Documenti sul 1956

Per gli operai polacchi la via del socialismo è quella dell'insurrezione armata

Da “Battaglia Comunista” n. 6, luglio/agosto 1956

Lavoratori!

A tre anni di distanza dall'insurrezione della Germania orientale, il proletariato polacco è ricorso alle armi per difendere il suo diritto alla vita e alla libertà.

Gli operai che si sono battuti per le strade di Poznan e si sono fatti falciare dai carri armati del governo "comunista", sono insorti contro il regime di sfruttamento e di schiavitù imposto dalle ferree leggi del capitalismo di stato e non contro le idee e gli istituti del socialismo inesistenti in Polonia, inesistenti in Russia, inesistenti in tutti i paesi conquistati... al socialismo dalle baionette dell'esercito di Stalin.

Se, ancora una volta, gli operai insorti hanno invaso e distrutto le sedi del partito al governo; se hanno stracciato e bruciato gli emblemi e le bandiere rosse cari al cuore del proletariato internazionale, gli è perché quegli emblemi e quelle bandiere, strappati alla tradizione proletaria, sono serviti per mistificare il socialismo e per meglio ingannare gli operai; divenuti simboli di sfruttamento e di tirannide, essi non rappresentavano più e da molto tempo la loro causa e li hanno perciò disprezzati e distrutti come la espressione del più oppressivo capitalismo.

Poznan oggi, come ieri Berlino, è la risposta proletaria, è la risposta marxista buttata in faccia alle balordaggini riformiste di Kruscev, di Togliatti e di Nenni che, assetati di potere e di quieto vivere, cercano disperatamente di puntellare il regime della proprietà con le loro chiacchiere sulla coesistenza pacifica, sulla via parlamentare del socialismo e sulla inutilità della violenza rivoluzionaria, mentre sotto i loro piedi il terreno di classe ha sussulti che preludono ai grandi terremoti della storia e gli operai sono spinti a porre il problema della difesa dei loro interessi sul piano della violenza e della insurrezione armata proprio nel paese... del socialismo.

Quando la rivolta è scoppiata - ha affermato un portavoce della burocrazia comunista - non ci siamo persi in chiacchiere di democrazia; ci siamo limitati a far intervenire i soldati.

Operai italiani!

Ora è chiaro che la via del socialismo non è quella bastarda e socialpacifista di Nenni e di Togliatti, ma è quella che vi è indicata dalle fumanti e insanguinate barricate di Poznan, i cui combattenti ed eroi la reazione poliziesca dell'apparato stalinista tenterà, come al solito, di insultare e diffamare definendoli strumenti dell'imperialismo americano.

È questo il secondo scossone con cui i lavoratori hanno fatto tremare le basi d'un regime la cui industrializzazione forzata grava esclusivamente sulle loro spalle confermando nei fatti la giustezza teorica della previsione di Marx e di Lenin; il giorno del crollo verrà, non potrà mancare perché il mondo del lavoro e del progresso umano non potrà essere ricacciato nella barbarie e nella morte.

Ad una Comune che soccombe, altre ne sorgeranno.

Viva la Comune di Poznan!

PCInt

Nota sugli avvenimenti di Poznan

Per un'interpretazione degli avvenimenti di Poznan che orienti i compagni in mezzo alle inevitabili speculazioni che provengono dalla stampa foraggiata dalle due centrali dell'imperialismo.

Notiamo innanzitutto che la sollevazione di Poznan, per essere esplosa nella zona d'influenza russa, ricorda assai da vicino quella avvenuta tre anni fa nella Germania orientale; sono gli operai dei maggiori complessi industriali che costituiscono la spinta iniziale e la immensa forza sociale di tale esplosione; sono gli operai armati che divengono i protagonisti dell'insurrezione la cui tecnica è quella che la storia ha già conosciuto nella Comune di Parigi e nell'Ottobre bolscevico.

Ma una insurrezione non si determina e non esplode se non esistono date condizioni obiettive e se queste non sono giunte ad un sufficiente grado di maturazione.

C'è uno stato di fatto comune a tutta l'economia del settore russo e delle sue zone d'influenza; tipico esempio ne è la Polonia, paese economicamente prostrato dalla seconda guerra mondiale, con quasi sette milioni di morti, pari al 22% della popolazione, ridotta di due terzi la sua produzione mineraria costituente la sua principale risorsa, con una agricoltura arretrata ed un apparato industriale che rappresentava il 32% della sua produzione.

Nello spazio d'un decennio la produzione industriale vi è stata quadruplicata in confronto all'anteguerra; gli operai sono saliti da poco più di due milioni e mezzo (1938) a sei milioni attuali. Alcuni dati sono sufficienti per dimostrare l'enorme sbalzo fatto nel brevissimo spazio di pochi anni nel processo di industrializzazione, soprattutto nel ramo della produzione del carbone e dell'acciaio; tra il 1949 e il 1953 l'aumento è stato da due milioni e trecentomila a tre milioni e seicento quattro mila tonnellate e più recentemente a sei-sette milioni.

Su questo fondo economico affondano le loro radici la contrazione della produzione dei beni di consumo, l'arresto dello sviluppo agricolo e la paralisi del tenore di vita delle masse. Tutto questo spiega a sufficienza perché proprio a Poznan, caposaldo della industrializzazione polacca, e particolarmente nelle grandi acciaierie "Posener Stalinwerker", si è accesa la lotta e si è andato accumulando il materiale esplosivo della rivolta.

Qui, come in Russia, come in tutti i paesi del blocco russo, il proletariato che porta sulle sue spalle il peso enorme e alla lunga intollerabile di una industrializzazione forzata e intensiva, il cui plusvalore viene estorto per il potenziamento senza limiti d'uno Stato che non è quello dei lavoratori e su cui domina dispotica la classe dei burocrati con i privilegi di classe dirigente, qui il proletariato, quando non ne può più, entra in lotta aperta e diretta contro lo Stato che è il padrone e sfruttatore della sua forza-lavoro.

Questo è il fondo reale e tragico da cui si è originata la rivolta, e su di esso questa è la sola analisi possibile ad un marxista; l'altra, quella interessata ad esempio dell'Unità e dei fogli cripto-stalinisti è soltanto questurinesca e destinata a fare la fine che merita.

Ma da questi dati obiettivi discende la giusta linea d'interpretazione degli avvenimenti più recenti: la politica nota ormai con la definizione di "Nuovo corso" di Kruscev, e il riapparire violento del proletariato sulla scena politica, anche se tuttora in forma episodica. L'uno e l'altro sono i termini della tremenda antitesi che divide il mondo della economia del Capitalismo di Stato, e la espressione sociale e politica d'un profondo e insanabile conflitto di classe.

Noi andiamo ripetendo da molto tempo i termini di una critica marxista all'esperienza russa che gli avvenimenti recenti hanno chiaramente confermato e che nuove esperienze vieppiù confermeranno. Non per questo ci stancheremo di ripeterli:

  1. Il "Nuovo corso" di Kruscev e compagni porta al logico e naturale compimento l'opera di Stalin in una diversa fase di sviluppo in cui il problema vitale dell'economia russa consiste nell'assicurare sbocchi sempre nuovi e adeguati alla potenza davvero esplosiva del processo produttivo della sua industria. La parola d'ordine uscita dal XX Congresso della coesistenza pacifica e competitiva non ha altro significato e non si pone altro obiettivo.
  2. Chi fa le spese di questa mostruosa industrializzazione forzata è il proletariato russo e in maggior misura il proletariato delle cosiddette democrazie popolari.
  3. Uno Stato che esercita in modo così unitario e monolitico il monopolio dell'economia è in realtà una enorme macchina oppressiva e ingigantisce nel suo seno, per le necessità della sua vita, l'esercito della burocrazia che, come classe privilegiata che partecipa alla divisione del profitto accumulato, porta in sé la ragione storica della conservazione del privilegio e della suddivisione della società in classi.
    Kruscev non è che il portavoce di questi interessi; è l'espressione teorica della spinta in avanti di questo mondo di affari; è, insomma, l'uomo della tecnocrazia imperante.
  4. In direzione opposta si muovono gli interessi dei lavoratori; questi non si identificano in nessun modo con la politica dello Stato che li opprime e li sfrutta, ma sono spinti a operare sul piano della difesa di classe; e là, dove lo sfruttamento è più intenso ed inumano e meno salde e vigili appaiono le maglie della difesa, i lavoratori, come a Berlino Est, come a Poznan, estremizzano i loro problemi fino a porli sul piano della violenza e dell'insurrezione. È l'esempio vivente di una dialettica delle cose balzata, ad un tratto, nei suoi termini di classe sul piano dei rapporti umani, con evidente tendenza a generalizzarsi.

Si può parlare sotto questo rapporto di una storia che comincia i cui protagonisti sono tuttora Capitalismo e Proletariato.

E quando, come nei moti di Poznan, la tensione di classe tocca il suo massimo di intensità e di violenza, questo è prova che in quel corpo sociale vanno svolgendosi i motivi-limite d'un processo sociale che preparano l'atto dell'eversione rivoluzionaria, e non prova affatto, come pensa Nenni, che per sanare il "socialismo" russo e dei suoi alleati si debba tornare alla normalità democratica e alle libertà borghesi.

La rivolta operaia contro la politica vessatoria del capitalismo di Stato continua...

Da “Battaglia Comunista” n. 10, ottobre/novembre 1956

Se si deve dar corpo alle prime impressioni che si hanno da questo incalzare drammatico di avvenimenti che sono andati svolgendosi in questi ultimi giorni in Polonia e in Ungheria, ci sarebbe da pensare ad un vero e proprio processo di disintegrazione effettuatosi improvvisamente nel blocco sovietico che Stalin aveva creato, curato e difeso con tutti i mezzi a costo di usare il terrore. Ma un esame più sereno, più pensato, cioè più aderente alla realtà obiettiva ci porta a conclusioni se non opposte, certo più vicine al vero. Incontestabilmente il fronte dello schieramento sovietico è in movimento già dal XX Congresso, e bisogna vedere se si tratta di movimento di disgregazione che ha finalmente rotto gli argini, oppure di processo di spostamento tattico e di riassestamento sulla nuova linea tracciata dall'iniziativa di Kruscev.

Su quali pilastri poggia questa nuova politica? Quali ne sono state e ne sono tuttora le cause determinanti?

Riuscirà la Russia a salvare la unità economica e strategica attraverso la tentata liberalizzazione delle democrazie popolari?

Potremo rispondere a queste domande se libereremo pregiudizialmente il terreno da questa preoccupazione assai diffusa: si sarebbe scatenata la rivolta dei paesi satelliti contro la politica e l'autorità dello stato "guida" se al suo timone fosse rimasto Stalin o fosse stato garantito comunque il mantenimento della sua linea politica? Kruscev, rompendo le dighe di questa politica, liberando cioè le forze che vi erano compresse ha forse segnato la fine dell'egemonia sovietica e aperto il varco per il ritorno alle forme del capitalismo tradizionale proprie dell'occidente?

Non è la prima volta che affrontiamo questo argomento e ci piace ripeterlo qui per l'attualità, precisione e vigore che gli avvenimenti in corso gli conferiscono. Stalin ha portato a compimento la colossale costruzione dello stato sovietico basato su di una economia pianificata nella quale il potenziamento industriale (industria pesante) e la collettivizzazione agricola hanno consentito di bruciare le tappe della normale evoluzione economica; ciò che è stato possibile dal grado a cui erano pervenute le conquiste tecniche e scientifiche del mondo capitalista attraverso soprattutto le due guerre mondiali.

Il capitalismo di stato soggiaceva così alla dinamica della sua stessa costruzione entrando in conflitto tanto all'interno che sul piano mondiale col potenziale economico politico e militare del mondo occidentale col quale Stalin aveva condotto vittoriosamente la guerra antinazista e dal quale lo dividevano interessi di supremazia mondiale. Ma la vita di questo mostruoso Moloch moderno, che è il capitalismo di stato, doveva alimentarsi non soltanto del lavoro e del sangue del proletariato russo che si lasciava spremere, credente com'era all'illusione di una costruzione socialista, ma doveva allargare la cerchia dello sfruttamento ai paesi di democrazia popolare il cui potenziale economico ed il cui lavoro erano considerati alla stregua di colonie di sfruttamento. Si è visto così l'assurdo economico di paesi arretrati e depressi, prevalentemente agricoli e con una agricoltura ancora condotta estensivamente, trasformati di punto in bianco in paesi a struttura industriale, e una folla cenciosa di contadiname trasformata in un esercito di operai industriali con uno squilibrio psicologico, familiare e sociale che soltanto una politica ora di forza e ora di terrore poteva far ritenere come inesistente.

Il duplice pilastro dell'industria pesante e della collettivizzazione della terra su cui si è retto lo stato staliniano sarebbe arrivato alla esplosione delle sue contraddizioni interne, se la storia russa non avesse cambiato il suo corso con il XX Congresso. E lo ha cambiato non per effetto di una improvvisa e radicale trasformazione imposta all'economia del paese e dei paesi satelliti, ma per l'indirizzo di liberalizzazione socialdemocratica data alla politica, per il rovesciamento dei termini della ideologia inculcata per qualche decennio e particolarmente per l'arbitrario e pazzesco modo con cui si è tentato di demolire, con il culto della personalità, la figura ed il ruolo di Stalin che la propaganda sovietica stupida e supina aveva ingigantito nella fantasia e nella coscienza di milioni di militanti comunisti.

Rotto improvvisamente questo argine era inevitabile che entrassero in movimento centrifugo tutte quelle forze contraddittorie che lo stalinismo aveva saputo così potentemente e violentemente contenere e sopprimere. Le tappe di questa progressiva azione di sganciamento dall'influenza economica e politica dello stato "guida" si chiamano moti di Vorkuta in Russia, moti di Berlino Est, sollevazione di Poznam ed ora l'aperta ribellione della Polonia e dell'Ungheria. La contraddizione di una economia violentata per una esigenza di competizione imperialista col dominante imperialismo americano, al posto di uno sviluppo economico connaturale all'ambiente del suo sviluppo, la contraddizione tra la necessità di una accumulazione basata sullo sfruttamento del lavoro umano, la creazione di una burocrazia accampata come classe sfruttatrice nello stato padrone da una parte e dall'altra la truffa politica della costruzione di una società socialista a cui le masse avevano creduto; tale contraddizione è maturata e giunta alla fase esplosiva alla periferia dello schieramento russo dove meno il potere centrale mostrava di avere carte da giocare per imbrigliare ogni tentativo di moto di indipendenza nazionale.

Non sappiamo fino a che punto Kruscev avrà avuto la coscienza di quanto sarebbe andato maturandosi nei paesi satelliti sulla linea della sua liberalizzazione per la quale la Jugoslavia di Tito appariva come una specie di idea fatta carne.

Pensiamo tuttavia che Kruscev abbia imbroccato la sola strada restata aperta alla Russia per allontanare nel tempo la catastrofe.

Come per Stalin si imponeva l'imperativo della politica forte e dello stato-dittatura per estorcere dal lavoro quanto era necessario per alimentare la sua politica di potenza mascherata di socialismo, così per Kruscev si è posto l'imperativo di raggiungere lo stesso scopo con mezzi opposti o apparentemente opposti come quelli della libertà formale, della democrazia, della parità dei di

ritti e tra i partiti e tra gli stati. Ed è avvenuto che nella marcia di arroccamento sulle nuove posizioni la libertà abbia preso mani ai... liberatori ed abbia scatenato la mala bestia del nazionalismo con tutti i rigurgiti reazionari che la storia conosce.

Finora il dispositivo Kruscev ha resistito in Polonia attraverso l'operazione Gomulka, la quale ha consentito che questo paese rimanesse ancora nella zona del rublo, mentre non è da escludersi la possibilità che l'Ungheria tenga meno e vada scivolando verso la zona del dollaro.

Chi può escludere che questo drammatico confluire di forze sul terreno della socialdemocrazia internazionale da Nenni a Gomulka, da Togliatti a Nagy, da Tito a Kruscev non predisponga favorevolmente il terreno ad un durevole condominio del mondo tra la Russia e l'America per assicurare insieme un più lungo respiro al capitalismo in pericolo?

Per le minoranze rivoluzionarie non ha alcuna importanza la protesta sentimentale contro lo stato che ha osato sparare sugli operai; ma vale la constatazione storica che lo stato si difende contro gli operai quando questi prendono le armi per una affermazione dei loro diritti di classe.

Contro lo stato della dittatura del capitale che ha ingannato gli operai in nome del socialismo; con gli operai perché ritrovino finalmente la vera vita del socialismo, questo è quanto spetta ora alle minoranze rivoluzionarie.

Ciò che pensiamo dei fatti d'Ungheria

Da “Battaglia Comunista” n. 11, novembre/dicembre 1956

Mentre il sacrificio del proletariato ungherese è appena consumato sotto la violenza delle armate russe, va affermato decisamente che la rivolta, accesasi in Ungheria contro il regime di sfruttamento e di dominio coloniale da parte della Russia, è nata da una frattura di classe che un proletariato disarmato dalle armi del marxismo rivoluzionario, disarmato in tanti anni di imbestiamento politico e di corruzione ideologica e privato per di più della guida di una vigile e operante avanguardia rivoluzionaria, non poteva, come non ha potuto, portare alla sua logica e naturale conseguenza di strutturarsi in organi di potere operaio per l'esercizio della sua dittatura.

Vorkuta, Berlino-Est, Potznam avevano dimostrato che le lotte di emancipazione dallo sfruttamento sempre più intenso del capitalismo di stato spinto dalla dinamica della sua politica di potenza e del suo espansionismo non possono assumere che le forme violente della rivolta e mettono a nudo l'assurdo e mostruoso tentativo di gabellare per socialismo la più vessatoria e corruttrice politica antiproletaria che la storia ricordi.

Ma la maggior tragedia che si è abbattuta in questi anni sul proletariato internazionale è che nei moti operai la spontaneità, la spinta iniziale di classe non abbia trovato una direzione che ne cementasse lo sforzo unitario per dare a questi moti la chiara visione degli obiettivi. E il partito rivoluzionario di classe che in ogni caso è mancane autonoma e originale della classe operaia. E per questo si era veri socialisti. Oggi ciò non basta: bisogna essere contro la difesa della Russia, ad ogni costo. Va da sé che stiamo muovendoci nel campo delle apparenze; sostanzialmente, difendendo la Russia si rinuncia a una azione autonoma del proletariato, si fa sempre del "parlamentarismo".

Qualche volta ci si dimentica di questo banco di prova: di fronte al capitalismo unitario, oggi addirittura scatenato dopo i fatti d'Ungheria contro il proletariato, si sente istintivamente il bisogno di legare le file di un'opposizione rivoluzionaria al privilegio padronale. E pur di farla in barba ai "borghesi" quasi quasi si diventa stalinisti. Non solo per ciò che si vorrebbe fare in Italia. Ma contro Mintzenty varrebbero quasi quasi Geroe e Kadar.

Naturalmente ricompare - ai motivi sentimentali allora si mescolano motivi scientisti - lo spettro dell'economia "più progredita" e più vicina al socialismo quale sarebbe quella del capitalismo di stato. Ma nell'età dell'Imperialismo, la storia la deve fare il proletariato e non deve lasciare tempo al capitalismo di... perfezionarsi. Il culto dell'oggetto e delle trascendenze economiche che pure esistono nella loro solidità e di cui i marxisti tengono sempre giusto conto, deve sparire di fronte all'atteggiamento trascendentale della classe e delle forze politiche della rivoluzione proletaria. Per noi che pretendiamo di essere soggetti, il capitalismo di stato è più progredito del capitalismo privato, così come il locomotore elettrico è più progredito del locomotore a vapore. Sta alla teoria del Partito di classe distinguere tenacemente questa solidità ed estraneità di fronte alla calorosa sostanza del suo atteggiamento socialista, unica via per la quale si può risolverle a strumento della costruzione del nuovo ordine.

Per il senso teorico della classe ciò è scontato sul terreno dei fatti, la classe operaia ungherese ha mostrato la strada giusta; non soltanto essa ha reclamato dalla sua radio Miskolk la creazione di una solida rete di consigli operai rivoluzionari, ma ha espresso la giusta direzione della lotta da una parte contro il ritorno al vecchio ordine, dall'altra contro lo stalinismo. Certo non si tratta di idee cristallizzate in teoria, in risoluzioni da Comitato centrale, ma si tratta pure sempre di una decisa rivelazione dei "valori conoscitivi" del proletariato. Per questo non si può parlare di nazionalismo degli operai ungheresi: i "russi" dovevano essere cacciati, ma cacciati non da una "nazione" ma dalle fabbriche e dai campi. Per l'operaio ungherese il soldato russo passato dalla parte degli insorti doveva rimanere "in Ungheria", entrava di diritto a far parte della loro famiglia; all'ungherese dell'A.V.O. si proibiva persino la vita, gli ungheresi del vecchio regime usciti dalle carceri rapidamente ripararono in Austria.

Desta veramente stupore e disgusto che a lanciare l'accusa di nazionalismo siano proprio quei tali Togliatti e Longo che durante la cosiddetta guerra di liberazione (da che cosa e da che ci siamo liberati? ...) lanciarono parole di questo genere: "... ogni soldato tedesco ucciso, un paio di scarpe per un partigiano". Un soldato tedesco ucciso, diciamo noi, è un figlio della classe operaia?

Non vorremmo però aver dato l'impressione di nutrire un paradossale ottimismo nei confronti del destino della classe operaia ungherese. Ci basta però dire che per noi le distinzioni operate da Isaac Deutscher tra un preteso e provvidenziale salvataggio con coda presumibilmente leninista di democrazia operaia della Rivoluzione socialista di Polonia, dove malgrado tutto era stata importata da Stalin, e il suo fallimento e scomparsa sotto l'urto di forze anticomuniste clericali ecc., in Ungheria, ci trova dissenzienti proprio perché lo stalinismo non importava nessuna rivoluzione comunista, ma espandeva il suo ormai logoro sistema di capitalismo di stato. Ed è precisamente questo che vuole salvare, tramite varianti più o meno "liberali" il dominio attuale del "pianificatore" Gomulka. Vista sotto questo metro la questione si riduce alla permanenza del capitalismo di stato in Polonia e alla sua possibile scomparsa in Ungheria.

A questo punto al posto della dialettica delle cose e delle cifre mettiamo la nostra volontà e il nostro costume socialista, alla cui luce il capitalismo di stato è più "progredito" solo secondo l'usuale concetto borghese di civiltà e di progresso, anche se siamo sparuta minoranza e per niente insieme oceanico, lasciando che ci taccino di schematismo e dogmatismo quelli che ancora non hanno capito il ruolo conservatore dello stalinismo, più o meno "liberale".

Non diverso è stato l'atteggiamento dei Consigli operai: il compromesso anche acclamato tra operai e Gomulka e quello accennato tra operai e Nagy è strettamente determinato dall'astuto comportamento del primo e dall' "antistalinismo" del secondo: ma lo spirito che informava le masse operaie di Varsavia e di Miskolk è non certo gomulkiano, è luxemburghista. D'altra parte, pur accettando le differenze tra l'economia polacca e l'ungherese, così come ci vengono offerte dallo studioso polacco ci pare inesatto affermare l'inesistenza in Ungheria a differenza della Polonia di una "rivoluzione comunista dal basso" degli operai. Anzi il duro tempo della guerra civile ha forgiato una potente compagine di Consigli ed è indubbia l'attuale diarchia tra Kadar e i Consigli. Gli insistenti appelli rivolti da questo bel tipo di traditore agli operai, indicano che essi sono considerati ancora i più suscettibili di rientrare nell'orbita della statizzazione, così come prima, al via dell'esperimento stalinista, venivano valutati come gli strumenti più docili da manovrare. E se i consigli non cedono è perché non vogliono Kadar, non perché vogliono Mintzenty. Il puro vessillo degli operai d'avanguardia ungheresi è la "democrazia operaia" contro la pianificazione: se essi hanno disdegnato di sottoporsi alla dialettica delle "cose", da cui erano letteralmente schiacciati, cioè se essi hanno rinunciato a farsi ingannare da un capitalismo di stato ammantato di socialismo, non si vede la ragione per cui l'avanguardia debba versare calde lacrime sulla scomparsa (se avverrà) dello stalinismo in Ungheria. Il calcolo scientista, di cui sopra, si nullifica nella corrente volontaria, anche se rimane un fatto incontrovertibile, una volta che ci chiudono in biblioteca, la maggior perfezione del capitalismo statale. Le trascendenze economiche esistono e bisogna tenerne conto: ma è anche vero che esse devono dileguare nel loro nulla, cioè nell'imminenza della lotta proletaria, nei Consigli.

E se nazionaliste saranno state alcune forze, e non la classe operaia. Se rimane intatto il valore internazionalista (tipicamente proletario, perché la borghesia o è corporativa, o nazionale), un altro valore si staglia netto sul fondo agitato di quella realtà ancora in movimento; sono le masse che devono, che vogliono fare la storia. D'accordo che Geroe non voleva fare l'economia socialista e usava l'intervento burocratico e criminale per fare il capitalismo di stato, sprecando vite umane come fossero calorie di un motore mostruoso. Però questo vuol dire solo che era in pieno accordo con le sue idee e il suo mezzo omogeneo al suo fine. Sia pace alla sua memoria!

Al contrario, per la forza politica della rivoluzione socialista vi sarebbe una lampante contraddizione qualora si volesse conciliare il nobile e umanissimo fine del socialismo con mezzi criminali della sua realizzazione. Nessun vago umanitarismo in tutto ciò - d'accordo - ma la rivoluzione ha il diritto di dare con l'uso della forza e senza attendere la maggioranza parlamentare il potere economico e statale nelle mani del proletariato, non disgiunto però dalla successiva instaurazione di una società di transizione che sia diretta dal più ampio movimento di massa e da una illimitata libertà di critica all'interno delle forze non reazionarie. Vogliamo ammonire i traduttori in stile fascista della formula dittatura del proletariato, affinché nel giro di pochi istanti non si vengano o a trovare appesi con il capo all'ingiù, come gli agenti dell'ungherese A.V.O. La corda la terrebbe non solo il lavoratore ma anche il piccolo borghese fattosi per inesorabile forza di circostanza eroe purissimo e sfruttato... Insomma Rosa Luxembourg insegna. Autorità e libertà vanno assieme. "Va bene dittatura, ma questa dittatura consiste nella maniera di applicare la democrazia".

Occorre che nasca, che si sviluppi una società nuova ante litteram; se ci mettiamo a "teorizzare" i lati disumani la nostra diventa una "ideologia di guerra" (MerleauPonty). Questo grande nostro contemporaneo conduce nel suo libro Humanisme et Terreur una spietata requisitoria contro la realizzazione visibile dei valori umani attraverso un processo che comporta dei détours dialettici, ma che non saprebbe per questo voltare le spalle ai suoi fini. Essa non è più l'atmosfera vitale dell'uomo, la risposta ai suoi richiami, il luogo della fraternità rivoluzionaria. Diviene una forza esteriore il cui senso è ignorato dall'individuo, la pura potenza del fatto. Il più sporco machiavellismo esita nell'abbandono dei principi che si debbono realizzare nel culto di ciò che sta dall'altra parte della barricata, della crudeltà capitalista, della psicologia capitalista, delle realizzazioni capitaliste. Il mezzo diventa fine, e se chi lo pratica ha ancora sentore di ciò che di nobile voleva realizzare, allora concluderà inevitabilmente: "La storia conosce il suo cammino. Essa non commette errori". A questo pretesco provvidenzialismo si è sempre contrapposta l'attività delle masse che vogliono fondare immediatamente (anche se non simultaneamente) il nuovo ordine. A questo pretesco provvidenzialismo si contrappone oggi, sul piano della ricerca della natura della Russia l'avanguardia di classe, per la quale senza i Soviet operanti non si poteva realizzare in Russia il socialismo.

Se l'uso criminale del mezzo si ritorcesse sopra una inutile collettività com'è nei calcoli dei burocrati, allora la questione sarebbe teorica: ma dall'altra parte esistono degli uomini per i quali contano i fatti e non le idee, conta il socialismo e non il capitalismo. La classe operaia è una classe dialettica per eccellenza, le sue idee le esprime con i fatti e dove non lo può fa nascere quell'unione tra idea e fatto che è il simbolo (a Piombino durante un'occupazione di fabbrica, gli operai per manifestare la loro volontà di lavoro, operano una colata simbolica nell'interno di stabilimenti che sanno essere privi di carbone e di corrente). Di fronte a questo atteggiamento di approvazione, a questo movimento che va dall'oggetto al soggetto sotto il controllo della volontà rivoluzionaria, il movimento dei burocrati e dei cultori del fatto e del mezzo è precisamente l'opposto; l'ammirazione del già fatto, del capitalismo, del terrore bianco, della trascendenza, della "economia". In nome dell'economia l'uomo può essere torturato, come se l'economia non la facessero gli uomini e perciò non dovesse essere omogenea e connaturata, "interna", identica all'uomo che la fa. (Parliamo naturalmente dell'economia socialista).

Sempre pronti a irridere i sogni, i burocrati si trovano nella condizione di dover commentare la loro "superiore" astuzia politica con le grida dei torturati... in nome dell'umanità.

La parola della massa è quella di Búchner.

Ora è il momento che avvenga qualcosa di inaudito,di mai visto, qualcosa che metta in subbuglio tutto il mondo.

La massa risolve il disperato pessimismo di Toller nei suoi confronti, non più vittima del senza nome lo appende per liberarsene. La massa vuole subito la sua storia, se no non si farebbe accoppare dai carri armati.

Così è tutte le volte che l'Uomo Massa si muove contro l'aritmetica criminale dei proprietari, per realizzare praticamente il lembo di Infinito che porta con sé anche nelle più atroci peripezie.

Il nostro discorso sul banco di prova doveva per forza passare attraverso il ripensamento della rivoluzione ungherese e di altri temi cari all'avanguardia.

Guai se, per qualsiasi ragione, anche tra le più valide, come quelle che portano il segno dell'adesione passionale, sentimentale, dimenticassimo l'ombra della Russia, avidamente protesa, come la sorella America, a conquistarsi con ogni mezzo il monopolio dello sfruttamento delle masse lavoratrici di tutto il mondo.

A.M.

Economia russa banco di prova dell'avanguardia rivoluzionaria

Da “Battaglia Comunista” n. 12, dicembre 1956/gennaio 1957

Togliamo da una nota programmatica redatta dai compagni del gruppo Socialisme ou Barbarie.

Queste idee (del marxismo rivoluzionario) sono state sistematicamente deformate e infine abbandonate dai partiti operai tradizionali, "socialisti" e "comunisti", i quali sono completamente dominati da una burocrazia inamovibile, estranea ed ostile al proletariato anche se essa esce dai nuovi ranghi. Questa burocrazia utilizza la lotta operaia per perseguire scopi che gli sono propri - ora procurarsi un posto nella gestione del regime capitalista, ora spossessare la borghesia e sostituirsi ad essa, con la "nazionalizzazione" e la "pianificazione" dell'economia. Ma "nazionalizzazione" e "pianificazione" non sono per nulla equivalenti al socialismo e possono divenire la base di uno sfruttamento del proletariato dalla burocrazia che non la cede in nulla a quello praticato dal capitalismo.

Nel volantino "Perché lottano gli operai ungheresi?" gli stessi compagni affermano:

Una volta liquidati i padroni privati, questi burocrati hanno preso il loro posto. Essi dirigono ogni officina, l'economia e lo Stato tutto intero senza mai tener conto dei lavoratori. Il diritto di sciopero è soppresso, lo sciopero qualificato di "delitto contro lo Stato socialista". Il prodotto dello sfruttamento degli operai e dei contadini serve, come sotto un regime capitalista, d'una parte a costruire sempre più officine, dall'altra ad assicurare un livello di vita esorbitante ai burocrati "comunisti".

E infine "Socialisme ou Barbarie" (N. 20).

Il capitalismo burocratico in Russia e nell'Europa Orientale non fa che applicare all'insieme dell'economia e della società i metodi che il capitalismo privato ha creato ed applicato nella direzione d'ogni singoli officina. [...]
Non vi è crisi particolare della burocrazia e del suo regime, il burocratico [siamo noi che sottolineiamo] se si considera il fondo delle cose.
Ed è questa medesima crisi che rende vani tutti gli sforzi delle classi dirigenti dell'Occidente miranti a rendere stabile il loro regime e a dirigere la loro società. È questa crisi che causa l'incapacità del capitalismo francese a razionalizzare la gestione del paese, o a regolare i suoi rapporti con le sue ex-colonie, l'incapacità del capitalismo inglese o americano di disciplinare i loro operai, di dominare i loro satelliti.

Le conclusioni ci sono comuni ma non ancora i termini del linguaggio politico. I compagni di "Socialisme ou Barbarie" parlano ora in termini di capitalismo burocratico per indicare le forze sociali che gestiscono tanto in Russia che nelle democrazie popolari, come nel mondo occidentale l'economia pianificata.

Siamo d'accordo nel giudicare la pianificazione non ancora il socialismo ma soltanto capitalismo nella fase della sua più alta "socialità", ma il problema è di sapere se le forze sociali che sono andate via via configurandosi come classe dirigente di questa particolare strutturazione economica sono o no classe che sfrutta i benefici e i privilegi sorti da una produzione sociale articolata nello stato. La definizione di capitalismo burocratico è intanto qualche cosa di più e di più preciso politicamente di burocrazia ma non risolve ancora il pericolo di una formulazione, una specie di categoria economica (non più capitalismo e non ancora socialismo) per se stessa astratta, intellettualistica, degenerante nelle nebbie dell'idealismo.

Ad una produzione capitalista non può corrispondere che un potere di classe nella tradizione del capitalismo. E perché, allora, non chiamarlo capitalismo distato che esprime la sua classe dirigente che ha la fisionomia sociale, gli interessi fondamentali e il ruolo storico del capitalismo in una fase data del suo sviluppo? E tale capitalismo non è forse facilmente riconoscibile nei suoi connotati unitari (creazione del plus valore, accumulazione, conquista dei mercati e funzione imperialista) quale che sia il clima e la latitudine?

Gli avvenimenti che si sono susseguiti in questi anni, e potremmo dire in questi giorni, hanno aperto gli occhi a tutti. È ben lontana ormai dalla coscienza critica la ingenua e romantica formulazione di Trotsky che riteneva la burocrazia russa "non un organo, ma un tumore sull'organismo sociale", formulazione che la storia ha smentito in sede economica come in sede politica. Nella fase esplosiva delle contraddizioni che dilaniano l'economia del blocco russo, l'insorgere delle masse contro il sistema è in ogni caso l'insorgere della classe sfruttata contro la classe sfruttatrice nei termini tradizionali propri delle classi antagonistiche. Ma proletariato e borghesia non sono che termini soggettivi di una realtà oggettiva che, articolata ieri sul piano della concorrenza individualistica, si articola oggi sul piano d'una più vasta produzione sociale e d'una concorrenza che mette di fronte monopoli a volte intercontinentali ed economie pianificate sul piano dello stato. Il capitalismo di stato è la fase terminale di questo corso storico del capitalismo, e la burocrazia non ne è che una espressione sovrastrutturale. Il moto eversivo delle masse operaie, come e quanto esplode, va infatti oltre l'escrescenza cancerosa di cui parla coloristicamente Trotsky, ma tende ogni volta (vedi Berlino-Est, Poznam, Ungheria) a spezzare le cause che "clinicamente" hanno dato origine al tumore.

E dunque il capitalismo di stato che assume l'importanza fondamentale di categoria economica e politica e non la burocrazia, perché è lo stato che opera nel suo seno i processo dell'accumulazione che fa della sua economia lo strumento di una politica di potenza, che vive sullo sfruttamento della classe operaia, e giudica ed opera col metro delle sue necessità economiche, politiche e strategiche nel più vasto conflitto del dominio imperialista. Gli uomini dell'apparato burocratico sono nel loro complesso di classe gli esecutori di questo imperativo che scaturisce dal mondo concreto e delle cose quale è dato dalla fase attuale dell'economia capitalista. La lotta armata degli operai ungheresi è la manifestazione più recente e drammatica dell'attacco rivoluzionario sferrato precisamente contro questo particolare mondo di economie e d'interessi su cui appaiono e scompaiono, tragiche marionette, i pianificatori da Stalin a Kruscev, da Tito a Gomulka, da Nagy a Kadar. Tali sono i termini della dialettica di classe, e sono stati questi avvenimenti, più che la nostra critica, a spazzar via tutto l'imparaticcio e il castello di formulette ora intorno alla burocrazia casta, ora intorno allo stato degenerato che va... rigenerato, ora intorno alla difesa dell'URSS, le cui assisi economiche - proprietà collettivizzata e pianificazione-, andavano difese contro i pericoli esterni e contro... il regime totalitario, che il peggiore Trotzki sembra aver lasciato in eredità al multiforme trotskismo internazionale.

Il senso della lotta operaia risulterebbe oggi illusoria condotta in superficie contro la sola burocrazia e non sarebbe dissimile nei metodi e nel fine alle rivoluzioni di palazzo, a quelle balcaniche e ai pronunciamenti dell'America Latina, ciò che ci porterebbe ad un esame di situazioni precapitalistiche; ma la lotta operaia risulterebbe dialetticamente concreta e obiettivamente rivoluzionaria se diretta frontalmente contro il complesso del capitalismo distato, contro le ferree leggi della sua economia di mercato, contro le sue norme e la sua classe dirigente (burocrazia) spezzando così questa struttura economica che costituisce la ragione prima del persistere di un sistema che genera disuguaglianza, sfruttamento ed esercizio di tirannia politica. In Russia, come nei paesi di democrazia popolare, la rivoluzione proletaria significherà il sorgere, sulle rovine del capitalismo di stato, di una organizzazione della produzione socialista realizzata dai produttori stessi e garantita dall'esercizio della propria dittatura di classe.

L'avanguardia rivoluzionaria riuscirà a liberarsi da questo pesante fardello di idee e di metodi tuttora legato ad una errata od opportunistica valutazione dell'economia russa, solo se riuscirà a parlare in termini di chiarezza ideologia e di inesorabilità politica. E un impegno che facciamo nostro, e non attende dilazioni.

d.

Russia di stato

Da “Battaglia Comunista” n. 12, dicembre 1956/gennaio 1957

La struttura economica dell'URSS d'oggi costituisce il banco di prova per le formazioni rivoluzionarie che si richiamano alla tradizione rivoluzionaria del movimento di classe del proletariato, e dalla soluzione che si da a questo colossale problema dipendono tattica e strategia di classe nei confronti della concezione dell'imperialismo in generale. Ora, noi comunisti internazionalisti non è da oggi che abbiamo precisato il nostro pensiero in merito, ma se il problema è sempre sommamente suggestivo gli è perché tale non è solamente per noi ma anche per altri gruppi che bene o male si richiamano alla tradizione rivoluzionaria. Fra questi c'è anche chi, arrampicandosi sugli specchi cerca di dimostrare che se la struttura economica russa non è socialista, non è neppure capitalista assumendo che la legge del valore e dell'accumulazione hanno caratteri che non sono identici a quelli che vigono nel regime a capitalismo tradizionale e che perciò la valutazione critica e di classe del marxismo non può porre sullo stesso piano ad esempio: URSS e USA. Va da sé che una simile impostazione critica conduce sul piano politico ad atteggiamenti tattici e strategici che si identificano con quelli dello stalinismo internazionale.

Capitalismo di stato o economia di transazione verso il socialismo? Germain, uno degli epigoni più qualificati del trotzkismo internazionale (vedi Bandiera Rossa del 15-12-1956) si pronuncia per il secondo termine del dilemma suffragando le sue zoppicanti affermazioni con l'autorità di Marx (critica al programma di Gotha). Lungi da noi l'idea di mettere in dubbio il valore delle note di Marx al programma dei Lassalliani assolutamente concordi siamo soprattutto con la lettera d'accompagnamento alla critica che Marx indirizza a Bracke ove allude al baratto di principi contenuti nel programma in questione, ma vogliamo solo mettere in chiaro che anche il fu Giuseppe Stalin si servì fraudolentemente della critica del programma di Gota di Marx per giustificare la tesi del socialismo in un solo paese.

Pensiamo che, per venire a capo di quale genere sia la natura di classe, sia l'economia di dato paese; i primi elementi del marxismo insegnano che occorre vagliare criticamente e non sentimentalmente la struttura economica e sociale di quel dato paese, e compararla con quella di altri paesi del mondo, per cui siamo d'accordo con le vedute della corrente americana di Forest, e perché no? anche con le vedute attuali... dei bordighisti, ma soprattutto siamo d'accordo con Lenin. Abbiamo sottocchio il discorso sull'Imposta in natura del grande Lenin che è veramente fondamentale per aiutarci a capire quale sia la natura di classe dell'attuale economia russa e quali siano i rapporti sociali che danno sostanza alla vita di quel paese.

Nel 1918 Lenin così classificava le forme della produzione allora esistente in URSS:

  1. l' economia contadina patriarcale, cioè in parte considerevole economia naturale:
  2. la piccola produzione mercantile (qui entra la maggioranza dei contadini che vendono il grano h;
  3. il capitalismo privato;
  4. il capitalismo di Stato;
  5. il socialismo.

Precisiamo subito che per capitalismo di Stato Lenin intendeva parlare del 1918 del controllo sul grande monopolio, sui datori di lavoro e sui commercianti, sui cooperatori borghesi ecc., mettendo in rilievo che questo involucro veniva squarciato dalla speculazione.

Nel 1921, all'epoca della introduzione della N.E.P. (nuova politica economica) pensa che il comunismo di guerra fu imposto dalle necessita della guerra civile e che in nessun modo poteva essere considerato come una politica corrispondente ai compiti economici del proletariato. La NEP va quindi considerata come la sola via d'uscita alla disorganizzazione provocata dalla guerra civile che aveva raggiunto vertici paurosissimi. Per cui Lenin considerava che il capitalismo di Stato (che non poteva essere scambiato con il socialismo), rappresentava tuttavia un enorme passo avanti in rapporto all'anarchia rappresentata dalla piccola produzione contadina e artigiana che dava il crisma alla situazione economica di allora; e pertanto Lenin affermava che:

il capitalismo di Stato economicamente è incomparabilmente superiore alla nostra economica attuale, e in ciò non vi è nulla di spaventoso in quanto lo Stato sovietico è assicurato dal potere degli operai e dei contadini poveri.

In questo passaggio che abbiamo citato dal discorso sull'imposta in natura sta il nocciolo della questione.

Ad ogni modo sia ben chiaro che nel 1921 Lenin auspicava l'avvento del capitalismo di Stato quale organizzatore di una industria capace di una produzione in massa e preparava il partito a tale compito, una tale organizzazione della produzione veniva giustamente considerata come l'anticamera del socialismo.

Ma Lenin assertore convinto di un organico capitalismo di Stato non limitava la sua analisi alle sole condizioni economiche dell'URSS, il suo volume politico spaziava in una prospettiva più vasta, dobbiamo, egli diceva imparare il capitalismo di Stato dalla Germania ove le condizioni obiettive sono mature per il passaggio al socialismo poiché senza grande industria accentrata non è possibile alcun socialismo, ed affermava:

il socialismo è inconcepibile senza le tecnica organizzata secondo l'ultima parola delle scienze moderne, senza une organizzazione statale sistematica che sottoponga decine di milioni di uomini elle più severe osservanza di une norme unica del processo di produzione e di distribuzione dei prodotti. Questo, noi marxisti l'abbiamo sempre detto, ecc... me senza il dominio del proletariato negli organi dello Stato il socialismo è inconcepibile, anche questo è elementare...
Le vittorie delle rivoluzione proletaria in Germania spezzerebbe subito con enorme facilità ogni guscio d'imperialismo e realizzerebbe di sicuro le vittorie del socialismo mondiale senza difficoltà o con difficoltà trascurabili, certamente se si considera "la difficoltà" su scala storica mondiale e non su quelle piccolo-borghese settaria... me se le rivoluzione tarda e scoppiare in Germania il nostro compito è d'imparare il capitalismo di Stato dei tedeschi a di assimilarlo con tutte le nostre forze...

E Lenin con le NEP dà l'avvio al capitalismo di Stato.

Le nuove politica economica del 1921 non si limitò e ristabilire all'interno le libertà di commercio, "i contadini potevano vendere l'eccedente di grano dopo aver versato allo Stato l'imposte in natura" e ristabilire, o meglio a legalizzare l'attività dalle piccole industrie e artigiana, e consentire maggiore impulso elle cooperazione di tipo borghese; me programmava un pieno di concessioni e finanzieri e capitalisti stranieri. Quei pozzi, quelle foreste, quelle industrie, ecc., che lo stato socialista non are in grado di organizzare, riattivare par mancanza di mezzi, scorta, ecc., venivano date in concessione ai capitalisti stranieri, attività che passavano sotto il controllo dello Stato, e che chiamava coi nome di capitalismo di Stato.

Queste misure furono imposta delle necessità di fornire di manufatti la campagne, estromettendo gli speculatori agenti del capitalismo, e di stabilire migliori legami fra città e campagne, fra proletari e contadini poveri.

É ovvio che ci si trova di fronte ad una svolte gravida di pericoli ma che il potere proletario colla partecipazione attiva del proletariato doveva affrontare e che poteva risultare vantaggiosa per le classe operaia alla condizione che poco più tardi queste non fosse stata estromessa del potere, che non fosse stata privata del suo controllo di classe.

Trotsky nel 1924 nel suo opuscolo Vers le Socialisme ou vers le Capitalisme, dimostra con cifre alla mano che l'industria controllata dallo Stato è in aumento in rapporto e quella d'iniziativa privata, sostiene le necessità dei pieni di Stato (saranno più tardi i pieni Quinquennali), me dimentica di registrare un fatto, e cioè che il proletariato aveva perso ogni potere, i soviet erano svuotati di ogni contenuto di classe. Il partito col suo apparato aveva soppresso ogni iniziativa di classe, per cui il capitalismo di Stato che doveva costituire l'anticamera del socialismo si avvia ed essere statale superando nel tempo in ampiezza e in profondità ogni precedente compreso quello tedesco di cui ci parlava Lenin.

De tutto ciò che abbiamo fin qui detto, non ci possono essere mezze misure nell'apprezzamento dell'URSS di oggi. Il capitalismo di Stato che 30 anni fa costituiva un'oasi è divenuta oggi le sole realtà economica e politica del paese e le leggi economiche che hanno presieduto al suo rapido sviluppo sono simili e quelle che presiedono allo sviluppo di qualsiasi altro capitalismo tradizionale.

Ci si obietta che in URSS non esiste più une classe di proprietari privati, che i maggiori guadagni che categorie diverse di cittadini sovietici possono percepire non vengono impiegati nel processo di accumulazione del capitale o che comunque non possono essere investiti nelle produzione. A parte il fatto che l'argomentazione è capziosa e non prove assolutamente nulle, va precisato che lo Stato emette delle obbligazioni che sono acquistabili e danno interesse annuo prelevato sul plus-valore creato dagli operai, solamente e quei contadini dell'URSS, che maggiormente guadagnano e quindi suscettibili di risparmio. Marxisticamente parlando, il plusvalore non cambia nome, essenza, ecc., per il fatto che sia prelevato da un industriale singolo, da un Cartello, Trust, e dallo Stato comunque esse si chiami, il processo d'accumulazione capitalista non cambia metodo che esso avvenga in URSS, Germania o USA. E una struttura economica socialista costruita per fini socialisti non dà luogo a sovrastrutture che nulla hanno da invidiare a qualsiasi altro paese capitalista e soprattutto non può non dar luogo e disparità sociali superiori e quelle di qualsiasi paese capitalista.

Il fatto centrale e di maggior interesse comunque risiede in questo: a cioè se è vero che le rivoluzione d'ottobre ha strappato il potere elle classi possidenti, le ha espropriate, è anche vero che per l'arretratezza economica del paese non è passata alle costruzione del socialismo, si è proceduto al contrario elle costruzione di un'enorme piccola proprietà terriera che Lenin nel 1921 considerava le peggior nemica dal socialismo; questo nemico è stato rafforzato con le NEP. Nel corso delle NEP il proletariato perde il potere e le concentrazione di tutta l'economia, compresa quelle agricola, viene operata in clima di aperta controrivoluzione.

Il capitalismo di Stato in URSS ha sorpassato il modello tedesco dal 1918 me in URSS come in Germania il capitalismo di Stato può costituire l'anticamera del socialismo elle sole condizione che il proletariato trovi le forze e la capacità di abbattere violentemente il potere costituito e stabilire sulle sue rovina il suo controllo dittatoriale di classe.

L.S.

La resistenza degli operai ungheresi è in serio pericolo

Da “Battaglia Comunista” n. 1, gennaio/febbraio 1957

L' l l gennaio le mitraglia ha di nuovo fatto sentire 1a sue voce contro i lavoratori del grande centro industriale di Csapel. Il 14 gennaio le stampa ufficiose e ufficiale riportava le strabiliante notizie che il governo Kadar allargare la applicazione delle legge marziale ai presunti reati di sciopero e e chi avesse sobillato verso le astensioni dal lavoro, danneggiando con ciò l'economia nazionale.

Questi ultimi due avvenimenti dimostrano che l'insurrezione proletaria ungherese non ha finito il suo corso, che gli eroici proletari non sono ancora in ginocchio, che la loro lotta contro lo sfruttamento e la repressione morale e politica è ben altra cosa dalla controrivoluzione occidentale strombazzata dai gazzettieri stalinisti.

Questi lavoratori non intendono abbandonare completamente il lo o programma iniziale di rivendicazioni e conquiste economiche e politiche; e quando le loro esigenze non sono tenute in considerazione dimostrano di saper affrontare di nuovo mitra e carri armati. Ma il loro eroismo difficilmente potrà aver ragione di fronte a un nemico potentissimo militarmente ed economicamente; agli operai ungheresi manca la grande arma di classe, cioè la solidarietà del proletariato di tutti i paesi, il quale lascia indisturbata la propria borghesia che lo sfrutta e che sfrutta per i suoi fini la tragedia del proletariato ungherese attraverso l'orchestrazione della sua stampa e attraverso il filantropismo di cattiva lega dei suoi aiuti. Se si pensa poi che a far corona a tutta la stampa del canagliume mondiale si aggiunge la schiera dei gazzettieri staliniani che scrivono le più grosse e rivoltanti panzane dettate dai loro padroni, deformando fatti e cose, insultando continuamente i proletari ungheresi, presentendoli ai loro fratelli come controrivoluzionari, dei banditi fascisti, dei venduti alla reazione occidentale, si ha il quadro esatto della mancata solidarietà e dell'isolamento in cui si trovano gli operai ungheresi e si arriva a capire come la loro resistenza è in pericolo. Ma qualunque sia l'esito e lo sviluppo della battaglia di questo proletariato, la nostra solidarietà non può mancare. Per noi restano tuttora le officine i centri di resistenza, là vi è il proletariato con i suoi Consigli in barba e a dispetto di qualunque Orfeo Evangelista, anche se scrivesse venti volte al giorno che i Consigli operai sono manovrati dagli hortisti. Là cova la futura legalità socialista che presto o tardi avrà ragione e contro carri armati e contro qualsiasi Kadar.

Sappiamo infatti cosa può rappresentare la legalità del governo Kadar, e come e in quali circostanze un apparato militare-politico quale il sovietico possa creare governi, eserciti, polizia e tribunali speciali. Questa è la vecchia storia dell'imperialismo e capitalismo mondiale: il primato di queste tristi esperienze fino ad oggi è spettato agli imperialisti inglesi e francesi ed ora i sovietici dimostrano di aver imparato molto bene la lezione contendendo il primato ai loro compari dell'occidente. Ma chi rappresenta il governo Kadar? Quali sono le ragioni per cui gli operai sono tanto avversi a questo governo? E dobbiamo notare che gli operai sono radicalmente avversi a un uomo che è stato torturato dalla cricca stalinista di Rakosi-Geroe! Se si pensa che nell'insurrezione dell'ottobre il proletariato e il popolo lavoratore hanno fatto tabula rasa del governo, del partito così detto comunista, dell'apparato statale, della polizia e dell'esercito, si capisce come Kadar rappresenti lo sforzo di ricostituzione del vecchio apparato da parte dei sovietici, fuori e contro le espressioni delle masse ungheresi.

Le ragioni per cui gli operai sono avversi al governo Kadar sono di ordine economico e politico, e perciò ragioni di classe. Basta dare uno sguardo alle rivendicazioni dei Consigli operai usciti dall'insurrezione e di come Kadar non vuole assolutamente tenerne conto, per capire che esiste una frattura di classe tra una parte operaia e socialista e un'altra parte capitalista.

Abbiamo affermato sopra che la resistenza degli operai ungheresi è in serio pericolo. Di chi la colpa se non del proletariato degli altri paesi o meglio dei partiti di varia formazione politica che imprigionano il proletariato? Noi sappiamo che gli operai ogni qual volta impugnano il fucile per la difesa dei loro interessi si muovono sulla strada maestra del socialismo e del marxismo. È sempre spettato ai traditori di tutte le ore di deformare e di porre dei limiti alla avanzata delle forze del lavoro. Sia a Berlino Est che a Poznam i proletari sono stati fregati e dallo stalinismo sovietico e dai cosiddetti socialisti occidentali, i quali hanno sì criticato la repressione, ma si sono ben guardati dal dire apertamente che in questi paesi e in URSS non esiste il socialismo. Ciò si è ripetuto anche per la rivoluzione ungherese. Perché questi socialisti non hanno detto al proletariato occidentale che la ragione delle rivolte dei loro fratelli dell'Est è la risultante della politica di guerra e dei trattati di pace che i due blocchi hanno stipulato ai danni del proletariato di quei paesi?

Stalinisti e socialisti di tutti i paesi hanno riconosciuto ed appoggiato i famosi trattati e debiti di guerra

il popolo tedesco, polacco e ungherese dovevano scontare tare ai "liberatori" sovietici. È su questi argomenti che si è socialisti e internazionalisti o non si è tali. Lenin chiamava con il Primo Manifesto dell'Int. Com. i proletari di tutti i paesi vinti o vincitori a lottare contro i trattati di pace e contro i risarcimenti dei danni di guerra, perché erano i focolai del secondo conflitto mondiale, che noi poi abbiamo scontato.

Le rivolte di Berlino Est, Poznam e soprattutto quella ungherese documentano la presa di coscienza delle masse, dopo dieci anni di annebbiamento, contro il capitalismo di Stato, mentre è doveroso notare che non solo i partiti di massa ma anche gli aggruppamenti rivoluzionari, che da decenni dicono di aver rotto con lo stalinismo, sono in ritardo nei confronti dell'esperienza di quelle masse. Sarà nella misura in cui gli aggruppamenti di avanguardia troveranno un comune denominatore il quale possa essere di stimolo a una presa di posizione politica e di raccolta delle forze per aiutare gli operai in tutti quei paesi in cui si rivolteranno, e nella misura in cui riusciranno a capire il problema della solidarietà, che rivolte come quelle di Berlino Est e di Budapest non potranno essere più battute e sconfitte e che ci si incamminerà sulla strada della vittoriosa rivoluzione socialista.

B.B.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.