L'incubo nucleare - Movimenti ambientalisti e antinucleari

La scelta capitalistica di una politica energetica così pericolosa, così devastante per il rapporto armonico che dovrebbe intercorrere fra uomo e ambiente, non poteva mancare di suscitare grandi reazioni.

Alle reazioni diffuse della e nella società han fatto eco più radicali prese di posizione contro il criminale modo di rapportarsi del capitalismo con l'ambiente umano (di cui il problema nucleare non ne è che un aspetto), sino a coagularsi in un grande movimento dai contorni imprecisi, ma pur sempre massivo ed operante. Si tratta dei movimenti ambientalisti (cosiddetti "verdi") che oggi, data l'urgenza rappresentata dal fenomeno del nucleare, passano sotto il nome di movimenti antinucleari (quando citeremo i movimenti antinucleari terremo sempre implicitamente conto delle strettissime correlazioni tra questi e il più generale movimento ecologista).

Quali sono state le ragioni dell'originarsi del movimento ecologista? Innanzitutto, come può apparire ovvio, è nato dalla constatazione dei danni provocati dalla società industriale. Le ragioni, che da oltre una ventina di anni lo hanno alimentato, partono dalla verifica del grande potenziale distruttivo dei moderni armamenti e della pericolosità dello sviluppo delle armi chimiche, biologiche e batteriologiche.

Un'altra ragione si intreccia con la constatazione delle miserabili condizioni del Terzo Mondo stretto fra lo sradicamento delle sue masse rurali gettate nelle bidonville urbane e uno sviluppo demografico galoppante che, secondo gli ecologisti (memori dell'insegna mento malthusiano), corre più veloce della crescita della produzione alimentare. Intorno al 1965-70 ecologisti scientifici (Dorst, Commoner, Ehrlich ecc.) presentano inventari molto preoccupanti: vari tipi di inquinamento, estinzione di specie viventi, sovrappopolazione, desertificazione di terre maltrattate, spreco di risorse, e così via, mettono in risalto la violazione degli equilibri dei cicli bio-geo-chimici. Tali constatazioni vengono amplificate dalla Dichiarazione di Mentone, firmata nel 1971 da più di 2000 scienziati e dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente (Stoccolma 1972).

Il rapporto del MIT sui "Limiti dello sviluppo" redatto nel 1971-72 sotto l'impulso del "Club di Roma" ha tentato di quantificare i dati della crisi ecologica pervenendo ad una simile conclusione: se la popolazione e il consumo delle risorse non rinnovabili non si stabilizzano, se non si distoglie una parte degli investimenti industriali a favore della produzione alimentare, se non si effettua il riciclaggio sistematico di tutti i nostri rifiuti, se non si riduce l'inquinamento globale ad un quarto del livello raggiunto nel 1970, l'umanità si troverà in gravissimo pericolo.

Il movimento ecologista, molto ingenuamente, s'è mosso per la realizzazione di questi obiettivi tentando di avviare una ancor più ingenua "controcultura" che parte dagli hippy del "fate l'amore, non la guerra", passa per il movimento sessantottino (critica alla società dei consumi, del produttivismo, dello scientismo) e arriva ai nostri giorni, fase del movimento pervenuto alla rivendicazione della difesa dei "diritti democratici dei cittadini" e alla lotta per l'integrazione e, progressivamente, per la sostituzione dell'energia nucleare con forme di energia rinnovabili, pulite e alternative.

Il movimento ecologista non ha mai fatto una analisi delle più strutturali, ragioni che legano il degrado ambientale o la scelta nucleare alla logica del capitalismo. Non è un movimento anticapitalistico poiché crede di poter raggiungere gli obiettivi descritti attraverso la pressione di un movimento di massa, la mobilitazione di vasti settori dell'opinione pubblica. Non si rende cioè conto di chiedere al capitalismo di essere quello che non potrà mai essere e che la soluzione di certi problemi potranno trovare uno sbocco solo nella negazione del capitalismo, nel superamento di questo modo di produzione antiumano e, oramai giunto nella fase della sua decadenza storica, anacronistico a tutti i suoi livelli.

Il movimento ecologista e antinucleare è un movimento interclassista; in quanto tale accorpa di tutto: giovani proletari e giovani borghesi, piccoli borghesi disagiati dalla crisi e impauriti dalla scelta allarmante del nucleare a borghesi "pentiti" solo perché hanno interessi economici nei settori delle fonti alternative. Accomuna laici e credenti e addirittura destra e sinistra (ciò viene considerato il maggior punto di forza: "Nessuno - e ci si crede! - era mai riuscito a saldare in un unico obiettivo, in un'unica finalizzazione, correnti contrapposte, quelle di destra con quelle di sinistra").

Insomma, tutti a braccetto per combattere l'inquinamento e la scelta nucleare, come se questi avessero vita propria e non fossero invece la manifestazione più "alta" del modo di produzione capitalistico.

La disgregazione che la decadenza capitalistica sta producendo si realizza in ciò: nell'impotenza operativa, nel crollo verticale delle idealità, nell'abbracciare l'effimero, nell'inquinamento del marxismo considerato ormai un reperto preistorico, nel fare politica in "modo nuovo, originale e creativo".

Un esempio può valere per tutti. Il famigerato Daniel Cohn Bendit, che durante il maggio francese del 1968 era noto con lo pseudonimo di "Dany il rosso" (e che tante ingiustificate preoccupazioni e allarmismi aveva ingenerato nella borghesia francese) è adesso diventato "Dany il verde".

Per me -- sottolinea il neofita dell'ambientalismo e dell'antinucleare fini a se stessi -- il movimento ecologista è un tentativo di riformulazione di tutte le critiche che sono state mosse alla società sin dalla fine degli anni sessanta... In fin dei conti, per me essere ecologista non è una riconversione. Il tentare di capire la natura dei nuovi movimenti rappresenta una meta, una chiarificazione di quello che pensavo prima.

Che il nostro personaggio non avesse le idee chiare lo avevamo sempre saputo. Dalla rivoluzione dietro l'angolo alla proposta dell'abolizione della legge sull'hashish e delle altre droghe cosiddette leggere, sino alla rivendicazione del "diritto alla pigrizia", l'iter, ci sembra, sia stato molto esemplificativo. L'approdo all'antinucleare dal punto di vista dell'ecologismo è una logica consequenzialità di tutto ciò.

Per concludere. Il movimento antinucleare, pur partendo da giuste e valide preoccupazioni, ha il suo limite nel considerare i problemi a sé stanti, estrapolati da quelle strutture da cui sono invece determinati e con le quali fanno un tutt'uno, un'unica e compatta relazione. Ciò porta all'illusione che tali problemi possano essere risolti al di là delle condizioni storiche entro cui si pongono. Porta, inoltre, al coinvolgimento di forze ed energie, soprattutto giovani, che verranno "bruciate" da esperienze frustranti e inconcludenti. Il movimento ecologista non potrà non essere strumentalizzato dalla forza organizzativa, politica ed economica dei partiti borghesi (di destra, di sinistra o di estrema sinistra) che tenteranno di pescarvi a piene mani fintanto "sensibilità" e "disponibilità" alle finalità e agli obiettivi di cui lo stesso s'è proposto il raggiungimento.

Tutto questo va costantemente e chiaramente detto. I rivoluzionari se ne devono far carico, devono essere presenti, in tutti i modi e con tutti i mezzi, per portare la chiarezza e l'inconfondibilità del programma comunista.

Fuori da tale programma c'è in realtà il vuoto, un vuoto abissale ora occultato da presenze effimere (anche se ingombranti) ma pronte ad eclissarsi all'insorgere dei primi venti di guerra.

La natura idealista dei movimenti per l'ambiente

Non esiste la benché minima possibilità di modificare in senso opposto a quello dettato dalle convenienze del capitale le forme e i modi della produzione di energia lasciando invariata la natura di merce che il presente modo di produrre le ha assegnato.

Chi può pensare una simile sciocchezza è solo un idealista o una vittima delle idee della classe dominante assurte al ruolo di idee dominanti della società.

Ed è proprio questo che noi pensiamo del movimento antinucleare. Che sia cioè un movimento idealista, che scambia cause per effetti, non legato a reali possibilità di soluzione dei problemi dallo stesso sentiti e posti.

Esempio: quando pensa di poter diversificare la produzione industriale a favore della produzione alimentare significa non comprendere la natura del capitalismo, significa altresì ignorare la logica della sua economia, significa, ancora, sottovalutare le regole del mercato capitalistico integrato internazionalmente. Si commettono due errori:

  1. Una diversificazione è possibile solo a condizione dell'esaurimento dei profitti nel settore da "diversificare". Può un movimento di opinione, pur vasto e massivo, contraddire alle ragioni che han fatto del capitalismo ciò che è?
    Prendiamo il settore nucleare. Fermo restando che il capitalismo non abbandonerà mai completamente tale settore (ne abbiamo spiegato già i motivi che sono strettamente correlati al mantenimento e allo sviluppo di strategie militari e belliche) potremmo ipotizzare un interesse da parte di certe frazioni della borghesia imperialista verso le fonti rinnovabili. Ciò avverrà perché il movimento ecologista avrà saputo imporre la politica di diversificazione delle strategie energetiche, o perché invece il capitalismo, mediante queste, potrà tentare la carta della creazione della domanda di energia basata su tali fonti alternative? Non è una ipotesi assurda. In tutto il mondo esistono già aziende che producono grandi impianti solari. In California il settore è molto sviluppato e l'energia elettrica è prodotta e venduta con grande profitto ad aziende importanti (private) come la Southern California Edison, la San Diego Gas & Electric.
    Idem per quanto riguarda la produzione di energia elettrica per via solare-fotovoltaica che è in grado, sempre negli USA, di produrre elettricità per migliaia di megawatt, da qui al duemila.
    L'energia eolica, anch'essa, ha posto a molte grandi aziende la mesa a punto di potenti e competitivi aero-generatori già funzionanti in Danimarca, California e in altri posti. E potremmo continuare.
    A cosa è subordinato in sostanza lo sviluppo delle fon ti alternative? In primo luogo alla capacità di creare mediante una massiccia promozione pubblica, una grande domanda sui mercati energetici internazionali; in secondo luogo alla resistenza che opporranno le lobby del petrolio e del settore nucleare (tale scontro, se ci sarà, sarà sicuramente più determinante di mille movimenti ecologisti messi insieme a far casino contemporaneamente). Le condizioni affinché ciò avvenga ci sono tutte. È vero che i settori del petrolio e del nucleare sono infinitamente più forti, ma è una realtà altrettanto vera la considerazione della assoluta non competitività della produzione di energia dal nucleare i cui costi si sono moltiplicati per quattro o cinque volte a causa della crisi e in seguito all'incidente di Three Mile Island, che ha imposto ulteriori e costosissime misure di sicurezza; ancor più cresceranno dopo la tragedia di Chernobyl e nella prospettiva futura della stessa crisi ancora in corso e che non ne vuole sapere di recedere.
  2. Basterebbe una diversificazione a favore della produzione alimentare a risolvere lo squilibrio fra paesi della fame e paesi industrializzati?
    No, perché il problema non sta nelle risorse in sé ma nella situazione obiettiva del sistema capitalistico che determina lo squilibrio perché fondato sull'appropriazione indebita da parte di una esigua minoranza (la borghesia capitalista) che attinge sulle misere risorse della stragrande maggioranza della specie umana.
    Un esempio del genere, che esulava dallo specifico del problema nucleare ci ha consentito di cogliere la distanza abissale che esiste tra le analisi del movimento ecologista e la realtà di classe del sistema capitalistico nella sua fase imperialistica.