Il problema della natura nel materialismo dialettico leniniano - 1

La continuità dottrinaria tra Marx, Engels, Lenin e il significato della sua contestazione da parte dei teorici della sinistra "ufficiale"

La presente trattazione prende spunto da un motivo polemico rivolto alle trattazioni della sinistra ufficiale, che trascurano, quando non eliminano, uno degli aspetti fondamentali del materialismo dialettico: il problema della natura, che sottende l'intera dottrina. Ma ancor più vorremmo richiamare l'attenzione e ribadire alcuni concetti fondamentali del materialismo dialettico, la cui negazione è rilevatrice di problemi e di posizioni che vanno oltre il singolo teorico e la singola scuola per significare i movimenti storico-politici dello stalinismo e del “disgelo”, sia che assumano in questa loro teste ideologica la tipica fisionomia del materialismo premarxista o quella dell'eclettismo idealista in tutte le sue varietà. Del resto la falsificazione del “marxismo” nel suo specifico carattere di “dottrina rivoluzionaria”, di cui si è serviti per giustificare tutte le aberrazioni politiche e ideologiche, dal socialismo in un paese solo alla riforma delle strutture, ci presenta di volta in volta tutta una gamma di variazioni e di dispute teoriche, cominciate del resto assai presto. Si sono così separati Engels e Lenin da Marx, si è parlato di “umanesimo”, di hegelismo e di antihegelismo, di storicismo integrale, di Weltanschauung, definizioni che hanno un fondo parziale di verità: indubbiamente il materialismo dialettico presenta una “concezione del mondo”, incentra i suoi interessi sulla storia, accoglie l'insegnamento hegeliano della dialettica ma la muta di segno, e così via, ma ciò che viene dimenticato è il carattere fondamentale del materialismo dialettico, quello cioè di essere la dottrina della rivoluzione proletaria, che giustifica: e arriva a questo suo modo d'essere att raverso una analisi scientifica della società e prima ancora prende posizione di fronte al problema gnoseologico di fondo del rapporto uomo-natura (è inutile ricordare come la tradizionale ostilità borghese abbia speculato su questa presunta “crisi del marxismo”, che tale non è, risultando di fatto dalle interne diatribe e querelles dei revisionisti e contraffattori di diversi ed anche opposti indirizzi, tutti più o meno scaturiti dal terreno della controrivoluzione imperialistica). Basti del resto ricordare che la tribuna del dibattito si è spostata dal suo ambito peculiare degli organismi del movimento operaio alle riviste culturali ed anche alle cattedre universitarie. Ciò resuscita quel “marxismo da cattedra” proprio della vecchia intelligentsija russa, ma con un più accentuato carattere di moda, di posa borghese e piccolo-borghese che ha in gran parte sostituito gli atteggiamenti esistenzialistici del dopoguerra, laddove proprio essi più largamente prosperavano: era un “marxismo”, beninteso, che non ha nulla a che spartire con quello autentico e che si è ridotto attualmente a far da strumento a una politica di “pacifica coesistenza” intellettuale o di “cento fiori”. Un'analisi accurata su base classistica di questa falsificazione, si trova immediatamente davanti non solo il riprodursi di temi cari al revisionismo preleniniano o a tendenze dichiaratamente antimarxistiche: bensì anche al “blocco” dello sviluppo marxistico conseguito al “blocco” della rivoluzione mondiale e all'instaurazione nell'U.R.S.S. del capitalismo di Stato: reazione questa che non poteva non implicare l'attacco (anche se non dichiarato) alla dottrina, alla teoria-guida della pratica, del marxismo-leninismo. E questa dottrina, formatrice dall'avanguardia rivoluzionaria, sostanza della coscienza della classe operaia, non può, è chiaro, ridursi alla lucra constatazione della lotta di classe od al rilievo della collocazione del proletariato come antagonistico alla borghesia: il che sarebbe economismo oppure operaismo. Gli strumenti della dottrina marxistica devono essere tratti da una concezione attiva, rivoluzionaria del rapporto uomo-ambiente (praxis) e dell'obiettiva determinazione storica, senza di cui ogni postulazione storica rimane idealistica e metafisica e come tale non coglie l'uomo nella sua radice naturale e nel rovesciamento della prassi, nel salto di qualità per cui egli stesso determina con l'azione concreta l'ambiente da cui è determinato, trasformandolo. Necessitava alla controrivoluzione, cosi come la negazione del ruolo rivoluzionario del proletariato, il rifiuto (volontaristico o fatalistico non importa) della concezione materialistica corrispondente che gli permette di prender coscienza del medesimo ruolo, coscienza realistica di cose reali esistenti al di fuori della coscienza individuale e collettiva e quindi da mutarsi con la prassi rivoluzionaria e non con operazioni intellettuali : con la “critica delle armi” e non con la “critica critica”.

In questa esposizione dovremo porci dei limiti di carattere tecnico per ragioni di spazio e di tempo. Incentreremo dunque l'argomentazione sull'opera di Lenin , dando pur tuttavia una visione di quei capisaldi già trattati da Marx ed Engels, permettendo così di impostare il ricollegamento che la trattazione leniniana presuppone. In seguito ci proponiamo di ricondurre il discorso al rapporto tra Marx ed Engels per mostrare l'opportunismo della tesi che ritiene “pregiudizio dell'indistinzione” il riconoscere la continuità, solidarietà, complementarità anche in sede di dottrina gnoseologica dei due fondatori del materialismo dialettico.

I problemi della natura e della scienza costituiscono dunque un aspetto per definizione fondamentale, ed alquanto trascurato - specie in Italia - del materialismo dialettico. Tale aspetto non può essere esaurito nel contributo formativo di Lenin, che già di per se stesso rappresenta sia una ripresa che un allargamento dei temi già affrontati da Marx ed Engels.

Considerando il saggio di Lenin “Materialismo ed Empiriocriticismo”, dal 1908, dovremo anzitutto collocarlo nella sua precisa situazione e dimensione storica, e d'altra parte sarà necessario almeno accennare come la sua problematica fosse sostanzialmente una costante nella tematica stessa di tutto il marxismo fin dalla sua formazione, fin dalle prime “confutazioni” mossegli dagli ideologici.

Questi temi, nella loro impostazione che va da Marx ad Engels e a Lenin, e quindi nella loro formazione “classica”, andrebbero tuttora - e con molta urgenza - affrontati e riproposti. Ma ciò, benché di importanza vitale, sarà solo accennato in quanto non strettamente pertinente all'analisi del testo leniniano e dei suoi addentellati diretti.

In questo breve esposto non possiamo tener conto nemmeno di tutta una serie di processi intercorsi tra il tempo di “Materialismo ed Empiriocriticismo”, e i nostri giorni, a livello di analisi particolareggiata. Anzitutto, lo sviluppo delle ricerche scientifiche in quanto tali, ed i risultati anche clamorosi da esse prodotti; lo sviluppo del materiale gnoseologico ad esse riferentesi, e questo sia nell'elaborazione di scienziati rivoltisi in un secondo momento e complementarmente alla filosofia, sia di filosofi ed anche metafisici interessanti a questioni scientifiche : oltre ovviamente agli epistemologi veri e propri. Si è avuta poi la “involuzione” della dottrina marxistica nel suo duplice aspetto di acquisizione dei risultati prodotti da ricerche scientifiche basate sul “materialismo da laboratorio”, e di contestazione del “fideismo” gnoseologico. Anche per il lato più direttamente epistemologico, il cosiddetto zhdanovismo ha significato sostanzialmente una riduzione a canoni di positivismo e meccanicismo pre-marxista; mentre anche per reazione andava affermandosi fin nei più qualificati ambienti del “marxismo ufficiale” un certo disinteresse e disdegno per le scienze che arrivava fino al ripudio del materialismo dialettico in nome di quello storico, auspice in ciò il gramscismo, almeno in Italia, e la persistente impostazione crociana.

Tentativi di ripresa antiidealistica e antizhdanoviana dell'originale impostazione di Marx e Lenin, per quanto assai rari e piuttosto timidi si sono avuti, come per il caso Havemann, in cui l'illustre fisico trovava riconfermato il materialismo dialettico, con tra il suo irrigidimento “scolastico”, proprio in alcuni fondamentali concetti ed ipotesi scientifiche che lo zhdanovismo aveva respinti con procedimento sommario: ma anche questo tentativo non superava la dimensione epistemologica e trovava in ciò un limite di estrema gravità.

Tessitura generale di “Materialismo ed empiriocriticismo”

Il testo leniniano, nato come polemica interna, quasi di partito, diretto a pensatori che si richiamavano al marxismo, si inserisce nelle discussioni dell'epoca sulla “crisi” delle scienze e in questo secondo aspetto assume il suo valore di opera teorica del materialismo dialettico. La critica infatti si rivolge solo di riflesso ai “machisti” russi, ma direttamente alle posizioni ben più coerenti, anche se da Lenin non accettate, di Mach, Avenarius, Poincaré, etc., a una cioè delle scuole fondamentali dell'interpretazione teorica dei nuovi risultati scientifici e delle relative ipotesi di lavoro. É quindi una trattazione dei problemi sul piano gnoseologico, che non entra nel piano metodologico delle scienze particolari ma semmai ne interpreta i risultati più generali e ne considera il presupposto “filosofico”, cioè l'atteggiamento più o meno inconsapevolmente materialistico dello scienziato, atteggiamento indicato come “materialismo da laboratorio”. Con questa espressione Lenin indica che il lavoro scientifico al di là della sua metodologia particolare pone e risolve in senso materialistico il rapporto essere e pensiero; lo scienziato per il fatto stesso che studia ed opera sulla natura non solo ammette l'esistenza della stessa al di fuori e indipendentemente dall'individuo pensante ma esprime la fiducia stessa nella conoscibilità della natura e quindi della veridicità dei nostri sensi e dell'intelligenza, insomma dei nostri strumenti conoscitivi. Questa forma di materialismo non è però materialismo coerente e sviluppato fino alle sue estreme conseguenze antimetafisiche, ma è il risultato di un processo storico determinato, dell'evoluzione della scienza secondo le stesse esigenze pragmatiche e produttive delle varie società, che lascia aperta la porta all'idealismo e all'agnosticismo. Ma se in tale “materialismo da laboratorio” si esprime il senso stesso del lavoro scientifico, sia pur sotto forma spesso di ingenuo “argumentum baculinum”, si è por tuttavia sempre cercato una sistemazione dell'esperienza e dei risultati della scienza, sistemazione espressa da filosofie, materialismo meccanicistico, positivismo, etc., che vanno al di là dell'esperienza scientifica e non hanno in essa la loro “verità” e giustificazione. Lenin quindi riprende la critica di Marx ed Engels al materialismo meccanistico e all'idealismo, e la stessa risposta gnoseologica del materialismo dialettico, spingendolo ed applicandolo alla situazione a lui contemporanea.

Il richiamo a Berkeley, che apre la trattazione, rimanda alla distinzione engelsiana delle due concezioni fondamentali della realtà, che è una riduzione astratta valida in sede gnoseologica. Ciò non tocca il problema storico della nascita di una ideologia e dei meriti stessi dell'idealismo “intelligente” cioè particolarmente di quello hegeliano (per cui rimandiamo ai “Quaderni filosofici”). Sì tratta, per dirla in poche parole, di una astrazione ragionata che permette la riduzione sotto lo stesso denominatore di pensieri storicamente diversi (lo stesso criterio è rintracciabile in affermazioni come ad esempio che la storia è stata fino ad oggi lotta di classe, in cui si astrae da ogni individuazione di tempo e luogo. Basti pensare all'introduzione alla “Critica della economia politica”, e alla dialettica delineazione contenutavi della “ricostruzione” della “totalità concreta” attraverso “astrazioni ragionate”. Questo processo è comune nel materialismo dialettico; lo stesso “Capitale” analizza l'astrazione ragionata della società capitalistica “pura”, come ebbe a notare R. Luxemburg).

Proprio per questa contrapposizione di una tesi all'altra la lettura di “Materialismo ed Empiriocriticismo” può lasciare l'impressione di un certo schematismo, ma non e così se si ripercorre e si tiene presente la formazione del materialismo dialettico. Infatti, nonostante la chiarezza, diremmo sintattica, del linguaggio leniniano, la sua comprensione richiede la conoscenza dei principi fondamentali del marxismo e del suo metodo di analisi.

Va notato anche il fatto che gran parte, nella corrente polemica contro il linguaggio di Lenin e le sue punte ed asprezze... polemiche, risulta dalla denuncia di un Lenin “pratico”, volto al “contingente” e fondamentalmente alieno dai problemi speculati. Ma questo rimprovero, ad un teorico marxista, di essere poco ideologico e speculativo appunto, denuncia il vizio ideologistico di fondo dei censori stessi, i quali si pongono con ciò fuori dalla continuità storica con la dottrina elaborata dai fondatori della prima Internazionale. Ma la “pratica” o meglio “praticità” di Lenin (che non ha niente a che fare col suo presunto “tatticismo”, invenzione questa prettamente staliniana) è eminentemente rivoluzionaria, e come tale necessariamente illuminata dalla teorici. La cesura fra pratica e teoria, impensabile per il materialismo storico, sarebbe in Lenin assurda. Di fatto, denunciandolo come un “pratico” si vuole avvilire il suo contributo teorico a mero intervento occasionale, motivato da ragioni di diatriba politica, ecc., così in fondo aggirando il grosso problema di un'effettiva valutazione dialettica. Ed anzi, ha questo senso la contrapposizione fra il contributo “filosofico” di Marx, giudicato valido, specie nella sua fase giovanile, “umanistica”, e quello di Lenin, criticato come meccanicistico-scolastico, come ripetizione di posizioni di “materialismo metafisico” già superate dal supposto “umanesimo” o “storicismo integrale” marxiano. Questo Marx, però, è totalmente artificioso, e costruito con uno spregiudicato “citazionismo” consistente più o meno nel ritagliare dal contesto totale delle sue opere alcuni scritti giovanili; sfrondandoli di ogni riferimento naturalistico e politico, restringendoli al solo momento dell'“astrazione ragionata”, quindi della provvisoria ed indicativa generalizzazione; e, più ancora, scindendo il Marx “filosofo” da quello “politico-economico”, o addirittura rileggendolo con una continua ritraduzione in chiave ideologistica, colorata di fenomenologia, di neohegelismo, di esistenzialismo, ecc.

Il testo in esame ha del resto dei limiti tecnici per lo stesso spazio dedicato alla analisi della discussione sulla crisi delle scienze. Quindi, pur seguendo via via il testo leniniano e i problemi che esso pone faremo ampio riferimento ai fondamenti del materialismo dialettico e ad altri scritti leniniani sulla questione.

Parlando di fondamenti del materialismo dialettico, intendiamo ch'essi si trovano alla base stessa delle opere di Marx, in quanto il “marxismo” è sostanziato appunto di materialismo antimetafisico (dialettico) e storico. Fin dalle opere giovanili, cavallo di battaglia di ogni critica d'intonazione antirealistica, in realtà Marx afferma sia la naturalità dell'uomo, che umanizza a sua volta la natura reagendo all'ambiente col lavoro, nel quadro storicamente dato dalle stesse condizioni ambientali (Manoscritti del 1844), sia la priorità storica della natura, da cui l'uomo è nato, come prodotto più alto e quasi “autocoscienza” della natura stessa (Ideologia Tedesca). Chiaro quindi, come dal carteggio con Engels, che il “giovane Marx”, lungi dall'essere un... pragmatista in anticipo, riconosceva la natura come esistente fuori dalla coscienza umana non solo, ma altresì come genitrice (ovviamente preesistente!) della natura e dell'uomo: ecco il concetto sempre ripetuto dal “giovane Marx”, in istretto riferimento con le prime teorie scientifiche evoluzionistiche o comunque geologiche, antropologiche, ecc., contro il teismo. E via via che si sviluppa il pensiero marxiano, gli stessi critici lo devono ammettere e di fatto lo ammettono, assume sempre più un netto accento di materialismo nel senso “leniniano, engelsiano” del termine: fin al Capitale, in cui si ampliano le linee direttive, anche in sede gnoseologica, della prima Critica dell'economia politica e relativa Introduzione: talché gli interpreti filo-idealisti di Marx si riducono a produrre poche pagine “giovanili”, e per di più interpretate in modo spesso decisamente falso (es. Tesi su Feuerbach, che per la loro frammentarietà, se presentate slegate dal contesto di tutta la problematica, come fanno quelli che le adducono a conferma della suddetta impostazione, si prestano ad infinite utilizzazioni), ed a tacciare in definitiva di “positivismo” o peggio “civetteria hegeliana” la più gran parte della produzione del Marx “maturo”.

Con il riferimento iniziale a Berkeley, Lenin indica immediatamente che la questione del materialismo e delle critiche ad esso è una questione ben diversa dalla crisi della scienza; il passaggio dall'uno all'altro piano non è quindi legittimo. Facendo uso metodologicamente dell'astrazione ragionata, Lenin vede in queste posizioni gnoseologiche il prodursi quasi spiraliforme di posizioni idealistiche che nulla hanno a che fare con la scienza.

Affermando: “esse est percepi”, oggetto e sensazione si identificano e perciò reciprocamente si vanificano: la sensazione non è più una “impressione”, un sentire alcunché, cioè, al di là di una terminologia spontaneamente materialistica, resta solo una modificazione sostanzialmente spontanea della coscienza individuale.

“Berkeley considera l'idea dell'esistenza della materia o della sostanza corporea come una tale contraddizione, un tale assurdo che non vale proprio la pena di perdere tempo a confutarla” (Mat. ed Em., pag. 16).

Così come allora

“i nostri machisti - su una base di una filosofia sedicente "moderna" - hanno scoperto che l'ammissione della “cosa in sé” è il risultato della contaminazione o della perversione del materialismo ad opera del kantismo [... ed inoltre hanno scoperto che] i concetti di materia e di sostanza sono i resti di concezioni non critiche.” (ibidem, pag. 17)

Pur tuttavia Berkeley non sviluppa fino in fondo questa posizione, di cui sono stati accennati gli estremi risultati teoretici, ma in omaggio al “common sense” si arresta, come dice Fraser, a un “realismo naturale”, che nega solo l'espressione “filosofica” e quindi la dottrina, la teoria materialistica, accettando però, con pragmatismo ante litteram, “l'opinione dell'intero genere umano” e le stesse “scienze naturali” in quanto realismo ingenuo.

Per Lenin quindi Berkeley e la polemica tra Diderot e Hume pongono in luce e con più essenzialità e coerenza i problemi dibattuti nella seconda metà del XIX secolo. In questo senso Lenin afferma che

“i moderni machisti non hanno portato contro i materialisti nessun argomento - letteralmente nessuno - che non si trovi anche nelle opere del vescovo Berkeley.” (ibidem, pag. 28)

Lenin riconosce che dal punto di vista settoriale e tecnico, anche se si tratta di “tecnica ad altissimo livello”, i ricercatori empiriocriticisti, servendosi di strumenti scientifici, possono dare o aver dato contributi indiscutibili alla conoscenza della realtà: quello che contesta loro è il diritto di travalicare dall'empirismo venato di materialismo inconscio proprio di ogni ricerca scientifica in quanto tale, a generalizzazioni che riproducono puntualmente i vecchi argomenti idealistici propri ad impostazioni di tipo trascendentale e fideistico in ultima analisi, quali appunto le tesi berkeleyane.

Mach quindi rendendosi conto dell'assoluta opposizione delle due tendenze fondamentali della “filosofia”, usa dell'uno e dell'altro metodo confondendoli. Da un lato infatti afferma che “le cose ed i corpi sono complessi di sensazioni” e quindi si mette su un piano idealistico, da cui deriva inevitabilmente che tutto il mondo non è altro che la mia rappresentazione; e cioè una posizione idealistica coerente (insegni Nume) va fino al solipsismo e oltre, per attenerci solo alla filosofia occidentale. Ma Mach ammette l'esistenza delle altre persone dopo aver ridotto il mondo esterno alle sensazioni dell'io e quindi cade in una tipica contraddizione idealistica, che nonostante i suoi presupposti teorici ammette la prassi e la comunicazione” della dottrina medesima. Anche l'ammissione del legame tra sensazioni e determinati processi del cervello e più in generale del nostro organismo e in Mach, per gli stessi presupposti teoretici da lui assunti, una contraddizione, è una ripresa delle opinioni delle scienze naturali e del loro materialismo inconscio.

Mach sembra rimproverare al materialismo di non essere in grado di risolvere il problema dell'individuazione della sorgente della sensazione - problema per la cui risoluzione non si sono raccolti dati sufficienti - ma nello stesso tempo ammette la possibilità di venire a capo del problema anche se non tutti i suoi molteplici aspetti sono stati chiariti fino in fondo. In realtà il materialismo dialettico risolve il problema nei suoi termini più generali in quanto

“... in pieno accordo con le scienze naturali, considera come dato primordiale la materia e come dato secondario la coscienza, il pensiero, la sensazione; poichè la sensibilità è connessa in forma chiaramente espressa, unicamente alle forme superiori della materia (materia organica), mentre nelle “fondamenta dell'edificio stesso della materia” si può soltanto supporre l'esistenza di una facoltà simile alla sensibilità. Tale è, per esempio, l'ipotesi del noto scienziato Ernst Haeckel, del biologo Lloyd Morgan e di altri, per non parlare della citata congettura di Diderot.” (ibidem, pagg.36-7)

Rimane aperto ancora il problema, che il machismo risolveva solo apparentemente, del modo in cui la materia dotata di facoltà sensoria si unisce a una materia per quanto sembra sprovvista di tale facoltà, mentre la composizione di entrambe risulta formata da elementi affini.

“Il materialismo - asserisce Lenin - pone nettamente questo problema ancora insoluto, e con ciò incita a risolverlo, incita a nuove ricerche sperimentali.”

Si può dire, a giudicare da certi orientamenti generali e da certe ipotesi attuali, che ad esempio lo studio del cervello umano proceda nettamente su questa via, implicando, sia pure come interrogativo, la stessa questione della sensibilità dei processi più elementari non solo organici, ma persino di tipo elettronico chimico.

Nonostante le affermazioni (legate allo sviluppo delle scienze naturali) di Mach, lo stesso Avenarius tronca gli equivoci dichiarando apertamente che solo la sensazione può essere pensata come esistente, il che implica la sua esistenza senza ciò che egli chiama “sostanza”, in altre parole senza il cervello. Ciò permette a Lenin di contrapporre con grande evidenza a questa concezione quella materialistica, per cui

“...la sensazione è realmente il legame diretto della coscienza col mondo esterno, e la trasformazione dell'energia dello stimolo esterno in un fatto della coscienza in proprio questo legame che nega l'idealismo vedendo anzi la funzione della sensazione come quella di un muro, di una barriera invalicabile tra la coscienza ed il mondo esterno, in definitiva pertanto come l'unica realtà esistente. L'ammissione che ogni altra realtà, di cui la sensazione sia l'immagine, è tacciata di metafisica (Lenin cita Pearson, per altro idealista confesso).” (ibidem, pag. 42)

Certo, l'empiriocriticismo, specialmente nella sua versione machiana, ha cercato di reagire anche a queste difficoltà introducendo gli “elementi del mondo” a guisa di categorie di sensazione. Questo è solo, anche su un piano puramente logico, il differire la soluzione del problema, trasportandolo su un altro piano: ma o gli elementi sono sensazioni, e allora non esistono al di fuori della coscienza, o non lo sono, allora è contraddetto il postulato di partenza. Se il machismo si giova degli elementi per scrupolo di obiettività, non cessa per questo dal ridurre le cose a sensazioni, e qualora non lo facesse dovrebbe in un modo o nell'altro accedere a posizioni materialistiche, in quanto che verrebbe ad ammettere oggetti indipendenti dalla coscienza che generano la sensazione agendo sugli organi relativi, e:

“proprio questo è il materialismo: la materia agendo sui nostri organi sensori produce la sensazione, La sensazione dipende dal cervello, dai nervi, dalla retina, etc., cioè dalla materia organizzata in un modo determinato. L'esistenza della materia non dipende dalle sensazioni. La materia è primordiale. La sensazione, il pensiero, la coscienza, sono il prodotto più elevato della materia organizzata in un determinato modo.” (ibidem, pag. 46)

In questo senso Lenin introduce implicitamente la distinzione tra la “materia” in senso “filosofico” come “astrazione ragionata” delle svariate forme di fenomeni esistenti al di fuori ed indipendentemente dall'intelletto, che gli danno il contenuto sperimentale e quindi lo rendono possibile in quanto tale, e la contingente interpretazione fisica che in via ipotetica si può dare della struttura elementare della medesima. Quindi è affermazione essenziale che lo “spirito” è un prodotto storicamente tardivo della materia stessa, senza la quale del resto non potrebbe sussistere alcun contenuto “intellettuale” o “spirituale”.

Eleonora Fiorani e Fernando Visentin

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.