Onorio ad Alfa - 6 luglio 1951

Ho esaminato il tuo documento redatto sulla traccia dei tuoi motivi di assalto contro certe posizioni teoriche e politiche prevalenti in alcuni gruppi internazionali provenienti quasi tutti dal trotskismo, e ti dico subito che sotto certi aspetti ho preferito allo scritto la tua esposizione orale di Roma per una maggiore acutezza di analisi e forse anche per una maggiore compiutezza.

Ti riassumo qualche mia osservazione affrettata.

Nel capoverso 5 dei capisaldi di orientamento affermi che in Russia l'economia tende al capitalismo e ne dai la ragione a pag. 8 dove scrivi che

“il carattere monetario, mercantile, redditiero e titolaristico del tessuto economico russo predominante, per nulla inficiato dalle statizzazioni di grandi industrie, servizi, ecc...”

Non mi pare che tu contribuisca con ciò a precisare l'idea di una economia sovietica a struttura di capitalismo di Stato in un mondo economico nella fase più acuta del suo sviluppo monopolistico.

La tendenza a un sempre maggior intervento dello Stato, che è caratteristica di questa fase dell'economia nei paesi industrialmente più progrediti, trova nella economia sovietica la sua manifestazione più organica, più definita e completa. Sulla generale linea di sviluppo del capitalismo monopolistico la Russia ha potuto bruciare più d'una tappa, grazie alla Rivoluzione d'ottobre che ha consentito l'accentramento più assoluto dell'economia nell'ambito dello Stato, e grazie alla controrivoluzione stalinista che si è servita di questo enorme potenziale economico così accentrato per ingigantire il potere dello Stato e dare l'avvio all'esperienza estrema del capitalismo.

Il protagonista di questa fase della storia è dunque lo Stato la cui economia riproduce i modi e i caratteri, su scala forse allargata, propri della produzione e della distribuzione capitalistiche (salario, mercato, plusvalore, accumulazione, ecc.).

Quale la nuova classe che attraverso questo Stato esercita la propria dittatura? La strapotenza dello Stato sovietico non può non aver risolto in concreto il problema d'una sua classe dirigente omogenea e forte, per la coscienza che ha del proprio essere di classe e della funzione storica che è chiamata a compiere.

Non mi pare che quanto tu scrivi in proposito sia soddisfacente e porti elementi risolutivi tra gruppi internazionali così divisi e smarriti su questo problema della definizione della nuova classe dirigente sovietica. Non è storicamente possibile che il più accentrato e ferreo esercizio del potere che la storia ricordi possa essere demandato ad una

“ibrida coalizione e fluida associazione tra interessi interni di classi piccolo-borghesi, medio-borghesi, intraprenditrici dissimulate, e quelli capitalistici internazionali, ecc.”.

Sempre nel capoverso 5 dei capisaldi di orientamento, al

“trasporto delle forze di classe in tutti i paesi sul terreno dell'autonomia di fronte a tutti gli Stati”

tu affidi il compito supremo di

“infrangere il potere capitalistico nei paesi industriali più progrediti di occidente che sbarra la via alla rivoluzione.”

C'è da domandarsi: proprio soltanto i paesi industriali più progrediti di occidente sbarrano la via alla rivoluzione?

Inoltre a pag. 3 sempre sullo stesso argomento scrivi:

“Questo decorso confuso e sfavorevole della lotta proletaria, coincidente coll'aumento inarrestabile della industrializzazione capitalista altamente concentrata, sia come intensità nei paesi di origine che come dilagante diffusione in tutto il mondo abitato, viene a vantaggio dell'avanzata con cui la massima forza dell'imperialismo moderno, quella americana, tende, secondo la natura e la necessità di ogni grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione, di potere, ad assoggettare al suo sfruttamento e alla sua oppressione, brutalmente spezzando ostacoli territoriali e sociali, le masse di tutto il inondo.”

C'è ancora da chiedersi: proprio soltanto la massima forza dell'imperialismo moderno, quella americana, tende ad assoggettare, ecc. le masse di tutto il mondo?

In un altro passo di un altro tuo scritto recente, che non ho però sotto gli occhi, parli di una Russia pacifista di fronte ad un'America bellicista.

“Il motivo conduttore è poi sempre lo stesso; soltanto per un errore della diplomazia sovietica e per un falso calcolo dei suoi uomini politici venne applicata nell'ultima guerra quella tale strategia politica che è sboccata - lasciamo andare a quella vergognosa autoliquidazione dei relitti della grande Internazionale Comunista - (non erano già forse marci fin nelle ossa e legati anima e corpo all'imperialismo?) nel rafforzamento di un potere imperialista occidentale, che troppo tardi governo e stato maggiore russi riconoscevano più minaccioso di quello tedesco, agli stessi loro fini ormai di aperto carattere nazionale.”

In una parola Mosca è vista come la centrale di una errata politica, antiproduttiva anche dal punto di vista del puro interesse nazionalistico, e non come la centrale d'un imperialismo alla pari con quello americano nel porre in funzione russa il problema del dominio del mondo.

La rivoluzione anticapitalistica del proletariato non esclude, voglio sperare, il regime sovietico e non si muove secondo i criteri di una graduatoria dei Paesi capitalistici da abbattere, ma colpisce l'avversario, quando e come può, là ove questi appare più debole; ha colpito ad es. nel 1917 il capitalismo internazionale nella Russia zarista non considerata certamente matura ai fini del socialismo in confronto all'Inghilterra, alla Germania ecc., e noi ne conosciamo bene le ragioni.

Per il resto accentuerei l'analisi critica consentita dalla constatazione che l'avversione allo stalinismo di ogni secessione parte più dalla spinta della difesa della personalità umana e della indipendenza nazionale che da una esigenza di classe e dalla preoccupazione di portare materiale vivo e operante alla ricostruzione del partito internazionale del proletariato.