Capitale, produttività e caduta del saggio di profitto - Parte seconda

Prosegue dalla prima parte

Infortunio 2

Nel prosieguo dell'articolo di Prometeo, sempre a proposito della caduta del saggio del profitto e delle cause antagonistiche che la possono frenare o tamponare, si ribadisce il concetto che:

perché la legge possa esprimersi, occorre che l'incremento di c sia percentualmente maggiore di v e che l'aumento del rapporto organico del capitale sia percentualmente superiore all'incremento del saggio del plusvalore.

Detto in altre parole, perché il saggio del profitto diminuisca occorre innanzitutto che si modifichi il rapporto organico del capitale, ovvero che gli investimenti privilegino quantitativamente più il capitale morto di quello vivo, poi che la modificazione del rapporto organico del capitale così prodottasi sia percentualmente superiore all'aumento della produttività del lavoro. In caso contrario, se non si determinasse nessuna modificazione del rapporto organico del capitale non si avrebbe nessuna caduta del saggio del profitto, né se l'aumento del plusvalore fosse percentualmente superiore all'aumento del rapporto organico del capitale. Il che presuppone (cosa peraltro immediatamente colta da Fogli rossi) che, sulla scorta della necessità dell'aumento della produttività sociale, ci siano nei rapporti tra i fattori che determinano l'esprimersi della legge, un prima e un poi, un fattore che temporalmente e meccanicamente si esprima per primo, una "conditio sine qua non", e fattori che si esprimano successivamente (e non, come si sostiene nella critica "uno fondamentale e l'altro secondario", o peggio ancora "uno fondante e l'altro derivato").

Ma per l'antiarticolista la frase riportata da Prometeo, non solo è "contorta" ma sarebbe anche:

capziosa ed erronea dal momento che l'aumento di produttività si esprime, capitalisticamente, sia nell'incremento di c/v che in quello di p/v, e non ha quindi senso dire che il primo è fondamentale, mentre l'incremento di produttività (si presume l'incremento di p/v) secondario.

Infatti, prosegue l'antiarticolista:

ciò da cui Marx prende le mosse è l'aumento della produttività del lavoro sociale: questo fatto ha, contemporaneamente, due effetti: alza il rapporto c/v e alza il rapporto p/v.

Ebbene si. Nell'affrontare da un punto di vista generale i fattori che determinano la caduta del saggio del profitto, Marx "prende le mosse" anche dall'aumento della produttività del lavoro e, in più di un passo, ribadisce il concetto che l'aumento della produttività ha come conseguenza l'innalzamento sia di c/v che di p/v, mostrando come il fenomeno altro non sia che l'esprimersi dei rapporti di produzione capitalistici nel loro contraddittorio divenire. Ma se è solo per questo Marx, per tutta l'impostazione tecnica della "legge in quanto tale", prende in considerazione, come fattore determinante all'innesco della legge della caduta del saggio del proditto, la modificazione del rapporto organico del capitale.

Se tale cambiamento (c rispetto a v) modifica quindi la composizione media organica del capitale complessivo appartenente a una determinata società, questo graduale incremento del capitale costante in rapporto al variabile deve necessariamente avere per risultato una graduale diminuzione del saggio generale del profitto, fermi restando il saggio del plusvalore o il grado di sfruttamento del lavoro per mezzo del capitale. (3)

Indubbiamente Marx ritiene che la legge possa esprimersi solo ed esclusivamente se avviene la modificazione organica del capitale, anche con un saggio del profitto costante. O s'innalza il rapporto tra il fattore c e il fattore v

oppure tutto rimane come prima. In un altro passaggio esprime il medesimo concetto facendo però questa volta variare anche il saggio del plusvalore:

La legge del saggio decrescente del profitto, che si esprime con lo stesso saggio del plusvalore o anche con un saggio crescente, dice in altre parole: data una qualsiasi determinata quantità di capitale medio sociale, ad esempio 100, vi è un aumento continuo della parte di esso rappresentata dai mezzi di lavoro e una continua diminuzione della parte rappresentata dal lavoro vivo. (4)

Posto nei termini voluti dall'antiarticolista, il problema dei fattori che determinano il manifestarsi della legge sembra banalmente ridotto al quesito se sia preminente l'aumento della produttivita del lavoro sociale o la modificazione del rapporto organico del capitale. "E l'aumento della produttività del lavoro sociale che innalza il rapporto c/v e p/v e che quindi determina l'esprimersi della legge", ci si dice. Ma, disgraziatamente per lui, Marx non usa gli strumenti della logica formale ma quelli ben più efficienti della dialettica, dove tutti i fenomeni vengono analizzati nel loro contraddittorio manifestarsi per poi poterne trarre una sintesi definitiva. Qui non si tratta se è nato prima l'uovo (l'incremento della produttività del lavoro sociale) o la gallina (l'incremento del rapporto organico del capitale) ma di come l'aumento della produttività del lavoro, l'incremento di c/v e di p/v concorrano a determinare il fenomeno della caduta del saggio del profitto operando, ognuno di essi, proporzionalmente e contraddittoriamente in tempi diversi. L'unico punto di partenza possibile è rappresentato dai meccanismi di accumulazione del capitale che per realizzarsi, pur con modalità contraddittorie, premono per l'incremento dello sfruttamento della forza lavoro nei tempi e nei modi che gli sono possibili oltre che fisiologici. Tenendo inoltre in debita considerazione che l'aumento della produttività sociale del lavoro non è altro che l'innalzamento di p/v, che a sua volta presuppone di solito un incremento di c/v. Se si preferisce, si può dire che l'incremento del rapporto organico del capitale, accompagnato da un aumento del saggio del plusvalore, altro non è che un modo per esprimere l'aumento della produttività sociale del lavoro. Anche in questo caso Marx è estremamente chiaro:

Questa progressiva diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante, e per conseguenza al capitale complessivo, è identica al progressivo elevarsi della composizione organica del capitale complessivo considerato nella sua media. Del pari, essa non è altro che una nuova espressione del progressivo sviluppo della produttività sociale del lavoro, che si dimostra per l'appunto nel fatto che, per mezzo dell'impiego crescente di macchinario e di capitale fisso in generale, una maggiore quantità di materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotto da un uguale numero di operai nello stesso tempo, cioè con un lavoro minore. (5)

Proseguendo per sintesi ulteriori possiamo dire che l'aumento della produttività sociale del lavoro presuppone un innalzamento del saggio del plusvalore la cui espressione capitalistica è l'aumento della composizione organica del capitale, "conditio sine qua non" della caduta del saggio del profitto.

Capovolgendo l'approccio al problema, si ha la caduta del saggio del profitto quando, a un dato aumento del saggio del profitto corrisponde un aumento percentualmente maggiore della composizione organica del capitale. Che lo si voglia o no, da qualunque punto si parta, il nodo obbligatorio da sciogliere, necessario, è l'innalzamento del rapporto organico del capitale. Nel senso che gli altri fattori possono anche modificarsi senza determinare l'esprimersi della legge mentre un innalzamento di c rispetto a v ha come necessaria conseguenza la caduta del saggio del profitto. Né, al riguardo, Marx dà adito a interpretazioni diverse, se non a quelle inficiate di meccanicismo, superficialismo o comunque antidialettiche. Il fatto che Marx prenda le mosse da differenti punti di vista, che indichi diversi modi di approccio al medesimo problema, non autorizza nessuno a soffermarsi sui metodi di indicazione e non sull'oggetto indicato. Non a caso, in una sorta di conclusione riguardo ai fattori che tutti insieme concorrono dialetticamente alla formazione della legge della caduta del saggio del profitto, Marx ribadisce che:

L'aumento del capitale, e quindi l'accumulazione, si ripercuote in una diminuzione del saggio del profitto unicamente quando questo aumento sia accompagnato da modificazioni nel rapporto degli elementi organici del capitale... (6)

Per cui non ci sembra "capzioso" né tantomeno "erroneo" dire, citando ancora l'articolo di Prometeo, che:

perché la legge possa esprimersi, occorre che l'incremento di c sia percentualmente maggiore di v e che l'aumento del rapporto organico del capitale sia percentualmente superiore all'incremento del saggio del plusvalore.

Ben lontani dall'idea di andare a discutere sulle priorità tecniche e temporali tra l'incremento di p/v e di c/v, nell'articolo si è insistito sugli aspetti della modificazione organica del capitale in polemica con chi, anche se in modo velato e indiretto, teorizza che la legge della caduta del saggio del profitto abbia, nel capitalismo moderno, nell'aumento del lavoro improduttivo la sua causa prima. In risposta abbiamo argomentato che una simile analisi non può essere accettata e che occorre riportare l'attenzione sull'innalzamento di c/v e sulle cause che lo favoriscono.

Ma a migliore comprensione del passo citato e del metodo usato, sia riguardo l'approccio al problema che la dinamica del comportamento dei fattori in questione (c/v e p/v), riteniamo necessario aggiungere alcune osservazioni sul perché si è posto l'accento sulla modificazione del rapporto organico del capitale e sulla diversa intensità degli indici di incremento di c/v e di p/v.

Primo. In via di principio, si può avere un aumento del plusvalore relativo, del plusvalore assoluto e del saggio del plusvalore anche senza andare a modificare il rapporto organico del capitale. I metodi sono tanti e diversificati: si va dal prolungamento della giornata lavorativa attraverso gli straordinari, i sabati lavorativi, ecc. all'aumento dell'intensità del lavoro con una migliore gestione dei fattori della produzione o attraverso un più razionale modo di distribuzione del lavoro come, ad esempio, le isole produttive.

In questi casi, l'aumento del saggio del plusvalore, non andando a modificare c/v non solo non innesca la caduta del saggio del profitto, ma si comporta da vera e propria controtendenza all'esprimersi della legge. Addirittura, come detto in precedenza, la caduta del saggio del profitto può non esprimersi o venire rallentata anche quando l'incremento di p/v va a innalzare il rapporto c/v ma con indici non sufficienti.

Per quest'ultimo aspetto, quando cioè si innalzano entrambi i fattori, occorre stabilire l'intensità relativa dei due indici di incremento. Infatti un incremento di p/v percentualmente molto più o molto meno elevato dell'innalzamento di c/v può dare adito a una serie di soluzioni che vanno dall'aumento del saggio del profitto alla sua diminuzione passando attraverso una gamma di valori in assoluto diversi per segno e intensità.

Secondo. L'incremento di p/v rispetto a c/v, non solo non è sempre sinonimo di caduta del saggio del profitto ma non è mai "contemporaneo" come erroneamente si sostiene in Fogli rossi. Nell'esprimersi tecnico, temporale, tra i due indici di incremento, in questo caso indipendentemente dalla loro intensità, c'è un prima e un poi e non, come si dice in Fogli rossi un elemento "fondante" ed uno "derivato". L'antiarticolista, maneggiando il solito strumento della logica formale non si sofferma nemmeno su questo aspetto tecnico. Se il punto di partenza è l'aumento della produttività sociale del lavoro, e se questa ha come "conseguenza" l'innalzamento di c/v e di p/v, questo innalza mento deve essere necessariamente "contemporaneo", quindi, sarebbe del tutto "arbitrario" considerare che tra i due fattori ci sia un prima e un poi tecnico e temporale che ne scandisca la successione. Ancora una volta, pur prendendo le mosse dell'analisi di Marx che identifica nell'aumento della produttività sociale del lavoro il motore primo dell'evolversi contraddittorio del capitalismo, l'innalzamento di p/v è dialetticamente premessa e obiettivo dell'innalzamento di c/v. E premessa nel momento in cui il capitale si attrezza su più elevati livelli tecnologici per aumentare il saggio di p/v quando, avvenuta la modificazione organica del capitale, l'incremento di p/v è tutto da realizzare. Nella realtà dell'evolversi del ciclo produttivo, nella prospettiva di aumentare il saggio del plusvalore, prima si ha che una quota più o meno rilevante di capitale si trasforma in mezzi di produzione a più alto contenuto tecnologico rispetto al ciclo produttivo precedente, poi, perché l'incremento di produttività possa effettivamente esprimersi, si ha che il capitale costante deve entrare in contatto con quello variabile, nel frattempo diminuito in assoluto o in termini relativi. E qui sta il nocciolo del problema. Una volta determinatasi la variazione tra c e v, l'incremento di p/v auspicato può realizzarsi durante o alla fine del ciclo produttivo, totalmente o solo parzialmente. L'obiettivo cioè può essere raggiunto o meno a seconda del verificarsi di una serie di fattori che accompagnano l'evolversi del ciclo produttivo stesso.

In primo luogo c'è da considerare l'andamento della lotta di classe. In fasi di alta tensione sociale, anche se esse si esprimono soltanto da un punto di vista sindacale, i progetti di ristrutturazione da parte del capitale possono trovare seri ostacoli da parte del mondo del lavoro. Il che finisce per rallentare il recupero di produttività che è alla base del processo di ristrutturazione. Non è un caso che prima di iniziare una qualsiasi riorganizzazione dell'apparato produttivo, il mondo del capitale si assicura che i sindacati siano in grado di coinvolgere appieno la classe operaia. Se così non fosse le cosiddette politiche dei sacrifici e l'espulsione di milioni di lavoratori dall'apparato produttivo, avverrebbero con più fatica e con costi "sociali" per il capitale che finirebbero per rallentare il processo di innalzamento del saggio del plusvalore.

Poi va verificato il grado di intensità del lavoro. Una cosa è progettare sulla carta l'incremento della produttività, i ritmi di lavoro, l'ammortizzazione delle pause ecc., altro è la loro realizzazione che deve fare i conti con l'intensità con la quale risponde la classe operaia.

Un altro fatto è rappresentato dalla capacità manageriale dei gestori del capitale. Il che banalmente significa che la medesima quota di capitale investito in beni strumentali a più alto contenuto tecnologico rispetto a quelli del ciclo produttivo precedente e la medesima modificazione del rapporto organico del capitale possono fornire un diverso innalzamento del saggio del plusvalore a prescindere dall'andamento della lotta di classe e dall'intensità del lavoro. I mezzi possono essere diversi e vanno dalla capacità di coinvolgere la classe operaia all'interno dei meccanismi della politica dei sacrifici, al razionale sfruttamento della potenzialità dei beni strumentali e dei vari fattori della produzione.

Qualsiasi imprenditore capitalista o qualsiasi settore del capitale produttivo, nel tentativo di aumentare il saggio del p/v, prima deve investire in beni strumentali ed in tecnologia andando a modificare (innalzare) il rapporto tra c e v, poi, a ciclo produttivo completato, potrà verificare se l'innalzamento di p/v è stato congruo a quello di c/v o meno.

Nell'esprimersi concreto del modo di manifestarsi dei rapporti di produzione capitalistici la "contemporaneità" dell'innalzamento di c/v e di p/v non solo è una astrazione inventata di sana pianta ma un pesante errore metodologico. Se le cose stessero nei termini proposti dall'antiarticolista si avrebbe l'assurda situazione per la quale la realizzazione dell'aumento di p/v si realizzerebbe nel momento stesso in cui viene progettato, ovvero all'atto dell'innalzamento di c/v, in virtù di una impossibile quanto idealistica sintesi meccanicistica e atecnica. O peggio ancora, se dovessimo dare credito a un'altra formulazione secondo la quale il vero meccanismo che lega i fattori di incremento di c/v e p/v sarebbe quello per cui "un determinato aumento percentuale del saggio del plusvalore, per essere neutralizzato, abbisogna di un aumento percentualmente maggiore della composizione organica", si arriverebbe all'assurda conclusione di rovesciare completamente i termini reali del comportamento del capitale. Se usassimo anche noi i tanto amati metodi della logica formale, arriveremmo alla "straordinaria" conclusione che prima, per non si sa quale mistero della provvidenza, si determinerebbe un incremento del saggio del plusvalore e poi si andrebbe a modificare, per un fenomeno di autoassestamento, il rapporto organico del capitale.

In entrambi i casi, il primo impossibile e il secondo assurdo, si rimane ben al di fuori del corretto approccio sia alle leggi generali che informano il fenomeno della caduta del saggio del profitto che della osservazione concreta di come il capitalismo quotidianamente si comporta.

Il fatto è che le astrazioni e le generalizzazioni, normali mezzi della indagine speculativa, vanno poi rapportati alla realtà concreta e al particolare e viceversa, altrimenti è vero tutto e il contrario di tutto, basta che lo si sorregga con gli pseudo concetti della connessione logico formale. Né vale citare a sproposito Marx sui presunti punti di partenza perché, se è vero che l'aumento della produttività sociale del lavoro ha come conseguenza (meglio sarebbe dire presuppone) un innalzamento di c/v e p/v, come è vero che l'incremento di p/v determina la modificazione di c/v e di conseguenza la caduta del saggio del profitto, è anche vero che il concatenamento di tutti questi fattori si esprime solo a condizione, che primo, si modifichi il rapporto organico del capitale e, secondo, che l'incremento percentuale di c/v sia maggiore dell'incremento percentuale di p/v; rimane poi da stabilire di quanto l'intensità dell'incremento percentuale di c/v debba essere superiore all'incremento percentuale di p/v perché si possa calcolare la velocità di caduta del saggio del profitto. In caso contrario l'aumento della produttività sociale del lavoro, o più semplicemente un cospicuo aumento del saggio del plusvalore con un c/v = costante o di poco superiore, non sortirebbero l'effetto della caduta del saggio del profitto, bensì agirebbero come causa antagonistica ovvero come controtendenza.

Quindi, per concludere, l'incremento di c/v avviene prima, all'inizio del nuovo ciclo produttivo, poi si realizza l'incremento di p/v durante lo svolgersi del ciclo produttivo stesso con una variabilità inversamente proporzionale all'intensità della lotta di classe e alla intensità del lavoro effettivamente erogato. Se di simultaneità si può e si deve parlare, questa riguarda i due fattori organici del capitale. Se c aumenta più rapidamente di v o se all'aumento di c corrisponde addirittura una diminuzione di v, il muoversi verso l'alto dell'indice di incremento del primo fattore non può che determinare contemporaneamente un incremento minore o una diminuzione del secondo. L'uno è condizione logico-temporale dell'altro. Nel momento in cui avviene l'aumento della composizione organica del capitale, una maggiore quota di capitale costante si contrappone al capitale variabile così come una diminuzione relativa o assoluta di capitale variabile presuppone un aumento del capitale costante e ciò deve avvenire simultaneamente. Ben altra cosa è il rapporto temporale tra l'innalzamento di c/v e p/v. Qui assolutamente non vale il principio della contemporaneità bensì quello della successione.

Infortunio 3

Procedendo, nel medesimo articolo di Prometeo si arriva a identificare, nel breve periodo, l'incremento di p/v come controtendenza alla caduta del saggio del profitto. Il che, oltre ad avere una valenza in sé come fattore dialetticamente contraddittorio, viene assunto quale causa principale dell'annullamento e/o della diminuzione della velocità di caduta del saggio del profitto. Il che, ovviamente, come viene ribadito per tutto l'articolo, pur essendo la molla che determina nel lungo periodo l'esprimersi della legge, nel breve e in casi particolari assume la funzione opposta, quella cioè di rallentare o di annullare la caduta del saggio del profitto.

Lo stesso Marx, una volta indagati i meccanismi che determinano l'esprimersi della legge "in quanto tale", insiste sulla difficoltà degli economisti borghesi...

di spiegare le cause per cui questa diminuzione non è stata più forte o più rapida. Devono qui giocare delle influenze antagonistiche che contrastano o neutralizzano l'azione della legge generale, dandole il carattere di una semplice tendenza, motivo questo per cui la caduta generale del saggio del profitto è stata da noi chiamata una caduta tendenziale. (7)

Va qui innanzitutto chiarito come Marx non si ponga il problema di verificare soltanto il comportamento del piccolo e singolo capitale, per sua natura ininfluente o quasi a svolgere il ruolo di controtendenza antagonistica, ma il ruolo e la funzione di larghe componenti del capitale complessivo o di consistenti singoli capitali che, sempre nel breve periodo e in situazioni eccezionali, riescono, attraverso l'innalzamento di p/v, ad agire in termini di controtendenza all'esprimersi generale della legge. In prima fila Marx pone l'aumento del grado di sfruttamento del lavoro che in chiave macro economica altro non significa che l'innalzamento del plusvalore assoluto e del saggio di p/v. Null'altro, infatti, avrebbe il potere di elevare consistentemente e in termini sufficientemente generali il tasso di sfruttamento del lavoro, non certo il singolo sforzo del piccolo capitale alla perenne ricerca del "suo" sovraprofitto relativo. Ecco perché nell'articolo di Prometeo si è insistito sul fatto che, perché la legge si possa esprimere, è necessario che l'aumento percentuale di c/v sia superiore a quello di p/v; così è altrettanto necessario che, ferme restando tutte le altre condizioni, la legge antagonistica della controtendenza possa funzionare solo a condizione che l'incremento percentuale di p/v sia uguale o superiore a c/v. In termini generali occorre, perché la causa antagonistica sia effettivamente tale, che l'aumento del grado di sfruttamento del lavoro, in consistenti settori del capitale o in singoli capitali ma ad altissima concentrazione, si trasformi in un congruo aumento di p/v o in un aumento di p/v relativamente più intenso della modificazione del rapporto organico del capitale.

Ancora una volta è nel rapporto tra c/v e p/v, e più specificatamente nella funzione di p/v, che l'antiarticolista centra le sue critiche. Si legge infatti in Fogli rossi:

Affrontata nel merito la critica alla legge in questione, sarà anche più chiara perché Marx, parlando di cause antagonistiche al funzionamento della legge, non parla dell'aumento del saggio del plusvalore a seguito dell'incremento di plusvalore relativo: infatti, giacché l'incremento di p/v è un elemento fondamentale, esso non può essere trattato in sede di "cause antagonistiche", ma dev'esserlo proprio in sede di enunciazione e dimostrazione della legge. Infatti, ciò da cui Marx prende le mosse è l'aumento della produttività del lavoro sociale: questo fatto ha, contemporaneamente, due effetti, alza il rapporto c/v e alza il rapporto p/v. Quindi sarebbe arbitrario considerare uno dei due fenomeni come essenziale e fondante la legge e un altro come "causa antagonistica".

In più l'antiarticolista ci ammonisce su presunte confusioni tra il profitto relativo e il pluslavoro relativo, tra pluslavoro relativo e assoluto. Ma andiamo con ordine. In primis, non si sostiene da nessuna parte che l'incremento di c/v è unica causa della caduta del saggio del profitto e che p/v è causa antagonistica. Per tutto l'articolo si è cercato di mostrare come i due rapporti siano tra loro dialetticamente legati, andando a distinguere un prima tecnico-temporale di c/v da un poi dell'innalzamento di p/v; così come si è insistito sull'innalzamento di c/v quale causa meccanica "sine qua non" in polemica con chi sostiene che la caduta del saggio del profitto abbia come causa prima l'aumento del lavoro improduttivo. In ultima analisi, o sulla base dell'incremento della produttività sociale del lavoro si determina un aumento del rapporto organico del capitale, oppure la legge non si esprime. Poi si è passati a considerare il problema opposto, quando e come la legge in questione viene a essere rallentata nel suo esprimersi, e ancora una volta si sono presi in esame i reciproci rapporti tra c/v e p/v.

A questo punto il problema è quello di sapere quando e quale p/v può agire da controtendenza. In breve. Assunto come plusvalore relativo la creazione di un maggiore pluslavoro mediante la riduzione del lavoro necessario, il che di solito incrementa c/v, e assunto come plusvalore assoluto la creazione di pluslavoro con l'allungamento della giornata lavorativa, il che non produce significativi cambiamenti in c/v, si ha che: nel primo caso, normalmente, l'incremento di p/v relativo è causa efficiente della caduta del saggio del profitto, mentre nel secondo, lasciando inalterato c/v (e rieccola la "conditio sine qua non"), l'incremento di p/v assoluto non può che assumere la funzione di forza antagonistica. Al riguardo Marx è esplicito; uno agisce da causa antagonista, l'altro da causa determinante la legge in questione ma con alcune eccellenti eccezioni. La prima è quella in cui l'incremento del saggio del plusvalore relativo non va a modificare il rapporto organico del capitale, nel caso cioè di una migliore organizzazione dei fattori produttivi. La seconda è quella in cui, pur innalzandosi entrambi i rapporti (c/v e p/v), ciò avviene in maniera contrastante sulla base di indici di intensità differenti.

Abbiamo dunque, fuori e non in antitesi alla formulazione generale, che l'aumento della produttività sociale del lavoro che si esprime con l'incremento del plusvalore relativo, in genere, è fattore agente della caduta del saggio del profitto mentre è controtendenza quando si esprime come plusvalore assoluto, ma a determinate condizioni, lo può essere con lo stesso plusvalore relativo.

Un esempio concreto di "promiscuità" di p/v è fornito dalla realtà giapponese. La stupefacente alta produttività del lavoro sociale in Giappone, che riguarda i settori trainanti dell'economia, risiede nella ottimizzazione di questi tre fattori.

  1. Un incremento del pluslavoro assoluto per mezzo dell'allungamento della giornata lavorativa. I proletari giapponesi da più di un trentennio lavorano, sindacati compiacenti, otto/dieci ore al giorno; inoltre le festività, compresi i sabati e le domeniche, sono state quasi completamente soppresse (se ne salvano un paio al mese) e le ferie non superano mediamente la settimana all'anno.
  2. Un incremento del pluslavoro relativo attraverso il miglioramento dei metodi di lavoro e un più razionale sfruttamento dei fattori produttivi. In questo i capitalisti giapponesi sono maestri da sempre; la fabbrica-caserma è un esempio di “isola produttiva” altamente invidiata dal capitalismo occidentale.
  3. Il capitalismo giapponese è riuscito a creare, per periodi limitati ma nei settori chiave dell'economia (metallurgia, metalmeccanica, chimica e componentistica), un elevatissimo incremento del plusvalore relativo rispetto a un meno elevato incremento del rapporto organico del capitale. Il che non significa che in Giappone non si sia espressa in questi ultimi decenni la caduta del saggio del profitto; significa soltanto che, grazie alla combinazione dei tre elementi citati, è stata rallentata la velocità di caduta. Il che mostra soprattutto nell'economia capitalistica moderna in cui la concorrenza si esprime prevalentemente a colpi di tecnologia avanzatissima, che un uguale innalzamento di c/v può essere determinato da diversi incrementi di p/v (promiscuo) e che un medesimo innalzamento della produttività sociale del lavoro può determinare diverse modificazioni nel rapporto organico del capitale.

Va inoltre ribadito che per controtendenza non si identifica soltanto il meccanismo per cui il saggio del profitto invece di diminuire aumenta, ma anche quei meccanismi che impongono alla legge di esprimersi con una intensità inferiore al ciclo produttivo precedente.

Ecco perché un siffatto saggio del plusvalore può agire da controtendenza; rovesciando i termini del problema, insistiamo nel dire che:

perché la legge possa esprimersi occorre che l'incremento di c sia percentualmente superiore all'incremento di v e che l'aumento del rapporto organico del capitale sia percentualmente superiore all'incremento del saggio del plusvalore.

Inoltre, analizzando operativamente il ruolo delle controtendenze, perché di questo si sta trattando, ripetiamo che:

il venir meno della più importante delle controtendenze dà via libera alla causa prima della legge (conditio sine qua non) che è la modificazione del rapporto organico del capitale.

Scandalizzato, l'antiarticolista si chiede:

Come si fa a dire che, venendo meno l'aumento di produttività, si dà via libera all'innalzamento di c/v, quando quest'ultimo non è che la traduzione, in chiave capitalistica, dell'incremento di produttività?

Dato che si scende nelle pieghe del fenomeno e che si utilizzano meccanicamente i concetti e le definizioni, ancora una volta le cose non stanno nei termini espressi. Se all'interno dell'aumento del saggio del plusvalore, che per comodità di discorso continuiamo a chiamare "promiscuo", c'è una componente di plusvalore relativo, ciò sta ad indicare che l'innalzamento di c/v è già avvenuto anche se sopravanzato percentualmente e per intensità da p/v. Nel momento in cui, perché vengono meno o si riducono le condizioni favorevoli relative al plusvalore assoluto, perché nuovi capitali entrano nel segmento di mercato in questione abbattendo i prezzi e azzerando il vantaggio tecnologico, il ruolo di p/v si trasforma nel suo contrario, esso da causa antagonistica riprende a essere quello che per sua natura è cioè fattore agente della caduta del saggio del profitto.

Che il tutto avvenga (ruolo di controtendenza) solo in casi eccezionali e per periodi di tempo relativamente brevi, non inficia la possibilità che componenti di plusvalore relativo possano dialetticamente operare come controtendenza nel breve periodo e come motore propulsore della caduta del saggio del profitto nel lungo periodo. Quindi, superata la fase eccezionale e ristabilito il rapporto fisiologico tra gli incrementi di c/v e p/v, la caduta del saggio del profitto riprende il suo corso. Anche in questo caso l'antiarticolista, coerentemente con la sua meccanicistica interpretazione, lancia il suo anatema, ammonendoci di fare confusione tra sovraprofitto relativo e incremento di plusvalore relativo, ovvero di assumere come comportamento del capitale complessivo quello del piccolo e singolo capitale, cadendo così nella trappola di attribuire all'aumento di p/v relativo gli stessi meccanismi di formazione che invece sono tipici soltanto del sovraprofitto relativo. Si legge infatti in Fogli rossi:

Dunque non si distingue fra accaparramento di sovraprofitto relativo (che è un metodo del singolo capitale per aumentare il suo saggio del profitto, anche se pro rata, viene aumentando transitoriamente il saggio generale) e incremento di plusvalore relativo, che aumenta permanentemente il saggio generale del plusvalore e quindi, paribus ceteris, quello del profitto.

Nella foga della polemica, peraltro inutile e strumentale, si partorisce una frase che invece di fare chiarezza crea confusione, questa volta reale e non presunta. Distinguendo tra sovraprofitto relativo e saggio del plusvalore l'antiarticolista si dimentica di come lo stesso plusvalore sia alla base della formazione del sovraprofitto. Sottacendo questo aspetto si finisce per confondere una componente del fenomeno con il fenomeno stesso. Nei fatti il singolo e piccolo capitale può ottenere un sovraprofitto solo a condizione di elevare "tecnologicamente" il suo plusvalore relativo. Quindi, nel suo piccolo, il singolo capitale aumenta permanentemente p/v ma solo temporaneamente il suo saggio del profitto, e "pro rata" il saggio del profitto generale perché la concorrenza, in tempi brevissimi, lo "generalizza e lo sottopone alla legge comune". Mentre, si prosegue, l'incremento del plusvalore re lativo (come se quello che operava nel caso precedente fosse lo spirito santo e, poi, l'incremento del plusvalore di chi? Manca il referente: il piccolo capitale, quota parte del capitale complessivo o lo stesso capitale complessivo?), "aumenta permanentemente il saggio generale del plusvalore quindi paribus ceteris, quello del profitto", dimenticandosi, in contraddizione con quanto detto nella pagina precedente con tanto di citazione di Marx, che in questo caso generalmente il saggio del profitto, ben lungi dall'aumentare, imperiosamente diminuisce. Ma andiamo con ordine.

  1. Rimanendo nell'ambito microeconomico del singolo capitale, il sovraprofitto non si esaurisce nel meccanismo di vendita delle merci al di sopra del loro valore. Avendo al suo interno una componente essenziale come l'incremento del plusvalore relativo, questo, di solito, va a modificare il rapporto organico del capitale, ma la conseguente caduta del saggio del profitto è temporaneamente compensata proprio dalla vendita delle merci a un prezzo superiore al loro valore. La situazione rimane inalterata sino a quando altri capitali si metteranno nelle stesse condizioni tecnologiche.
  2. Ne discende, se questo era il problema, che il sovraprofitto è comunque una forma di controtendenza alla caduta del saggio del profitto anche se relativa al singolo capitale e anche se temporaneamente. D'altra parte nessuna controtendenza può avere caratteri di grande intensità e di durata nel tempo. In più, se l'incremento di produttività è per intensità superiore alla modificazione del rapporto organico che mette in atto, come già espresso "non solo possono aumentare il plusvalore e la massa dei profitti, ma anche il saggio del plusvalore e il saggio del profitto".
  3. Se questo comportamento, eccezionale e di relativa durata nel tempo, non è tipico soltanto del piccolo e singolo capitale (la fabbrichetta del signor Brambilla) ma di settori importanti del capitale, allora esso finisce per avere un riflesso significativo su tutto il capitale complessivo. Il che non significa attribuire al capitale complessivo modalità e volontà di movimento come se fosse un singolo capitale, come ancora una volta strumentalmente ci si attribuisce, ma significa individuare nel comportamento di più singoli capitali di grosse proporzioni la possibilità di condizionare il modo di essere del capitale complessivo.

Nel capitalismo moderno caratterizzato dalle grandi concentrazioni produttive e dalle altrettanto colossali centralizzazioni di capitale finanziario, sia nelle versioni pubbliche che private, tanto che, come si ricordava all'inizio dell'articolo, sul mercato internazionale il 5% delle concentrazioni produttive detengono 80% del mercato commerciale, sono i grandi mono-oligopoli che dettano i ritmi di accumulazione. Sia su scala internazionale che all'interno degli steccati nazionali sono i grandi capitali, le grandi concentrazioni produttive, che interpretano le fasi di ristrutturazione e le "rivoluzioni" tecnologiche. Loro, non certamente la SpA del solito signor Brambilla, rincorrono con maggiori mezzi ed efficacia tecnologica l'aumento della produttività sociale del lavoro. Sono questi colossi mono-oligopolistici che, nella affannosa ricerca dell'innalzamento di p/v, creano le condizioni della caduta del saggio del profitto; così come, in eccezionale controtedenza, essi possono temporalmente innescare i meccanismi della realizzazione di sovraprofitti e di incrementi di p/v che inevitabilmente pesano "pro rata" (ma che rata!) sull'esprimersi del capitale complessivo, sia in termini di caduta del saggio del profitto, della sua velocità di caduta che sulle forme di controtendenza.

Concludendo, per non dilatare oltre misura gli argomenti, pur concordando che la questione relativa al monopolio, alla determinazione dei prezzi in regime di oligo-monopolio e alla sua funzione di possibile controtendenza alla caduta del saggio del profitto debba essere oggetto di una trattazione a parte, non concordiamo nel considerarla alla stregua di un problema comportamentale relativo al singolo capitale e quindi, pressoché ininfluente riguardo alle manifestazioni del capitale complessivo. Le organizzazioni di mercato che si è dato il capitalismo contemporaneo, proprio in virtù dell'evolversi contraddittorio dei rapporti di produzione e di centralizzazione del capitale finanziario hanno fatto sì che il comportamento di singoli ma concentratissimi capitali e il loro grado di influenza nei confronti del capitale complessivo, non possa essere considerato del tutto simile al muoversi di un piccolo capitale in regime di "libera concorrenza".

Fabio Damen

(3) K. Marx, Il Capitale, III libro, I tomo, pag. 263, Ed. Riuniti.

(4) K. Marx, op. cit., pag. 267.

(5) Ibidem, pag. 263.

(6) Ibidem, pag. 320.

(7) Ibidem, pag. 285.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.