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Home ›Alcuni problemi dell'agitazione comunista
Editoriale
Ancora il secondo numero della V serie di Prometeo è sostanzialmente monografico. Questa volta è dedicato alla crisi verticale dei paesi dell'est e alle prospettive che essa apre sia alla dinamica dei paesi direttamente interessati sia a quella del capitalismo mondiale.
Un solo articolo coglie l'occasione di una polemica sollevata contro di noi da un gruppo dell'area internazionalista per tornare a chiarire alcuni punti metodologici e di principio della teoria marxista della crisi e specificatamente di questa crisi, di durata ormai ventennale. Il riferimento non è dunque all'est, ma ai meccanismi complessivi della crisi e della sua amministrazione nei quali anche la crisi dell'est indirettamente si inscrive.
Il tema più ampio è quello dell'imperialismo oggi: come si caratterizza e come si esprime. Ben lontani dalle banalizzazioni di alcuni gruppi dell'area, che liquidano i problemi con formule tanto ideologiche quanto inefficaci, i marxisti rivoluzionari hanno oggi più che mai la necessità di verificare nell'esercizio concreto della critica dell'economia politica le tesi e le prospettive che essi sostengono e di cui cercano di farsi portatori nella classe.
Questo argomento ci consente di affrontare anche qui un tema particolare e che ci sta particolarmente a cuore. E infatti da queste verifiche che le forze rivoluzionarie trovano l'alimento migliore per la propria crescita in seno alla classe, sino a riuscire a costituire quel polo di riferimento distinto e solido di cui tanto si sente la necessità. Sia perché attraverso di esse si dimostra presso i marxisti la validità di un metodo e di un corpo di tesi, sia perché è con le verifiche concrete, anche a livelli per noi "inferiori", che il comunismo, nella sua originaria accezione internazionalista, può riprender fiato nella classe.
Le nostre certezze, infatti, non bastano se non si riesce a rompere il muro di falsa coscienza che la formazione sociale e politica della borghesia e i suoi difensori hanno costruito attorno a quelle che potrebbero invece essere avanguardie militanti della classe.
Migliaia e migliaia di pretesi comunisti hanno improvvisamente scoperto il fallimento di quei modelli e di quelle teorie che li sostenevano, cui facevano riferimento. Contemporaneamente la borghesia ha scatenato una campagna ideologica e politica solo apparentemente rivolta contro lo stalinismo e i suoi più o meno camuffati eredi, in realtà contro il pericolo di prospettiva, neppure tanto lontana, del ritorno del comunismo nella sua originaria forma di scienza e programma della emancipazione proletaria.
Il tentativo è quello di negare la classe, la sua esistenza, per annegare il tutto nel magma indistinto della cittadinanza borghese e della relativa politica (ovvero della amministrazione della società così come essa si presenta).
Per ora il tentativo è parzialmente riuscito, visto che i pretesi comunisti di cui sopra e ancora desiderosi di rimanere in attività sembrano considerare più presente e importante, ai fini del cambiamento dello stato di cose presenti, il movimento femminista e/o ambientalista, che la classe operaia. Cercano così di salvare capra e cavoli: da una parte dichiarano finita un'esperienza, evitando peraltro di rinnegarla attraverso una sua seria revisione critica, dall'altra si riciclano su terreni per loro inesplorati e presunti fertili di nuove carriere.
Ciò vale particolarmente per i quadri alti e intermedi del vecchio Pci, impegnatissimi nell'attivare "circoli comunisti" trasversali (a Pds e Rifondazione) con i quali recuperare e mantenere legati all'area elettorale di sinistra le decine di migliaia di ex-iscritti di base al Pci.
Ma c'è anche una base che, come era convinta in buona fede di esser comunista prima, così vuol restare comunista nonostante i guasti del socialismo reale. Su questa base i politicanti dell'ex Pci, animatori dei circoli, cercano di esercitare tutta la loro autorità per evitarle, o impedirle l'esercizio della revisione critica. Il riferimento al marxismo resta così solo puramente formale, come a una generica dottrina di "liberazione" e di uguaglianza, sospesa nell'aria e di cui non vale la pena indagare e conoscere il metodo e i contenuti.
Ecco come i promotori di una delle associazioni in oggetto (il Laboratorio critico marxista di Milano) presentano il comunismo:
Siamo certi che il comunismo è una filosofia complessa, intrecciata di idee e teorie, pensatori e avvenimenti storici... Viene spontaneo il parallelo con altri pensieri come il cattolicesimo, che non si estrinseca solo nelle Crociate o nella Inquisizione o le idee liberal-democratiche o qualunque altro pensiero teorico. Ognuno di questi deve essere affrontato nella sua complessità e nelle sue varie articolazioni, pertanto ribadiamo che nei nostri 150 anni di storia vi è la stessa complessità di pensiero intrecciata con i grandi momenti storici.
Ecco mistificata così la natura del comunismo: non più scienza della emancipazione di classe, arma critica per la preparazione della critica delle armi verso la formazione borghese della società, ma una religione come il cattolicesimo. Come l'Inquisizione è espressione del cattolicesimo ma non lo esaurisce perché è sua espressione anche il gesuita Pintacuda, così lo stalinismo rimane espressione del comunismo, pur senza esaurirlo, perché ci sta anche Gramsci in forzata compagnia della Luxemburg. Così viene liquidata la necessità di ridiscutere tutto sulla base di una riappropriazione del metodo marxista: tutto va bene, nulla è esaustivo.
I preti officianti la rifondazione del comunismo di stampo stalinista sperano così di amministrare le anime belle di tanti attivisti in funzione sia della loro permanenza sui seggi parlamentari e del sottobosco del potere borghese, sia delle loro speranze di accesso alla tavola principale.
Tutto regge sinché le suddette anime belle restano tali, non accorgendosi che:
- la classe esiste,
- le sue condizioni di vita peggiorano anche qui e che
- il comunismo è altro, capace di vera critica dell'esistente e di prospettare il vero cambiamento.
Oggi è forse più possibile di ieri dimostrare tutti e tre i punti e ridare così fiato all'internazionalismo, per lo meno fra gli strati di classe più avvertiti e attivi.
Si tratta di riprendere il lavoro quasi daccapo, non certo nel senso di cancellare o dimenticare gli sviluppi raggiunti dalla elaborazione marxista, che anzi devono avanzare, ma tornando, soprattutto nella propaganda e nella agitazione, a quei principi elementari che bisogna, appunto, daccapo dimostrare.
Anche qui serve un lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati da tradurre in documenti e strumenti di agitazione e propaganda, che non sempre le piccole organizzazioni comuniste a scala nazionale e internazionale sono in grado di svolgere con l'estensione e la frequenza necessarie.
D'altra parte questo è un lavoro che potremmo definire primordiale per i rivoluzionari e che precede e prescinde dalle divergenze che si presentano fra loro nel momento in cui si passa alla definizione strategica e tattica delle prospettive.
Siamo dunque in presenza della seguente situazione contraddittoria e per certi versi paradossale. Da una parte sentiamo la necessità di un lavoro basilare sul quale tutti gli internazionalisti sarebbero e sono daccordo. D'altra parte gli internazionalisti si presentano, particolarmente in Italia, politicamente divisi in piccole organizzazioni, più o meno necessariamente impegnate nella definizione e nella difesa delle proprie specificità, di posizioni, di principio quando non addirittura di metodo. In fondo le organizzazioni politiche non sono tali se non affrontano i grandi problemi del movimento strategico di classe con prese di posizione circostanziate e adeguatamente elaborate. Tale impegno assorbe quasi tutte le energie umane e le disponibilità di mezzi materiali (volantini, giornali, riviste, riunioni) delle organizzazioni, lasciando ben poco a quel lavoro primordiale di cui si diceva.
Infine, il numero di militanti nelle organizzazioni internazionaliste è certamente inferiore, e di gran lunga, al numero di persone intellettualmente gravitanti nell'area, disperse sull'intero territorio nazionale, attente a quanto in essa si dice e si muove, ma inattive su qualunque terreno. Tale inattività ha tre possibili motivi, forse in alcuni casi concomitanti: la scelta di passività, le difficoltà (talvolta comprensibili) a scegliere l'organizzazione per la milizia, e la difficoltà a individuare terreni alternativi per una forma anche elementare di militanza.
Qui sta il paradosso cui accennavamo. Una parte almeno di quel lavoro che abbiamo definito primordiale potrebbe - e dovrebbe - essere svolto da questi compagni "dispersi e svincoli" che non siano tali per mera scelta di passività.
Non ci pare necessario specificare qui nei dettagli le modalità possibili di questo lavoro, quanto sottolinearne l'importanza.
E utile anche osservare che l'attivarsi dei compagni dispersi e indipendenti dalle organizzazioni sul terreno della agitazione e propaganda contro il modo di produzione capitalista costituisce la condizione più favorevole all'erezione di un primo argine contro il pericolo di nuove influenze nefaste dei manovratori di Rifondazione e simili.
Quelli costituiscono circoli e "laboratori" falsamente marxisti per buggerare ancora quanti hanno voglia di comunismo.
Non pensano i dispersi e svincoli d'area genuinamente marxista di far qualcosa per sbugiardarli? E detto a tutti non è il caso di iniziare a pensare con serietà a fare quanto necessario e utile all'attivarsi di un'area marxista, indipendente dagli specifici centri politici, che si contrapponga efficacemente all'area della sistematica mistificazione e della controrivoluzione?
L'interrogativo è retorico perché quello costituisce, oggi, un terreno essenziale di verifica dell'impegno politico degli internazionalisti per la prospettiva di cui si vogliono portatori.
Prometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
Prometeo #2
V Serie - Dicembre 1991
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