L'incubo nucleare - L'energia nucleare è economicamente competitiva?

A giustificazione delle scelte del nucleare vi sarebbe la teoria, un tempo accettata dai più, della sua estrema competitività rispetto ad altre fonti energetiche. Ciò è assolutamente falso.

Il nucleare richiede enormi investimenti con recupero di profitti molto dilazionato. Il nucleare arricchisce le multinazionali del settore, ossia le imprese che progettano o costruiscono gli impianti, ma sicuramente non si profila come buon affare per gli stati che commissionano gli impianti e utilizzano questa forma di energia.

Per diverso tempo un chilowattora è costato circa il 30% in meno di un chilowattora prodotto con l'olio combustibile; ma nei costi non erano conteggiati alcuni importanti fattori come ad esempio il previsto smantellamento delle centrali dopo poco più di una ventina di anni dì servizio (l'ingordigia del capitalismo sposta di molto questi limiti con un obiettivo aumento di rischi delle probabilità di incidenti).

Il minor costo del nucleare non è stato mai oggettivamente sostenibile, ma ha rappresentato un luogo comune diffuso dagli interessati operatori del settore.

Oggi, col crollo del prezzo del petrolio, il costo per chilowattora arriva ad essere fino al 50% superiore a quello ottenuto con altri sistemi.

La composizione dei costi va decifrata: ai costi relativamente bassi dei servizi del ciclo del combustibile nucleare seguono altre voci più complesse, soprattutto nella chiusura dello stesso ciclo del combustibile: il ritrattamento del combustibile irraggiato, lo smaltimento delle scorie radioattive, il succitato smantellamento delle strutture contaminate a fine esercizio ecc. Gli impianti di ritrattamento, ad esempio, lavorano in misura ridottissima poiché non è possibile farli funzionare senza evitare cospicui rilasci di fluenti gassosi, dannosi all'ambiente e pericolosissimi per i lavoratori addetti già denominati "carne da radiazione" (versione aggiornata della famosa "carne da macello"). Una riduzione dei programmi nucleari (sia in Europa che negli Stati Uniti), verificata un po' dappertutto, è strettamente collegata (ancor prima della caduta del prezzo del petrolio) non certamente alla competitività dell'energia nucleare ma, viceversa, al problema dei suoi costi eccessivi.

È da contestare recisamente, dunque, la tesi dell'economicità della scelta nucleare. È assolutamente vero il contrario. V'è stata la realtà delle centrali nucleari USA che hanno anche quintuplicato i costi rispetto alle previsioni fatte al momento della progettazione. V'è ancora la realtà italiana di Montalto di Castro che è già a quota 5'600 miliardi di lire già spesi ad un terzo dello stato di avanzamento di lavori. A centrale ultimata si sfonderà il tetto dei 12'000 miliardi, cioè il quadruplo dei preventivi presentati dall'Enel. La scelta del nucleare non è dovuta alla sua competitività, ma perché il nucleare è congeniale al capitalismo, al suo specifico modo di produrre e di consumare e alla necessità di impegnare tale produzione ai limiti di una strategia facilmente convertibile in economia militare, di tipo bellico.

Senza il nucleare saremo condannati al "black-out"?

In tutto il mondo esistono 340 centrali nucleari. È un potenziale di rischi di incidenti altissimo che si contrappone alla percentuale minima di copertura del fabbisogno energetico a livello mondiale.

Il fabbisogno energetico è coperto solo in misura del 3% dal nucleare; in particolare: il nucleare copre appena il 10% dei consumi elettrici.

Questi dati la dicono lunga sul "pericolo di black-out" paventato a destra e a manca dal sostenitori interessa ti a tale fonte energetica. Una copertura molto più consistente era nelle previsioni dei grandi piani energetici nazionali di molti paesi.

A livello mondiale il nucleare si è configurato come un grande fallimento se osservato dal punto ai vista delle possibilità di evitare il black-out. Ma la previsione dell'ipotesi di rimanere al buio partiva da presupposti assolutamente errati. Si sono considerati come parametri di crescita costante i livelli di sviluppo più alti raggiunti dalla fase espansiva del presente ciclo di accumulazione capitalistica; come se il capitalismo fosse destinato all'eterna espansione e non avesse mai dovuto incappare in quelle sue malattie congenite (latenti per moltissimo tempo) che sono le crisi di ciclo.

All'esplodere violento della crisi ha fatto seguito, è vero, una certa crescita dei consumi energetici; ma ciò era dovuto in gran parte alle ristrutturazioni selvagge con le quali i vari paesi hanno inteso di poter contrastare il passo agli effetti più dirompenti della crisi.

Adesso i consumi sono stazionari e seguono parametri di sviluppo assai modesti (correlati a scala mondiale all'incremento demografico ed ai piani controtendenziali di contrapposizione alla crisi); ed è da prevedere addirittura un continuo decremento per il prossimo futuro. Valga per tutto il caso italiano. L'Enel fa l'ipotesi che nei prossimi anni il consumo di energia elettrica in Italia cresca del 4% all'anno. Come conseguenza di questa crescita rischieremmo il black-out elettrico nel vicino 1992 se non si provvederà alla realizzazione del Piano Energetico Nazionale (Pen) che prevede, tra l'altro, la costruzione di 6 centrali nucleari, Ciò è vero? È vero solo il fatto che l'Enel non ha mai azzeccato una previsione.

Nel primo Piano Energetico Nazionale (1975) previde che nei 1990 l'Italia avrebbe consumato 520 miliardi di chilowattora all'anno; propose quindi di costruire nientemeno che la bellezza di... 62 centrali nucleari da 1000 megawatt ciascuna (follia pura!).

Nel 1979 sostenne che, sempre nel 1990, i consumi prevedibili erano di 364 miliardi di chilowattora, a condizione di "una rigorosa politica di risparmio elettrico".

Nel 1981 (secondo Piano Energetico Nazionale) quella cifra scese ancora, sino a 312 miliardi di chilowattora; nel 1985, dopo l'aggiornamento del Piano, si scese ulteriormente arrivando cosi a 246.

L'Enel interpreta il suo ruolo esclusivamente come produttrice di energia elettrica; è caratterizzata da una gestione fondata sulla promozione di grandi impianti di generazione elettrica, sul sovradimensionamento dell'offerta e sulla insensibilità (ma ciò è ovvio per una grande azienda capitalistica di Stato) alle preoccupazioni ambientali e alle innovazioni tecnologiche per limitare massivamente gli inquinanti.

Le stime odierne dell'Enel, per nulla scoraggiata dai precedenti abbagli, sono, per il 1993, di un fabbisogno di 55 mila megawatt (1). Stime sbagliate, e di non poco, per eccesso (per il 2000 si prevede un consumo di 70 mila megawatt).

Qual è la realtà? Dal 1974 al 1985 la crescita media in Italia è stata solo del 2,68% all'anno, scendendo negli ultimi 4 anni al 2,1%. La curva dei consumi elettrici è stata caratterizzata da una modesta crescita complessiva e da un sensibile rallentamento negli ultimi anni. Non si vedono motivi parche essa debba impennarsi. Guardando alla crisi, anzi, possiamo ipotizzare una ulteriore caduta. Ciò è maggiormente ipotizzabile con l'obiettiva considerazione del processo demografico italiano avviato verso la "crescita zero" che, dunque, non prevede un ulteriore consumo imputabile, come in altri luoghi, all'aumento della popolazione.

Quanto all'industria italiana, essa ha una intensità elettrica altissima per unità di prodotto, la più alta fra i paesi della CEE. È quasi impossibile consumare di più.

Considerando inoltre anche il graduale ridimensionamento della siderurgia e della chimica di base, la sostituzione di settori ad alto consumo di elettricità con settori tecnologicamente avanzati e a basso consumo (elettronica, informatica, telematica) il quadro ci pare veramente completo.

Vi è inoltre il problema, ritenuto inderogabile, di mettere il paese al sicuro, nei prossimi anni, con una buona scorta di energia elettrica; ciò comporterebbe l'applicazione del Piano Energetico Nazionale che prevede la costruzione di sei nuove centrali nucleari. Anche questo problema è artificioso: l'Italia ha già una riserva di potenza di oltre il 40% alla domanda di punta. È un'eccedenza patologica, frutto dei programmi faraonici dell'Enel, che corrisponde ad una producibilità elettrica di circa 240 miliardi di chilowattora (il fabbisogno cioè previsto dall'Italia per il 1995) a fronte di una richiesta sulla rete nazionale che nel 1985 è stata di soli 195 miliardi di chilowattora. Inoltre compariamo oltre 20 miliardi di chilowattora dalla Francia, poiché tale paese ha così sovradimensionato la sua offerta di elettricità che oggi è costretto a vendere sottocosto.

Infine va considerato il problema di ridurre la dipendenza dal petrolio da cui l'Italia continua a trarre il 50% dell'elettricità.

A tale problema rispondiamo che esistono infinite forme per la produzione di energia; fra queste le fonti rinnovabili, le fonti pulite e cosiddette alternative. Ma queste necessitano di una grande promozione pubblica, della creazione di un grande mercato per sopperire ai costi iniziali.

Il capitalismo non ví ricorrerà mai a livello intensivo poiché si muove, ieri come oggi, oggi come domani, per la ricerca del massimo ed immediato profitto.

Le diverse fonti del! energia.

Non è messa in dubbio l'esauribilità del petrolio. Ma l'esauribilità del petrolio è un problema che non rive sta, come si vorrebbe far credere, i caratteri dell'urgenza più assoluta. Le riserve petrolifere conosciute potrebbero fornire energia per oltre un cinquantennio; il tempo cioè sufficiente per mettere a punto nuove tecniche e metodi Per ottenere energia.

Lo stesso petrolio è anche ottenibile dagli scisti bituminosi, il che renderebbe molto più lungo il periodo della sua utilizzazione.

Se poi le fonti venissero diversificate con le tecniche e le metodologie tecnologiche di approvvigionamento energetico, si potrebbe ottenere un risultato di disponibilità che potrebbe proiettarsi nel tempo per diverse centinaia di anni.

Le scorte di carbone, da sole, potrebbero bastare per oltre duecento anni; per 50 e più anni quelle di gas naturale.

Il problema è ancora una volta quello degli effluenti inquinanti.

Una centrale termoelettrica a carbone di 4 gruppi da 320 megawatt rilascia nell'ambiente circostante circa 940 tonnellate dì ceneri volanti filtrate, un'altra decina non filtrate, 140 tonnellate di anidride solforosa, 60 tonnellate di ossidi di azoto e sostanze tossiche come idrocarburi, metalli ed altro (su base annua).

Ciò può produrre all'uomo patologie respiratorie anche gravi, sprigiona una certa radioattività (la radioattività del carbone), provoca il fenomeno tanto discusso delle pioggia acide che sta compromettendo seriamente ed in maniera irreversibile il patrimonio boschivo del pianeta.

Esistono metodi per bruciare il carbone in maniera non inquinante? Esistono già le caldaie a letto fluido che limiterebbero di non poco i danni prodotti dagli effluenti pestilenziali; esistono tecnologie sperimentali per la liquefazione e la gassificazione del carbone; e chi sa quanti altri sistemi, ancor meno inquinanti, si sarebbero potuti mettere a punto se non fossero prevalsi gli interessi delle lobby che controllano il settore, preoccupate solo dal fatto che un aumento vertiginoso dei costi potrebbe compromettere la continua attingibilità a questa fonte e, dunque, potrebbe ridimensionare la possibilità di trarre vantaggi economici e finanziari del caso.

Ancora una volta il problema è politico; è legato al sistema di produzione capitalistico e alle sue scelte criminali, operate per conservare e rinsanguare continuamente gli interessi della classe dominante, cioè della borghesia, quella classe che si frappone alla costruzione di una società fatta a misura d'uomo e non del profitto e delle più lerce speculazioni.

Fonti rinnovabili e alternative

Le fonti energetiche alternative sono tantissime. Producono energia "leggera", contrapposta a quella dura (hard), pulita (non inquinante), riciclabile e disponibile a bassissimo costo (a parte i costi iniziali per la progettazione, la costruzione e installazione degli impianti).

È proprio questa. riciclabilità che rende tali fonti poco adattabili a modo d'essere del capitalismo che preferisce una struttura "energivora", che possa cioè continuamente essere consumata e riacquistata sul mercato al pari di qualsiasi altra merce. Ne citiamo solo alcune.

Energia solare. Il sole costituisce una fonte pratica mente inesauribile di energia che può essere captata e utilizzata in vari modi.

Il sole può fornire energia "nobile", elettrica o meccanica e ad esso sono legate le maggiori speranze per una definitiva e positiva soluzione delle paventate o reali crisi di disponibilità delle fonti energetiche. Già sarebbe possibile una consistente utilizzazione dell'energia solare soprattutto nel settore della produzione di acqua calda sanitaria (mediante impianti con specchi a concentrazione parabolica), in quello domestico e pubblico (edifici scolastici, centri sportivi, ecc.); si potrebbe incrementare inoltre la cosiddetta edilizia solare che sfrutta l'energia solare in maniera "passiva": effetto serra, effetto camino, pareti Trombe-Michel ecc.

L'energia solare potrebbe essere già utilizzata intensivamente in agricoltura (processi di essiccazione) e nell'industria (preriscaldamento, processi a bassa temperatura). Sono già stati messi a punto sistemi solari "a concentrazione", a temperature medio-alte per la produzione di energia elettrica. La sola produzione elettrica per via solare-fotovoltaica sarebbe in grado di assicurare parecchie centinaia di migliaia di megawatt nel mondo, da qui al duemila.

Energia eolica. È l'energia ricavata dall'imbrigliamento del vento dai cosiddetti aerogeneratori. È la fonte di energia più derisa e riportata a scherno a memorie donchisciottesche. Ebbene, le mappe coliche del 1982 del Cnr hanno dimostrato una potenzialità, in Italia, dell'ordine di 1.600 miliardi di chilowattora: una energia enorme, nove volte il consumo elettrico italiano in quell'anno.

Non si tratta, è chiaro, di riempire il mondo di campi di mulini a vento, anche perché hanno sicuramente un fondamento le preoccupazioni di molti scienziati che si chiedono se l'utilizzazione su vasta scala della energia eolica mediante gli aerogeneratori, non potrebbe rallentare i venti in maniera così sensibile da modificare conseguentemente le condizioni meteorologiche del pianeta.

Si tratta invece di pensare all'energia eolica come ad una fonte integrativa che può dare energia a bassissimo costo e senza alcun problema di inquinamento, sul modello dell'unica realizzazione interessante in Italia che è il parco eolico Nurra in Sardegna, messo lì a dimostrazione di una "volontà di ricerca" anche nella direzione delle fonti alternative e rinnovabili.

L'Enea (2) sta discutendo dell'opportunità di realizzare un impianto di 2 Mw (aerogeneratore Gamma), ma vi crede così poco che accampa le scuse più strampalate per evitare di portare il progetto in una fase più avanzata.

Energia idroelettrica. È la fonte rinnovabile di più tradizionale impiego.

Negli impianti idroelettrici si realizza la trasformazione dell'energia meccanica fornita dall'acqua in energia elettrica. Viene mossa una turbina dal combinarsi di quantità di acqua anche limitate ma cadenti da grandi dislivelli; oppure da portate di grandi quantità d'acqua (corsi d'acqua fluenti) con piccoli dislivelli. Non si produce inquinamento chimico o termico e può servire parallelamente ad altri scopi quali la regolazione del regime dei corsi d'acqua, l'irrigazione, la fornitura d'acqua per usi civili ecc.

Può produrre una notevole quantità di energia elettrica ma va utilizzata nell'ambito di una oculata politica di decentramento territoriale.

Com'è nella sua natura, il capitalismo ha utilizzato questa inesauribile fonte di energia secondo i propri esclusivi interessi e le proprie metodologie produttive: costruendo megaimpianti con fenomeni di sconvolgimento dell'ambiente naturale.

Energia geotermica. Geotermica è detta l'energia accumulata e generata nel sottosuolo che si manifesta in fenomeni vulcanici, in sorgenti di acque profonde e talvolta di vapore in pressione.

In Islanda il 50% della popolazione vive in case riscaldate da fluidi geotermici.

Questo per dire delle enormi potenzialità di tale forma di energia che l'Italia era stata fra i primi a studiare e ad iniziarne lo sfruttamento.

Basta ricordare che la sola Regione Toscana puntava, nel suo programma energetico del 1979 ad una produzione geotermoelettrica di 25 miliardi di chilowattora.

Perché tutto si è bloccato ed è stato ricacciato nel più impenetrabile dei misteri?

(1) Un megawatt corrisponde a l milione di watt ed è la unità. di misura della potenza (energia erogata nell'unità di tempo).

(2) L'ENEA è il Comitato Nazionale per la Ricerca e lo Sviluppo dell'Energia Nucleare e delle Energie Alternative (ex Cnen).