremo sui canali di Marte, il palazzo della pace mondiale, di Gerasimov, oppure gli inviti di Kirilov, sulla rivista "Noi" alla distruzione dei musei e delle opere di Raffaello) questa corrente espresse le sue personalità che diedero alla letteratura russa elevate manifestazioni liriche, quali il Chlebnikow e soprattutto Mayakowsky che del futurismo si deve considerare la figura dominante.

Il movimento futurista ebbe nella critica marxista avversari di rilievo, come Trotsky e Kalinin, e per citare il giudizio di quest'ultimo, andava considerato come un fenomeno sociale del capitalismo giunto ai limiti del suo sviluppo che nella fase agonica si porta il presentimento della rovina, giudizio che se può essere ritenuto valido a definire la corrente, non lo è del tutto però per Mayakowsky, che la corrente condusse a varcare le soglie della rivoluzione, divergendo da essa, che si estinse nella misura in cui egli si fuse con il proletariato, non solo cantandone le gesta, ma partecipando alla sua lotta, nell'agitazione politica trasformando in poesia l'arida lingua dei giornali.

Come i futuristi, il gruppo che fece capo alla cosidetta cultura proletaria, il Prolectkult, tentò di arrogarsi il diritto d'imporsi come unico interprete poetico della rivoluzione, nell'assurda pretesa di dittatura letteraria. Anche qui, però il terreno cedette sotto i piedi dei suoi seguaci.

Una cultura proletaria, di per sè non esisteva, essendo essa stata sempre monopolio delle classi dominanti. Trotsky, in quel tempo, la criticò aspramente per la sua inconsistenza, e quando lo sforzo di attirare a sè le masse andò esaurendosi, il suo disfacimento si concretò con le polemiche su 'ciò che doveva intendersi per cultura proletaria, su l'origine proletaria degli scrittori, od il contenuto ideologico proletario della cultura.

Le correnti che seguirono, come i "Fratelli di Serapione" ed i "Compagni di Strada" si liberarono delle pretese di dittatura letteraria, ma furono eterogenee, non rispecchiarono tanto i fini del bolscevismo, non cercarono di individuare le vie che avrebbero potuto condurre al socialismo, in quanto queste con l'isolarsi della rivoluzione e la dittatura staliniana si erano precluse, ma con descrizioni ambientali, naturalistiche, psicologiche ecc. tentarono anche timidamente con un blando realismo, di porre su un piano critico, lo svolgersi degli eventi in quegli anni tragici della guerra civile, della NEP, dell'involuzione burocratica, tentativi che cercarono di approdare anche nella satira, e che la critica ufficiale, con facile giuoco su letterati di provenienze diverse, che si diffondevano anche in nostalgiche reminescenze di sapore populista, bollò, per indurli a recedere da simili anacronismi ed a porsi su posizioni più consone alle esigenze del novello capitalismo di stato, avviato verso la sua logica di sviluppo.

La rivoluzione si era fatta regime, e la scarsa e confusa opposizione di pochi scrittori non aveva neppure scalfito quel processo storico che ne costituiva il passaggio; del resto non ve n'erano state le possibilità, dal momento che l'adesione rivoluzionaria dei letterati, non fu quasi mai ideologica all'Ottobre rosso. Ma la presenza di varie correnti, spesso in aspra polemica, infastidiva i funzionari che nella libertà di critica scorgevano sempre un pericolo, per le denuncie di involuzione che ne sarebbero potuto derivare.

La critica ufficiale aveva sin dal 1929 cessato di essere marxista, e la sconfitta di Trotzky e dell'opposizione di sinistra aveva tolto di mezzo gli ostacoli, per convogliare in un unico binario la letteratura sulla base della necessità di concentrare tutte le forze alle esigenze della pianificazione e della coordinazione, per cui nell'aprile 1932 il partito, invece di tutte le organizzazioni letterarie, proletarie e non, creava un organismo "unico" di controllo, che prendeva il nome di "Unione degli scrittori sovietici", nuovo strumento di potere dello stalinismo, inteso a strangolare l'arte stessa ed a confinarla in una visione angusta di esaltazione al regime, come già si andava attuando in Italia con Mussolini. Tale irregimentamento degli scrittori fu posto lucidamente in evidenza da Max Eaestmam, un biografo americano di Trotzky nel suo libro: "Artisti in uniforme".

Non tutti i letterati compresero i fini di tale "decisione storica", taluni anzi vi aderirono con maggiore o minore entusiasmo, e tra di loro Massimo Gorky che con il suo realismo critico negli anni precedenti la rivoluzione, ad essa aveva contribuito. Gorky divenne così il padrino del realismo socialista e la sua autorità letteraria vi si trasfuse, anche se più tardi il contenuto stesso dell'enunciazione lo doveva lasciare alquanto perplesso, se nel 1935 affermava:

Sul realismo socialista, si è scritto e si scrive molto, ma non esiste al riguardo un'opinione unica e chiara.

La morte avvenuta di li a poco, gli doveva risparmiare la delusione di toccare il fondo di un vuoto artistico, strumentalizzato in funzione propagandistica.

Un altro campo aperto all' oppressione, che seguiva gli altri, al!' elaborazione di accuse, cosiddette formalistiche, o di cosmopolitismo che in pratica equivalevano a quelle di "deviazionismo politico".

La critica marxista, prima di farsi interprete del nuovo assetto economico sociale, che del socialismo conservava solo le insegne esteriori, s'era divisa in due tronconi. Uno contro le forme di letteratura tendenziosa ed agitatoria, cercava di non più porre l'arte, in via assoluta, come sovrastruttura, valutando le opere secondo la loro "verità artistica", l'altro, più ortodosso, percorreva ancora sia pur zoppicando, la via indicata da Lenin, Pleckanov e Lunackarsky, cosicchè le polemiche tra le due correnti s'inasprirono in misura maggiore di quelle in atto tra le altre non marxiste, fino al 1o Congresso degli scrittori sovietici, che d'autorità le stroncò tutte, ponendo al di sopra delle diatribe, l'esigenza pubblicistica, che si sintetizzava del resto, nelle affermazioni di Fadew allora segretario dell'Unione degli scrittori, che suonava fra l'altro così:

I compiti della teoria e della critica letteraria sono determinati dalle disposizioni del comitato centrale del partito, sui problemi della letteratura e dell'arte.

Il che è tutto dire.

Il 1934 sarà dunque l'anno del congresso, e qui come in analoghe circostanze per altri settori, sulla difesa di punti di vista e delle opere dei letterati presenti, prevaranno i riconoscimenti dei loro errori, che nel tragico divenire si trasformeranno in autoaccuse, materiale che abbonda negli annuali dello stalinismo.

Comunque il congresso si chiuse, con la perorazione ad un senso di eroi-1' esigenza pubblicistica, che si sintetizzava del resto nelle affermazioni di smo positivo, nella lirica, ed al realismo socialista, nella narrativa.

Quel che avvenne poi, diede inizio ad uno dei periodi più tristi ed avvilenti della storia della leteratura russa. Fu la caccia alle streghe, e gli avversari del realismo socialista, furono indicati come i nemici da perseguire; il compito della critica, quello di smascherarne gli strattagemmi.

Si esaltò l'eroe-massa del lavoro forzato, si cantarono il ferro, l'acciaio, il cemento armato ed il... segretario del partito.

Si sciolsero sull'ara della patria socialista, tutti gli inni all'edificazione della nuova civiltà! Trionfarono i ruffiani, le spie, i leccapiedi, ma si tacquero le sofferenze di un popolo immenso, le discriminazioni, gli arresti, le deportazioni, i sopressi e le purghe; si tacque sui lager, sulle fucilazioni, sui processi di stato e su tutte le lacrime versate dai russi in quegli anni tristi del terrore staliniano.

Ed anche l'arte, braccata da mute di cani feroci, si rintanò in se stessa, soffocando la sua vera voce, con quella di tutto il popolo.

E venne la guerra patriottica, con la sua retorica, mentre la sofferenza ingigantiva sino ad una dimensione extraumana con l'invasione del mostro nazista. E ancora morte e distruzione, incendi, devastazioni, esecuzioni in massa, fame e disperazione, questa volta però nel nome della civiltà dell'occidente, del nuovo ordine europeo degli Hitler e dei Mussolini.

Dagli stakanovisti, la letteratura passò allora ad esaltare il sacrificio dei soldati, e dei partigiani, le epopee dell'esercito da Stalingrado a Berlino, ed andò, anche per accentuare il patriottismo, a frugare nella storia, per riesumare i Kutuzof e gli altri che avevano compiuti prodigi, per salvare dai disastri di altri tempi, l'autocrazia degli Zar. Questo fino alla morte di Stalin. Poi, per un travaglio di potere, connesso alle esigenze della politica di coesistenza pacifica con il capitalismo occidentale, il nuovo corso Kruscioviano si apre con la critica serrata al vecchio tempo, agli errori, al culto della personalità, per cui più ampio respiro nei rapporti con l'Occidente che la guerra fredda, degli anni precedenti, aveva irretiti. In sede politica la critica si fa accusa, violazioni della legalità socialista, fucilazioni di innocenti, che si riabilitano man mano col contagocce, processi prefabbricati ecc. ecc., ed abbinato ad una serie di atti propagandistici, cosidetti di "destalinizzazione" (abbattimenti di monumenti, sfratto della salma di Stalin dal mausoleo ed altri), si apre un nuovo capitolo della letteratura russa, il neorealismo critico, a cui è stato concesso di intingere la penna negli orrori del passato, sempre però in forma addomesticata, e ne fa fede la recente autocritica del poeta Etvushenko... legata a doppio filo ai vecchi metodi stalinisti della Unione degli scrittori, del resto ancora dominante.

Per essere vera, l'arte deve rimanere libera, non aggiogata alle esigenze dello stato o di gruppi politici che pure si ritengano avanzati; i suoi travagli sono la riprova, che essendo una sovrastruttura dei rapporti di produzione sociale, non può mutare che con essi, e che in Russia, le imposizioni sono solo servite a soffocarne l'essenza devoluta allo Stato per il permanere della struttura capitalistica.

Loris

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.