Dal 1968 a oggi

Nel 1968 esplose la ribellione studentesca. A essa gli internazionalisti dedicarono la dovuta attenzione con una serie di articoli e di volantini di agitazione che volevano porre l’accento sugli aspetti essenziali del momento e trarre le dovute indicazioni politiche per un’azione di classe.

La nostra posizione di allora, oggi ampiamente verificata, indicava nel movimento di massa degli studenti la manifestazione del profondo disagio che aveva investito i ceti medi a seguito del processo di accentuato accentramento economiche e di socializzazione del lavoro. La lotta alla dequalificazione degli studi e per la ristrutturazione della didattica erano di spinta a una lotta che nel suo inevitabile politicizzarsi doveva necessariamente urtare sia contro il tradizionale apparato di potere, sia contro gli stessi partiti di sinistra fino ad allora inattivi sul problema. Nei suoi aspetti politici, la lotta all’inattività dei partiti di sinistra s presentò dunque come acerrima critica alla burocratizzazione di cui erano affetti e al loro... imborghesimento. La "Grande Rivoluzione Culturale Proletaria Cinese" fu l’evento occasionale che doveva attirare l’attenzione e le simpatie degli studenti, al di là di qualsiasi serio esame politico dei suoi contenuti reali e dei suoi significati.

Le nuove forze dell’opportunismo, funghi nati sul cadavere decomposto della Terza Internazionale e segno della fase terminale del processo controrivoluzionario avviatosi con la vittoria del Capitalismo di Stato in Russia sotto Stalin, gagliardamente orientate verso la riedizione stalinista in Cina, non potevano non trovare ottimo alimento nelle file studentesche piccolo-borghesi. Tale movimento trascinò strati non indifferenti degli stessi professori e maestri dei quali oggi molti sono reduci proprio dalle esperienze del 1968-69.

Come la parabola dei gruppi ha visto un loro massiccio rientro sotto le ali materne e ampie della socialdemocrazia, così era ovvio che gli insegnanti che a quei gruppi aderiscono o simpatizzano si trovino oggi in posizione quantomai equivoca e al fondo subordinata a quella dei riformisti dichiarati.

L’incapacità di muoversi su ben definita linea di attacco inesorabilmente tesa alla soluzione rivoluzionaria, caratterizza la situazione degli insegnanti "extraparlamentari". Un accanito rivendicazionismo che, mentre viene sistematicamente ridimensionato o nullificato dalla accorta critica dei sindacati, trova con la linea di questi e con il riformismo fine a se stesso significativi punti di contatto, è invece la caratteristica degli studenti di questi gruppi. A essi va quindi rivolta la stessa critica e parimenti dura che rivolgiamo ai riformisti dichiarati, con i quali i gruppetti mostrano peraltro di andare d’accordo, certamente più di quanto non s’intendano con la linea rivoluzionaria di classe.

Ma è il caso di esaminare attentamente le posizioni sul problema scuola che emersero nel 1968 e come vengono portate avanti oggi, tenendo presente la natura prevalentemente piccolo-borghese dei gruppi che le sostengono e degli interessi veri che nascondono.

La dequalificazione degli studi

Fra i problemi posti in essere dalla dinamica strutturale e che la scuola di per sé non può risolvere è quello particolarmente sentito della dequalificazione degli studi, contro cui al fondo va l’opposizione studentesca. Nel 1968 ci si limitò a mettere in evidenza il dato di fatto. Solo gli internazionalisti, come forza organizzata, lo inserirono come un dato in più a favore della tesi che pone come prioritaria la necessità di un collegamento politico diretto con la piattaforma e il programma rivoluzionario del proletariato.

Tutte le altre forze, che agivano con peso preponderante nelle scuole, impostarono invece la lotta diretta contro la dequalificazione, raccogliendo per le ragioni viste la solidarietà della massa studentesca. Si posero così oggettivamente sul terreno della conservazione degli antichi privilegi della piccola borghesia intellettuale e quindi sul terreno controrivoluzionario.

Cosa significa dequalificazione e da dove viene? È questa la domanda a cui si deve rispondere per poter impostare correttamente la lotta contro la scuola borghese. Se è necessità dunque della borghesia elevare il livello delle conoscenze e delle capacità tecniche della forza lavoro sfruttata, ciò significa che lo stato borghese apre le porte degli studi medi superiori agli strati inferiori della società. Ma elevazione del livello medio di conoscenza della mano d’opera non significa impiego esclusivo di tecnici ed eliminazione della forza lavoro non qualificata, bensì più semplicemente aumento consistente del numero di tecnici e la loro messa a diretto contatto con le maestranze delle categorie inferiori, sulle quali eserciteranno funzioni di guida e controllo tecnico.

L’aumento nelle file di tecnici diplomati nei termini visti comporta il declassamento degli stessi. In altri termini non sono i proletari elevati ai privilegi delle stratificazioni intermedie dei tecnici di una volta, bensì sono i tecnici a essere declassati al rango di proletari.

Ciò crea due tipi di reazione apparentemente contrapposti: da una parte i lavoratori muoveranno verso l’immissione dei propri figli a scuola nella speranza che essa apra loro un futuro migliore di quello che la società riservò ai loro padri, dall’altra i ceti medi e la borghesia, tradizionali alimentatori delle medie superiori e delle università soffriranno della degradazione (dequalificazione appunto) che gli stessi studi subiscono e del declassamento di cui saranno oggetto i loro benamati figlioli.

Non è un caso che nel 1968 fossero molto più attivi nella contestazione studentesca i figli di borghesi e piccolo borghesi che non i figli (ancora pochi) di proletari.

Da marxisti, prendiamo atto del fatto, ormai per noi acquisito, che le lotte tendenti a bloccare i processi di crescita del capitalismo in favore del mantenimento dello status-quo, non solo hanno un sapore nettamente controrivoluzionario, ma sono destinate alla sconfitta siano esse presentate in forma democratica e "progressista" o in forma reazionaria. L’esperienza specifica degli ultimi anni ha dato prova evidente di ciò, mostrando l’acuirsi del fenomeno dequalificazione e la sconfitta delle basi motivazionali delle lotte studentesche.

Se dal punto di vista politico generale i gruppetti sono rientrati in pieno nel solco maestro della socialdemocrazia così come essa si presenta i giorni nostri, dal punto di vista dell’azione nelle scuole, tali organizzazioni sono ridotte a rincorrere i motivi di una protesta parasindacale sugli argomenti più minimali, futili, che la vita scolastica italiana presenta in tutto il suo squallore. Si impone oggi con chiarezza ciò che gli internazionalisti, fin dal 1967, indicavano: ritrovare anche sul problema specifico della dequalificazione i motivi per il rafforzamento di una politica di classe, che nella scuola si riallacci alla politica rivoluzionaria complessiva al sistema, nella prospettiva reale della dittatura proletaria e del socialismo.

I termini di tale politica, impliciti in quanto detto per chi sappia guardare ai fatti con il metodo classista, sono dunque i seguenti:

  • gli studenti rivoluzionari, coscienti del loro futuro di operai altamente specializzati che il sistema sfrutterà nei nodi dell’apparato produttivo a maggior contenuto tecnologico e tenterà di separare dal resto della classe operaia con retribuzioni più alte, accolgono la fine dei privilegi dei ceti medi e la loro immissione nelle file del proletariato facendosi soldati della classe per il compimento del suo compito rivoluzionario
  • rivendicano il diritto per tutti di accedere al loro grado di conoscenze tecniche e ai loro futuri livelli retributivi; tale battaglia la condurranno sul duplice fronte economico e ideologico;
  • sui contenuti dell’insegnamento, contro la selezione e contro la meritocrazia, si battono denunciando incessantemente la natura controrivoluzionaria e antioperaia della scuola e indicando la strada rivoluzionaria, al fianco della classe operaia impiegata sui posti di lavoro e irretita nelle maglie della socialdemocrazia;
  • non lotta alla dequalificazione dunque, ma lotta per il riconoscimento dei diritti della classe operaia a cui gli studenti rivoluzionari rivendicano la loro appartenenza.

Diritto allo studio

È nell’immediato interesse della classe operaia l’immissione dei propri figli nella scuola. La loro espulsione dalla scuola dell’obbligo comporta il declassamento al rango di sottoproletari emarginati dalla produzione. La continuazione degli studi oltre l’obbligo, se non è garanzia di una condizione sociale diversa da quella del proletariato, rappresenta comunque l’adeguamento della forza lavoro ai livelli raggiunti dalla composizione organica del capitale, l’adeguamento cioè della mano d’opera agli avanzati livelli tecnologici raggiunti dalle moderne combinazioni produttive.

Guardando al futuro post-rivoluzionario, affermiamo che il possente sviluppo dei mezzi produttivi avverrà sulla base dei ritrovati tecnici più avanzati e sulla base della più spinta automazione, il che garantirà, ferma restando la più ampia socializzazione del lavoro, il minimo impegno di tempo nella produzione sociale e la reale possibilità all’interno del piano sociale, di sviluppo della personalità. Il socialismo garantirà a tutti l’accesso alle conoscenze a tutti i livelli perché il lavoro dell’uno andrà a vantaggio di tutti e la produzione sociale andrà a vantaggio ciascuno a parità concreta di diritti.

Viceversa, lo stato borghese adegua il funzionamento della scuola alle esigenze e ai profitti del sistema capitalistico di produzione: regola la necessità di frequenza alle scuole superiori nella misura richiesta dall’apparato produttivo; propaganda e potenzia nelle attrezzature, per esempio, le scuole di specializzazione chimica, quando la stessa industria chimica diventa un settore produttivo importante, oppure seleziona e sfavorisce quei settori di specializzazione che non gli assicurano più profitti o di cui non ha più bisogno.

Sebbene da un punto di vista tecnico, lo stato borghese sia in grado di garantire la scuola a tutti, esso non è disposto a riconoscere tale diritto per il semplice, ma fondamentale motivo che ciò costituirebbe la chiusura di una potente valvola di alimentazione dell’esercito industriale di riserva, privo qualificazione, da usare come mercato di approvvigionamento di mano d’opera sottopagata e come strumento di pressione e di ricatto sulle lotte rivendicative del proletariato.

La negazione di un vero diritto allo studio il capitalismo la attua seguendo due direttrici fondamentali:

  • una economica, facendo gravare sulle famiglie il costo reale dello studio dei giovani;
  • una sovrastrutturale, operando cioè una selezione fondata sui già discussi criteri meritocratici propri della società borghese.

Contro entrambe le forme di negazione del diritto allo studio deve rivolgersi la lotta degli studenti e degli insegnanti. Essendo fondamentalmente falso il concetto diffuso dalla ideologia borghese che la frequenza e la riuscita a scuola sia il presupposto di una elevazione sociale e che quindi sia esclusivo interesse dell’individuo, va affermato invece che, essendo la scuola borghese, i suoi costi devono gravare sullo stato borghese. Parlare di costi per la scuola significa non solo parlare di costi per i libri e le altre cose su cui si impegna lo spirito caritativo dello stato, bensì significa rivendicare la assoluta gratuità. Tasse, spese per libri e materiale di consumo e ogni altro costo gravante sulla famiglia dello studente devono essere eliminati.

Non deve essere la classe operaia a pagare il prezzo della preparazione delle nuove leve di sfruttati. Se lo stato non è in grado di soddisfare questa richiesta, per lo stato in cui versa e verserà il suo bilancio, gravato sia dalle voci proprie al bilancio di qualsiasi stato borghese, sia dalle voci segrete proprie alla tradizione di corruttela che caratterizza il "nostro" apparato burocratico, questo non è un motivo per cui la classe operaia debba rinunciare a questo diritto.

È semmai un motivo in più della necessità del suo abbattimento, un contributo in più alla maturazione della coscienza rivoluzionaria. Ma perché sia così nella realtà, perché la lotta non si sperda nei meandri del rivendicazionismo contingente, è necessario che le lotte rivendicative siano condotte con la precisa consapevolezza politica delle sue implicazioni, che è propria del partito rivoluzionario; dovranno cioè essere sorrette e guidate dalle forze del partito rivoluzionario.

Non è da escludersi, in via di principio, la soddisfazione delle rivendicazioni contingenti, per esempio della gratuità dei testi. Ma quando anche ciò avvenisse, sarà compito di quelle stesse forze politiche della classe rivoluzionaria, indicare la truffa che dietro l’apparente cedimento dello stato si cela: lo stato borghese non potrà prelevare che dal fisco, e quindi ancora dalle tasche della classe operaia, i fondi necessari alla fornitura dei libri o del materiale, eccetera. L’aumento delle spese scolastiche nel bilancio statale sarà proporzionale all’aumento erariale strappato al salario operaio.

Ma i costi della scuola per la classe operaia non si limitano solo a quelli diretti. Esistono anche i costi indiretti che sono quelli determinati per lo più dall’abbandono degli studi dopo l’obbligo - per la maggioranza dei figli di operai e contadini. Sono i costi rappresentati dai mancati redditi, dal mantenimento dei figli non direttamente produttivi.

Diritto allo studio reale significa sufficiente disponibilità finanziaria da parte delle famiglie e comunque possibilità di automantenimento degli studenti. L’istituto del presalario svolgerebbe la sua funzione solo se generalizzato a tutte le scuole e a tutti gli studenti senza preclusioni di merito. E lo stato borghese, anche nelle sue manifestazioni più avanzate, non dà questo pre-salario.

Per quanto riguarda il secondo aspetto della selettività della scuola, quello culturale, va notato che la selezione di fatto avviene ancor prima che si ponga direttamente ai giovani il quesito se continuare o meno gli studi dopo il periodo dell’obbligo.

È dato per scontato da tutti, ma velocemente dimenticato, il fatto che le capacità individuali, su cui si basa il giudizio borghese sull’opportunità di continuare gli studi sono condizionate in partenza dall’ambiente economico e sociale e conseguentemente culturale, di provenienza. Non è il caso di ripetere i dati statistici arcinoti che provano come i meno dotati appaiano sempre i figli di operai e contadini.

Questa loro "incapacità" viene subito fatta pesare, posta in mille modi in evidenza, inculcata nella mente dei giovani e delle loro famiglie fin dalle prime esperienze scolastiche. Non mancano alla scuola i mezzi per convincere gli oppressi di essere cretini e quindi oppressi per vocazione, per fatale collocazione. Tale convincimento opera in maniera determinante quando si tratta di decidere per la continuazione degli studi o meno, con il risultato di una auto-selezione.

È compito specifico dei rivoluzionari battersi contro questa forma di negazione del diritto allo studio:

  • evidenziando il fatto che si tratta di una forma di autocensura indotta dall’ideologia della classe dominante in funzione della difesa dei suoi interessi di dominio e di sfruttamento;
  • mostrando, punto per punto, la responsabilità dell’ideologia borghese per mostrare la sua natura reazionaria e antioperaia;
  • lottando a fondo all’interno della scuola contro le forme in cui tale ideologia borghese si manifesta e le conseguenze pratiche: bocciatura, impostazione meritocratica e competista dei sistemi pedagogici, eccetera.

Su questa battaglia rivoluzionaria, in difesa degli esclusivi interessi del proletariato, non dovrà gravare alcuna ipoteca efficientista; non dovrà cioè essere lasciato spazio alcuno alla considerazioni proprie al progressismo piccolo borghese, rinunciatario sulla necessità di svolgere i programmi, di far acquisire comunque conoscenze e nozioni, ecc. È proprio alla politica rivoluzionaria, non la ricerca sistematica del compromesso fra gli opposti per le comode soluzioni, bensì il porre in risalto la contraddizione che si presenta fra gli interessi della classe operaia e le strutture della scuola borghese che a essi si oppongono.

Lo sviluppo della critica in questo senso è un contributo alla affinazione delle armi politiche della lotta rivoluzionaria al sistema contro il quale la classe operaia scatenerà l’assalto.

È evidente a questo punto il rifiuto sia dell’impostazione socialdemocratica del problema del diritto allo studio, sia del mero rivendicazionismo dei gruppetti, da tempo arenatosi sulle secche della realtà borghese.

Riforma della scuola

Da quanto detto risulta già implicitamente che ogni riforma della scuola è pressoché impossibile, non solo nella situazione italiana, ma più in generale in tutti i paesi a capitalismo avanzato.

Vale la pena di ripetere che quando il sistema capitalista nella sua dinamica di sviluppo mette in crisi uno dei suoi istituti al punto che la sua realtà e le istanze che in esso maturano cozzano con le strutture portanti del suo essere economico e sociale, nulla è più possibile fare se non abbattere il sistema medesimo e lo stato che ne è rappresentante.

La scuola e le sue crisi sono un chiaro esempio particolare e concreto di questo enunciato generale e astratto della dottrina rivoluzionaria.

Dove dovrebbe operare lo stato perché la riforma che esso cerca sia veramente tale?

Fissato che la resistenza del corpo insegnante alla riforma del 1962 si fa sentire ancora oggi con gli atteggiamenti noti e viene ancora oggi giustificata con i giudizi severi emessi dagli insegnanti sugli "allievi d’oggi", la nuova riforma dovrebbe operare proprio sul terreno del rapporto docente-discente al fine di risolvere il problema del "rendimento". È ormai chiaro che tale problema rimane insolubile a meno di cambiare il contenuto del termine, a meno cioè di pensare al rendimento in termini di "socializzazione" del maggior senso critico dei "nuovi allievi".

Il problema è cioè di regolare i rapporti fra gli allievi e i loro insegnanti in modo tale che questi riescano a integrarsi nella comunità degli studenti in qualità di guide e di accompagnatori verso l’inserimento no conflittuale nella società. Sfidiamo lo stato borghese a fare questa riforma. Essa si scontra da una parte con l’alienazione crescente del proletariato che se non lo porta ancora a contrapporsi come classe al sistema del suo sfruttamento è certo la condizione migliore perché i singoli suoi figli si avviino gioiosi alla catena di montaggio in tutte le sue forme; d’altra parte, la riforma dovrebbe distruggere il rapporto di autorità sin qui valso a regolare i rapporti docenti-discenti e sappiamo che il rapporto di autorità è corpo e sangue della scuola borghese e a fondamento della stessa ideologia borghese.

La riforma dovrebbe poi indirizzarsi ai contenuti per risolvere, secondo quanto abbiamo visto, il problema del distacco fra gli insegnanti e le loro vittime. Dal momento che i contenuti che interessano il proletariato sono quelli della sua dottrina rivoluzionaria, non sarà certo lo stato borghese a compiere quella riforma. Può tutt’al più operare perché a scuola si parli meno di Enrico VIII e un po’ più dell’attuale problematica borghese.

Ma perché questo sia possibile è necessario che cambino gli stessi metodi di insegnamento. ma come - visto che le stesse indicazioni della riforma del 1962 sono tuttora per lo più inascoltate? Si parlava allora di adozione di processi induttivi, di individualizzazione dell’insegnamento, di "socializzazione" dell’insegnamento; le stesse cose su cui si batte ancora la minoranza democratica nella scuola. La nuova riforma non potrebbe che riproporre le indicazioni di allora e scontrarsi con la psicologia e il modo d’essere della categoria insegnante, senza poter nulla concludere.

Altro grosso nodo che la riforma dovrebbe affrontare da quanto visto risulta essere quella del diritto allo studio, reclamato a gran voce da strati sempre più ampi della popolazione.

Qualsiasi intrapresa dello stato borghese in questo senso si ridurrebbe nei fatti a una presa in giro.

Dato il sistema sociale non è possibile risolvere il problema dal lato economico: il capitalismo non sarà mai in condizione di assicurare a tutte le famiglie una autosufficienza tale da consentire ai figli di continuare gli studi. Né è possibile eliminare i meccanismi dell’autoselezione culturale.

Dicono Barbaglio e Dei:

Il fatto più rilevante è che i privilegi e gli svantaggi socio-economici della famiglia di origine vengono trasmessi ai figli, nel processo di socializzazione primaria [che si avvia nella famiglia fin dai primi anni di vita dei figli - ndr] sotto forma di “capitale culturale”, cioè sotto forma di codice linguistico, di valori, di atteggiamenti, di informazioni [...] I meccanismi occulti di eliminazione sociale si verificano dunque grazie a una singolare alleanza fra scuola e famiglia.

Pienamente d'accordo con le premesse, non consentiamo invece nelle conclusioni che i due autori traggono sul piano politico. Secondo loro:

il doposcuola avrebbe potuto costituire un primo passo per ridurre l’efficacia dei vari meccanismi occulti di selezione sociale.

Dallo loro stessa indagine risulta che gli insegnanti, nella stragrande maggioranza dei casi, si prestano come ripropositori di quegli stessi codici su cui avviene la selezione e la auto selezione, come i continuatori dell’opera intrapresa dalla famiglia. Lo stesso doposcuola, così come è stato finora attuato, è la riproposizione dei meccanismi più fortemente selettive, addirittura "palesi", poiché è di esperienza comune, soprattutto nella provincia, la diserzione del doposcuola da parte proprio dei "meno dotati", che vanno a lavorare part-time presso piccole industrie o imprese artigianali o che subiscono frustrazioni tali nelle ore antimeridiane da tenerli ben lontani dal luogo della loro "tortura" se appena possono.

Né la scuola a tempo pieno riuscirebbe a risolvere il problema dell’attenuazione dei meccanismi occulti giacché costituirebbe solo una estensione del "tempo di esposizione" dei giovani agli influssi di una categoria insegnante, inestricabilmente legata al suo ruolo e alle sue caratteristiche di base ben evidenziate dagli autori citati.

Questo nella scuola dell’obbligo. Nelle superiori, istituti professionali, tecnici, licei e università, la selezione si è già verificata sul piano della trasmissione del "capitale culturale" e prosegue sul piano più specificatamente del "profitto". Quale diritto allo studio, inteso come diritto alla conoscenza, può dunque dare lo stato borghese, se non la conferma di tale diritto per i "più dotati" con tutto ciò che questo significa?

Strettamente connesso ai temi visti resta quello dell’antitesi fra selezione e formazione del cittadino. Sostengono i riformatori in potenza che la selezione, di cui lamentano da bravi filistei piccolo borghesi i vistosi effetti che tutti conosciamo, è contraddittoria con la funzione propria alla scuola di formare i cittadini. Vorrebbero dunque che la scuola limitasse la selezione per consentire al maggior numero di persone di "formarsi" come cittadini, membri consapevoli di una società. È qui la sintesi della loro totale incomprensione del problema e dell’impotenza di qualsiasi riforma borghese.

Se, come visto, la scuola ha proprio la funzione istituzionale di preparare i giovani all’inserimento nella vita produttiva e sociale ai vari livelli in cui essa si esplica, nessuna riforma potrà eliminare la selezione di fatto.

La selezione è già insita nel concetto di "formazione del cittadino" che in società borghese significa diversificazione del ruolo e delle funzioni economiche e sociali. In altri termini, la selezione non è là dove i riformisti la vorrebbero individuare (poiché selezione e formazione del cittadino sono tutt’uno) bensì fra le istanze antiselettive che sono in via di maturazione nella realtà sociale e le strutture portanti della scuola borghese. Non è quindi modificando le forma in cui essa si presenta che si elimina la contraddizione, la quale troverà il suo naturale (dialettico) superamento solo nell’ambito del processo rivoluzionario che si aprirà con l’abbattimento dello stato borghese e rivolto all’abolizione reale della di visione del lavoro.

Tacere questo per la mai abbastanza fustigata smania del "concreto" significa di fatto asservire la propria politica agli interessi culturalistici della conservazione borghese.

Noi riteniamo viceversa che l’opera dei rivoluzionari debba essere in primo luogo rivolta all’assolvimento di questo compito, debba essere cioè tesa a demistificare le riforme borghesi per suscitare l’odio verso questa società e la volontà del suo abbattimento.

Vale la pena ricordare la polemica che si svolse nella Federazione giovanile dello Psi nel 1912 che culminò con l’approvazione da parte del Congresso dell’organizzazione giovanile delle tesi della sinistra sul tema "educazione e cultura". Contro la destra taschiana che voleva attribuire addirittura al Partito il compito di;

creare competenti organizzatori e buoni produttori, mediante un opera di elevamento e di perfezionamento tecnico professionale senza il quale non sarà realizzabile la rivoluzione socialista...

la sinistra si espresse vigorosamente nei termini che seguono:

Il Congresso, considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un’arma di potente conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani un’educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale e impedisca loro di scorgerne le essenziali contraddizioni, rilevando dunque il carattere artificioso della cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi a una riforma della scuola nel senso laico e democratico...

Hanno forse cambiato idea i giovani di allora che votarono per questa mozione, I Longo i Terracini e compagni? Può essere. Resta il fatto che oggi predicano tutt’altro, senza che nulla nei rapporti di classe sia cambiato. Noi restiamo fedeli all’impostazione di allora e ci battiamo perché questa impostazioni trovi una sua valida traduzione in termini di lotta nella scuola, in termini di battaglia politica per il comunismo.

Vediamo brevemente (sono temi che andranno più dettagliatamente ripresi) dove opera invece la riforma della scuola oggi.

Circa il primo punto (rapporto docente-discenti) si cerca di ovviare agli... inconvenienti con panacee tipo corsi di aggiornamento che si vorrebbero obbligatori e con una più intensa attività di "scambio di esperienze" fra insegnanti e fra insegnanti e genitori. La normativa fissata dai decreti delegati circa i cosiddetti organi di gestione, rendendo obbligatori certi istituti di discussione e regolando il rapporto fra corpo docente e genitori vuol venire incontro alla necessità, senza peraltro soddisfarla, di integrare maggiormente i genitori alla vita scolastica in modo da renderli corresponsabili dell’opera che a scuola si svolge. In tal modo, si pensa di risolvere le profonde tensioni esistenti fra studenti e insegnanti cui contribuisce certamente la estraneità delle famiglie alla vita scolastica. La stessa elettività di alcuni organi (che peraltro sono quelli con meno potere decisionale) vorrebbe non far prevalere le istanze che nella scuola si agitano per una lotta decisa alla selezione, bensì rendere partecipi i genitori, e gli stessi studenti, dell’ambito culturale in cui si operano le scelte della scuola borghese.

Fatto notevolmente strombazzato è la "conquista delle 150 ore" per i lavoratori. Sono il mezzo di cui lo stesso capitalismo avanzato necessitava per aggiornare e maggiormente qualificare la manodopera che esso impiega. Se ciò turba i soni dei piccoli industriali, che si troveranno a dover pagare controvoglia ore che essi giudicano affatto improduttive e che per la realtà della loro economia improduttive lo sono davvero, questo non va certo contro l’interesse generale del sistema e dei suoi rappresentanti più qualificati (i Pirelli, Gli Agnelli, i Cefis, i Petrilli eccetera). La concentrazione monopolistica miete le sue vittime in molti modi nello stesso campo borghese. L’utilità reale per la classe operaia resta tutta da dimostrare. Naturalmente parliamo di utilità per la classe, non per gli individui che materialmente fruiranno delle 1560 ore i quali sul piano puramente individuale, quindi in qualche modo egoistico, trarranno certo alcuni vantaggi. Il fatto è che per la completa attuazione della normativa e per vincere le resistenze di alcuni settori borghesi sarà chiamata a lottare la classe intera. Potenza dell’opportunismo oggi!

Per quanto riguarda lo stato giuridico degli insegnanti, a parte alcuni vantaggi corporativi (non molti) l’aspetto qualificante a parere riformista è l’aumento delle ore settimanali che salgono... a 23 ore comprese le cinque ore per le attività complementari, come partecipazione ai vari organi e istituti nuovi.

Nulla viene modificato riguardo il ruolo istituzionale, né riguardo le loro vere responsabilità.

Né potrebbe essere diversamente. In cambio, il 4° Decreto delegato sancisce la loro assoluta schiavizzazione alle norme della scuola borghese e alla burocrazia ministeriale. Infatti sono state perfezionate le norme punitive: che non fa "il suo dovere" può venire ora più facilmente allontanato, e non dal consiglio dei professori e genitori, non dal distretto, ma dal... preside.

Quanto sopra a titolo puramente indicativo e generale. Gli insegnanti e gli studenti internazionalisti si impegneranno a smascherare punto per punto gli aspetti di questa o di altre riforme che lo stato borghese e i suoi fedeli servi vorranno avanzare. Più urgente è precisare i termini della linea proletaria oggi.

Scuola e politica rivoluzionaria

Per una impostazione di classe del problema scuola - Per una azione di classe nella scuola - 1a edizione 1975

Gruppi sindacali internazionalisti (settore pubblico-scuola)