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Home ›Venezuela - Su un documento inviato al comando nazionale del MIR
Note critiche di «Prometeo» alla concezione strategica e tattica delineata dalla commissione politica del comando del dipartimento politico n. 12 nel suo documento inviato al comando nazionale del MIR
Sottolineando l'importanza di questo documento, nel richiamo introduttivo, abbiamo ricordato il suo valore polemico rispetto al «castrismo» che pare subire una sorta di «rilancio» nel Sudamerica, come forma particolare di stalinismo oscillante tra Mosca e Pechino - vale a dire, disposto a «combattere l'imperialismo occidentale» nella misura in cui opera come braccio esecutivo del meglio pagante imperialismo orientale. La «bandiera nazionale», manco a dirlo, è stata raccolta anche in questo caso specifico: e la collaborazione degli idioti delle varie frazioni trotskiste vi concorre, col capovolgimento della dottrina della rivoluzione permanente: la possibilità di realizzare non solo la rivoluzione democratico-borghese, ma quella stessa socialista, senza la dittatura proletaria, senza la direzione, in questa dittatura e nella lotta che sfocia nella rivoluzione, di un partito di classe. L'arco della controrivoluzione stalinista va così dal trotskismo deteriore al castrismo, dal maoismo all'ortodossia moscovita: la competizione per l'egemonia del movimento «popolare» guerrigliero si traduce direttamente pertanto in una corsa al massimo rinnegamento degli obiettivi comunisti.
Questi "punti" del gruppo Internacionalismo, lungi del resto dall'essere esaustivi di tutti gli aspetti di una strategia bolscevica, sono dunque più che sufficienti a contestare radicalmente un parto teorico come quello di Régis Debray, allievo del «filosofo» neo-stalinista Althusser, noto revisionista in senso «metodologico» (da noi, dellavolpiano) del marxismo, ed amicone e collaboratore del nuovo «maestro di color che sanno» trescare con ogni sorta di collaborazionismo di classe, Jean Paul Sartre (alludiamo a Rivoluzione nella rivoluzione?, pubblicato in Italia dalla Feltrinelli con la collaborazione di castro-trotskisti di Falcemartello). Indubbiamente questo preteso neo-Manifesto raccoglie vasti consensi: espliciti quelli filocinesi e, naturalmente, castristi e trotskisteggianti: ma non mancano quelli picisti. Debray incentra tutta la confusa congerie delle sue argomentazioni sull'attivismo guerrigliero, da cui dovrebbe sorgere l'avanguardia (partitica o meno) della rivoluzione «di massa» (essenzialmente contadina!), fermo restando il "fronte unico" antimperialista fra partiti vari, le cui divergenze non conterebbero sostanzialmente nulla, di fronte alla priorità della mobilitazione partigianesca. L'esempio è, manco a dirlo, quello cubano: elementi borghesi, piccolo-borghesi, stalinisti, che dalla lotta sulla Sierra giungono al «partito» castrista: in ogni caso, lo sviluppo e la stessa nascita di questo medesimo partito, pur visto come auspicabile, è fatto marginale in rapporto alla mobilitazione guerriglia, extraurbana, a-proletaria, da tradursi in «esercito ribelle popolare».
Debray non ne indaga il carattere né gli obiettivi, limitandosi ad insistere sull'«antimperialismo» e sulla «campagna», tutt'al più da smuovere per mezzo di elementi d'origine intellettuale-operaia. Significativo che l'eruditissimo autore, prodigo di riferimenti a Mao ed Ho-Chi-Min, non tocchi la vera e, nei suoi limiti di efficienza, valida « guerriglia contadina» che, per dirla con Marx, fiancheggiò durante la guerra civile in Russia la dittatura del proletariato (instaurata dall'insurrezione del medesimo) nel quadro di un organismo ferreamente controllato da un Partito degno di questo nome, l'Armata Rossa, sostanziata di energie proletarie e dotata di una ossatura direttiva politica integralmente bolscevica. Dal che risulta evidente la necessaria subordinazione della guerriglia contadina all'insurrezione operaia ed all'organizzazione armata proletaria sotto la guida del partito di classe. Ma certe omissioni si commentano da sé, ed è superfluo sottolinearne l'ovvietà.
Situazione attuale
continua dal numero precedente
Si ammette nel testo in questione che viviamo in un periodo di reazione (apprezzamento, va notato, in contraddizione con quanto si dice altrove sullo «sviluppo» della rivoluzione). Si parla di «Rivoluzione che ha patito una dura sconfitta relativa...», «Il nostro paese è entrato fin dall'anno 1961 in una fase di continuo riflusso, in un calo profondo dell'attività delle masse, che attualmente è di palpabile evidenza...». Ma dobbiamo fare riserve molto rigide sulla posizione nel suo complesso:
- Anzitutto, questo non è un corso valido solo per il Venezuela. Per capire ciò che succede in questo paese bisogna preliminarmente studiare la situazione generale mondiale.
- Esaminato in tal modo il paese, non si può dedurne che il corso reazionario iniziò solo dal 1961. In quell'anno a livello internazionale si ebbero grandi mutazioni? E poi, qual'era il carattere del corso storico negli anni anteriori al 1961: forse rivoluzionario? Era rivoluzionaria la vittoria dello Stato di Stalin alleato agli USA nella Seconda Guerra Mondiale? Era rivoluzionaria la spartizione del mondo in zone di influenza riservata, effettuata tra questi due imperialismi vittoriosi?
- Sul piano nazionale, parlare degli anni 1958-61 come di un periodo rivoluzionario, vuol dire confondere la rivoluzione con il processo di ristrutturazione politica dello Stato borghese, sempre al fine di assicurarsi meglio un più razionale sfruttamento del proletariato. Tutta la «attività» del PC, MIR e consorti in quegli anni non fu uno sbaglio, anzi una manovra riuscita nel suo intento di impedire che la caduta di Perez Jimenez sboccasse in un orientamento della lotta di classe degli operai.
Al momento «rivoluzionario» il MIR sta nel Partito governativo, e sorge come partito «rivoluzionario» in periodo rivoluzionario. Come si spiega un simile fenomeno?
Sviluppando la questione delle alleanze, si arriva al cosiddetto «Fronte Patriottico» e si afferma:
«Dobbiamo anzitutto notare che questo fronte in una fase di guerra civile non ha sussistenza, perché la guerra civile si caratterizza col porre in primo piano la lotta di classe, muovendo le masse contro i loro nemici di classe, e non col cercare l'alleanza di tutti i patrioti, che possono appartenere ad ogni classe. Un Fronte Patriottico ha luogo e vige in una guerra nazional-rivoluzionaria, posto che, quando il problema nazionale si pone in primo piano, allora diviene possibile l'alleanza dei patrioti al di sopra dei rispettivi interessi di classe...»
Condannare il Fronte Patriottico come inadeguato ad una guerra civile ed alle correlazioni delle forze in essa operanti, ma ammettere per contro che lo stesso fronte patriottico, «alleanza dei patrioti al di sopra dei rispettivi interessi di classe», è valido in una guerra nazional-rivoluzionaria, guerra possibile eventualmente in altro momento o luogo, significa condannare questo fronte sul piano immediato, giustificandolo teoricamente, in linea di principio. Sul piano teorico l'accordo è totale fra la Direzione Nazionale «nazionalista» ed i firmatari del documento. Nell'epoca della guerra e della rivoluzione, le guerre nazionali non sono rivoluzionarie. È rivoluzionario solo ciò che la storia e lo sviluppo delle forze produttive hanno posto all'ordine del giorno: la distribuzione del sistema capitalistico di produzione mediante la rivoluzione socialista.
Per finire i firmatari del documento affermano:
«La nostra unione (dentro al MIR) finora aveva funzionato come elemento catalizzatore delle lotte contro í settori più arretrati del Partito: i Rangel, Gumersindo, ecc. Non avevamo discusso realmente i problemi più essenziali della rivoluzione [... e questa unione e questa discussione riguardano] le differenti tendenze di classe coesistenti nel Partito.»
Tutta questa spiegazione è rivelatrice della concezione che hanno gli autori del testo in esame rispetto alla costituzione di un Partito rivoluzionario proletario. Non a caso paragonano la loro «unione» con l'«unione di tutti i patrioti contro l'invasore straniero», per cui «quando l'invasore è sconfitto e ricacciato, la guerra civile, la lotta di classe si espande e libera In tutta la sua grandezza». Il Partito proletario non si costituisce a immagine di un fronte patriottico borghese, bensì con principi, e con un programma che concreti la esperienza passata e la teoria rivoluzionaria. Il MIR tutt'al più sarebbe la confusione unita all'organizzazione della confusione, in cui gli elementi sinceramente rivoluzionari diluiscono e disfano la propria coscienza, immolandola sull'altare dell'Unità. Però fin dal principio il MIR si costituì, a dire il vero, su di una precisa piattaforma di netta ispirazione antiproletaria, come risulta dalla sua divisa di «liberazione nazionale». Le imprecisazioni e confusioni non sono qui puramente casuali, anzi, la confusione qui serve a frustrare ogni velleità proletaria di acquistare una coscienza di classe, ed infatti i firmatari del documento per il fatto stesso di non capirlo dimostrano che la coscienza rivoluzionaria non può mai svilupparsi in seno ad un'organizzazione costruita su simili basi.
Parlano della «...forza profonda della rivoluzione» (in Venezuela) e della «tradizione rivoluzionaria del collettivo». E che è questo, su cui sperano appoggiarsi?
- Hanno dimenticato completamente quanto dicevano sul corso reazionario attuale; sulla correlazione delle forze in pregiudizio della rivoluzione; e così le loro dichiarazioni sull'inevitabilità di restare «minoranza isolata» in condizioni simili.
- Per «la tradizione rivoluzionaria del collettivo» del MIR: forse che il MIR non fa una politica nazionalista, in unione con tutte le tendenze borghesi e piccolo borghesi?
- Un Partito Rivoluzionario non è invulnerabile al pericolo di degenerare poco a poco, però mai un Partito può diventare rivoluzionario «poco a poco». Non può esistere un Partito proletario senza una formazione, fin dal principio, fondata su basi classistiche rivoluzionarie.
- Indipendentemente dalla loro sincerità, i firmatari restano prigionieri del loro falso concetto della costruzione del Partito rivoluzionario. La loro critica tende a raddrizzare la linea del MIR, e resterà un vano desiderio. I fiori della rivoluzione proletaria non nascono né crescono sul letamaio del nazionalismo.
- Deplorano la decomposizione del MIR, e vogliono salvarlo. Non capiscono che questo processo di decomposizione è un segno positivo, che dobbiamo salutare come tale. Dobbiamo aiutare gli elementi proletari che si sono perduti, ingannati in questo Partito. Volendo impedire questo processo di decomposizione di un Partito non rivoluzionario, invece di disgregarlo con ogni mezzo, gli stessi autori del documento operano inconsciamente - ma effettivamente ed in questa misura come fattore reazionario.
Crediamo di aver svolto un nostro compito con questa critica, compito che consiste nel combattere sul terreno teorico manifestazioni politiche interne allo stalinismo, che, non «in linea», possono funzionare da falsa via d'uscita per il loro contenuto ideologico che le porta a servire incoscientemente interessi opposti a quelli di classe.
Siamo intransigenti, assolutamente contro ogni tendenza borghese, più o meno in maschera: ma siamo anche disposti ad aiutare rivoluzionari effettivamente e sinceramente in cerca di una soluzione, ed a tendere una mano agli elementi che, rompendo con lo stalinismo, si collochino nel campo proletario e così pervengano a rappresentare gli interessi del proletariato internazionale, lottando senza tregua contro i deviatori e falsificatori del marxismo, e proferendo contro di loro, contro ai loro slogans patriottardi, una sola frase, che racchiude una conclusiva determinante del conseguimento dell'unica patria del rivoluzionario, il mondo socialista:
Proletari di tutto il mondo, unitevi!
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
Prometeo #10
Anno XX - Serie III - Luglio Dicembre 1967
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