Il delitto e il processo di San Polo

Dopo l'assassinio di Mario Acquaviva e di Fausto Atti, e dopo l'episodio di Schio, la macchinazione politica e poliziesca messa in atto dalla controrivoluzione si scatena - nel settembre del 1946 - contro i nostri compagni di San Polo.

Solidarietà proletaria per gli arrestati di S. Polo

Da Battaglia comunista n. 26 - 5 ottobre 1946

Gli urli di tutta la canea del giornalismo nostrano si sono spenti: ma cinque nostri compagni giacciono nelle patrie galere dell'apostolica repubblica italiana.

In pochi giorni la borghesia ci ha fatto rivivere i tempi del mazziere Crispi, i bei giorni dell'era mussoliniana in cui i "complotti" sbocciavano come funghi al sole di settembre: ha voluto dimostrare a chi non l'aveva ancora capito che nessun "progressismo democratico" poteva modificare neppur nella forma le leggi e i metodi polizieschi ai quali è affidata la difesa degli interessi della società capitalistica.

In realtà, l'episodio dell'uccisione dell'agrario ed ex-fascista marchese Della Robbia (ai tempi vice-federale di Firenze e noto come spietato feudatario delle campagne circostanti la città) a opera di un giovane partigiano di recente iscrittosi al nostro Partito, s'inquadra come tanti altri in una situazione la cui brutale realtà invano si tenta artificiosamente di nascondere dietro l'inganno e la menzogna. Esso è il prodotto dell'atmosfera del dopoguerra imperialista, di una crisi politica, economica e sociale, che pesa ogni giorno di più sulle spalle dei salariati e dei nullatenenti; il portato di una situazione in cui, mentre gli operai che hanno sacrificato tutta la loro vita nella lotta contro la schiavitù borghese del fascismo crepano di fame (l'"assassino" di San Polo divideva con suo padre un unico paio di scarpe...), la classe dominante, che è stata ieri fascista e monarchica, poi democratica e repubblicana, e nel corso di questi suoi travestimenti si è favolosamente arricchita col sangue e col sudore di milioni di lavoratori e disoccupati, continua ad accumulare e godere con sfacciata impudenza un malguadagnato profitto. Questa classe ha sfruttato il nobile sentimento di rivolta del proletariato per tradurlo in guerra partigiana non a favore della classe lavoratrice, ma a profitto di una sedicente liberazione nazionale che ha dato i frutti che tutti sanno. Ha trasformato questo spirito di lotta in un falso e ottuso patriottismo dietro il quale non si nascondevano se non le casseforti dei padroni. Ha fatto dell'antifascismo proletario e classista un ignobile mascherata conclusasi con l'amnistia, col ritorno dalle patrie galere di tutta la schiuma nero-camiciata.

E in questo clima di delusione maturata nelle coscienze di quanti avevano creduto nella demagogia antifascista del capitalismo, che due colpi sono partiti a S. Polo contro un ex-gerarca dalla rivoltella di un diciannovenne partigiano, di un giovanissimo figlio della miseria e dell'oppressione di classe: ed ecco tutta la zavorra reazionaria gridare al complotto, inscenare la più indegna e stupida gazzarra contro il nostro Partito. Tutte le forze della reazione capitalistica, dal prete e dal grasso borghese fino ai gazzettieri del cosiddetto Partito comunista italiano, si scagliano con una specie di furore isterico in una campagna di diffamazione e di calunnie che ricorda la preparazione dei pogrom nella Russia zarista o delle spedizioni punitive negli anni "gloriosi" del fascismo nascente. La "Patria", organo locale degli agrari e degli industriali, dirige il ballo versando tutto il livore della classe conservatrice nell'architettonica costruzione di tenebrosi dettagli terroristici e cospirativi, materiale da romanzo giallo. A Milano, il monarchico "Mattino d'Italia" attribuisce ai nostri compagni un piano organico di "delitti a catena in modo di mandare al Creatore tutti gli indesiderabili... appartenenti al ceto abbiente, piccoli e medi agricoltori (!) ". e ci definisce (che gioia, per l'Unità!) "movimento di delinquenti che si annidano sotto la veste di cosiddetti leniniani". E il "Meridiano d'Italia" per poco non ci attribuisce i delitti del Reggiano. Questura repubblicana e arma dei carabinieri fanno il resto: quattro compagni vengono trattenuti alle Murate sotto l'accusa di complotto con l'uccisore, e i compagni Stefanini e Falorni sono ricercati come mandanti dell'assassinio. Che bazza, per i forcaioli dell'ordine costituito!

Il pallone si sta ora lentamente sgonfiando. Il compagno Filippi ha dichiarato fermamente di aver agito da solo: i fatti lo confermano, e lo conferma soprattutto la nostra linea politica che, rigidamente marxista, esclude il ricorso all'azione individuale e alla violenza singola, ma persegue l'unificazione dei movimenti di massa del proletariato per la conquista rivoluzionaria del potere. Si smonta il complotto perché le famose "riunioni di S. Polo" erano, come tutte le riunioni di Partito, riunioni politiche aperte a tutti e destinate alla discussione e chiarificazione della nostra ideologia rivoluzionaria. Si smontano, per bocca di quanti li hanno conosciuti, le montature scandalistiche sulla figura dei due pretesi e del tutto estranei "istigatori".

La nostra Federazione e i proletari in buona fede hanno capito, anche se non lo giustificano politicamente, il gesto individuale dell'uccisore.

Ma, intanto, quattro dei nostri sono ancora detenuti alle Murate. Lo scandalo deve finire: tutta la massa operaia e gli uomini di sana coscienza rivoluzionaria lo affermano con noi. L'ondata di simpatia e di solidarietà di tutta la massa operaia di Firenze sale verso i nostri compagni. La reazione capitalistica ne prenda atto.

La Federazione Fiorentina del Partito Comunista Internazionalista - 26 settembre 1946

Ai compagni della Federazione Fiorentina, impegnati nella difesa dei nostri compagni e del Partito stesso, vada la solidarietà del C.C. che condivide in pieno l'impostazione da essa data alla questione nel manifestino lanciato in merito ai fatti di San Polo e nell'articolo che abbiamo sopra riprodotto.

La Sezione di Cosenza ci ha telefonato la sua solidarietà e la sua protesta contro l'arbitraria detenzione dei compagni.

Sono state aperte sottoscrizioni pro vittime politiche.

Manifesto

Il manifestino che segue fu diffuso dalla Federazione Fiorentina (Borgo San Frediano, n. 14) del Partito Comunista Internazionalista

Operai,

In seguito all'uccisione del marchese Della Robbia, avvenuta nei pressi di San Polo, la polizia ha condotto le indagini nel vasto campo delle inimicizie, che l'attività dell'ucciso, feudatario e fascista, aveva creato intorno alla sua persona.

Tra le notizie caotiche, contraddittorie e tendenziose apparse sulla stampa cittadina si è accennato fra l'altro all'esistenza di una supposta associazione a delinquere che sarebbe stata capeggiata da una certa Maria Antonietta Falorni.

Nell'intento di stabilire la verità dei fatti, affermiamo:

Maria Antonietta Falorni, residente a Milano da più di un anno, è una delle militanti del nostro Partito, di provata e integra moralità politica, appartenente alla fitta schiera delle vittime della persecuzione fascista;

gli internazionalisti arrestati a San Polo fanno parte della nostra organizzazione di Partito, universalmente riconosciuti come onesti e semplici lavoratori, che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia;

le riunioni "segrete" su cui si è sbizzarrita in questi giorni la stampa reazionaria, non erano al contrario che riunioni aperte a tutti di propaganda politica, tenute nella Casa del Popolo di San Polo;

le posizioni programmatiche e dottrinarie di un partito marxista vietano di servirsi del metodo terrorista e dell'azione individuale come sistema di lotta politica.

Il nostro programma tende allo sviluppo e all'unificazione dei movimenti di massa per il raggiungimento di quelle rivendicazioni politiche che devono portare il proletariato alla conquista rivoluzionaria del potere. Il nostro programma è propagandato alla luce del sole e non ha mai avuto nulla di cospirativo.

Noi però comprendiamo il vero significato sociale e politico dell'esecuzione di San Polo: è l'atto disperato di un giovane che ha creduto di vendicare in tal modo tutte le sofferenze, le privazioni e le umiliazioni subite nel ventennio fascista dagli operai della sua terra; è la protesta individuale e violenta contro la politica falsa e controrivoluzionaria dei partiti della democrazia saliti al governo della repubblica, e che ora fanno ammanettare quei combattenti che hanno avuto l'ingenuità di prendere sul serio la loro istigazione alla violenza antifascista. Chi ha armato la mano del compagno di San Polo è la fame, è la disoccupazione, è la politica di tradimento di quei partiti che avevano fatto credere a questi giovani appassionati ed eroi che la loro liberazione, la liberazione della loro classe, consisteva nella liquidazione fisica dei fascisti e non delle ragioni sociali, economiche e politiche da cui storicamente si origina ogni forma di fascismo.

Sono proprio questi partiti che ora si servono del tragico episodio di San Polo per avvelenare l'opinione pubblica con una stupida campagna scandalistica e per tentare di montare un complotto contro il nostro Partito.

Ma i lavoratori non si lasciano certo impressionare da simili manovre; sanno come giudicare l'opera di questi tirapiedi del fascismo.

Firenze, settembre 1946 - La Federazione del Partito Comunista Internazionalista

Difendiamo i compagni di S. Polo!

Da Battaglia comunista, n. 25 - 22-29 ottobre 1947

Siamo a pochi giorni dal processo contro i nostri compagni di San Polo. È necessario che tutti noi vigiliamo coscienti sulla impostazione che a questo processo è stata data, e su quella che gli verrà data.

I fatti: un anno fa, un giovane operaio di San Polo, ex partigiano e da poco iscritto al nostro Partito, uccideva in un momento di esasperazione il marchese Della Robbia, uno dei più facinorosi fascisti della Toscana, uno di quei bravacci bastonatori, gerarchi e sfruttatori che dopo l'8 settembre 1943 si buttavano con ogni mezzo (economico) a rifarsi una verginità. Il marchese ci riuscì, e dopo la "liberazione" continuò a camminare imperterrito e protetto, sfruttando tranquillo e pacifico i suoi contadini, nuovamente intoccabile per virtù della sua ricchezza. E quel compagno che aveva creduto in buona fede di aver lottato per l'unica possibile "liberazione", la liberazione dal capitale, vide impersonate in quell'uomo l'ingiustizia e l'oppressione, si illuse di contribuire a risolvere problemi suoi e della sua classe con l'uccisione del Della Robbia. Subito dopo confessò di essere stato l'autore unico di quell'uccisione, ma la macchina oppressiva della società borghese non voleva perdere una buona occasione per "montare" la situazione. Altri quattro compagni, di nulla, assolutamente nulla responsabili, venivano arrestati e da un anno godono le delizie delle patrie galere.

Il marchese era morto ma la sua società si vendicava; si vendicava sotto forma di "giustizia"; teneva e tiene imprigionati da un anno quattro giovani lavoratori colpevoli di voler con la loro propaganda aprire gli occhi agli operai sfruttati dalla borghesia e ingannati da quei partiti comunista e socialista che di quella borghesia sono gli strumenti più efficaci.

Ma l'offensiva combinata della borghesia e del nazionalcomunismo doveva prendere in questi giorni un aspetto più clamoroso ancora: il processo era stato fissato per il 29 prossimo a Firenze, ma improvvisamente si viene a sapere che è stata richiesta la rimessione dalla Corte d'Assise di Firenze a quella di Lucca o Arezzo.

E i motivi eccoli qua:

  1. Lucca e Arezzo essendo le città dove più forte è la reazione agraria, la "giustizia" di quei luoghi è più facilmente addomesticabile secondo le buone e freschissime tradizioni del "ventennio" (non si dimentiche che queste sono le sedi prescelte per processi contro fascisti che escono molto frequentemente assolti).
  2. L'accusa più subdola rivolta ai nostri compagni viene dall'ambiente fiorentino nazionalcomunista che - deponendo pubblicamente a Firenze a favore del gerarca fascista Della Robbia e contro operai stimati come veri comunisti da chiunque - si sarebbe sputtanato; e il partito non permette questo perché gli operai non devono accorgersi che i loro più abili aguzzini sono proprio i funzionari del Pci.

Questi i fatti che noi non ci illudiamo di poter influenzare contrastando la camorra organizzata in combutta tra borghesi e nazionalcomunisti. Ma faremo però sentire in ogni istante il peso della nostra compattezza, della nostra azione rettilinea e intransigente; i proletari vedranno anche in questo episodio di che cosa è fatta la giustizia borghese e da che parte sono, quando si arriva ai fatti e si esce dalla demagogia bolsa delle lotte parlamentari e comiziaiole, i veri rivoluzionari e da che parte sono i "progressisti" della nuova democrazia. Lo dimostreranno quei nazionalcomunisti che già sono schierati a difesa della giustizia borghese, che hanno condannata ogni parola rivoluzionaria e che ora verranno nell'aula a testimoniare la "purezza" del marchese e della sua famiglia col dito teso nell'accusa dei proletari dietro le sbarre. Lo testimonieremo noi tutti con la nostra saldezza, col richiamare la borghesia e i suoi aguzzini a rispondere anche di questa malefatta.

Nessuno dimenticherà questo primo attacco: noi sapremo ben ricordare chi è contro il proletariato. Poiché l'eventuale spostamento della sede del processo metterebbe gli imputati in una situazione di ancor più manifesta inferiorità economica di fronte all'accusa, abbiamo deciso di affrettare e sviluppare ulteriormente la sottoscrizione Pro Vittime Politiche già in corso. Tutti al lavoro, compagni!

Il processo di San Polo rinviato all'Aquila

Da Battaglia comunista, n. 26 - 5 novembre 1947

Il processo di Firenze è diventato il processo di l'Aquila. Più lontano di così era difficile destinarlo: negli Abruzzi, il gerarca fascista, tristemente famoso a Firenze per le sue gesta, potrà più agevolmente essere presentato come un innocuo individuo; a tanti chilometri di distanza si potrà testimoniare sulla sua purezza e innocenza senza troppo arrossire e soprattutto senza eccessivo disagio o pericolo politico. Al contrario, l'accusato, che fu determinato a quel gesto proprio da quella suggestione partigiana che aveva indicato nei fascisti il pericolo da sopprimere a ogni costo, e che fu uno dei più coraggiosi e generosi partigiani, potrà essere indicato magari come un pericoloso delinquente.

Dal punto di vista economico non minori saranno gli inconvenienti: mentre la parte civile può disporre delle ricchezze degli agrari, spese a piene mani quando si trattava di sconfiggere e schiacciare quei proletari che non rinunziano a lottare, i nostri compagni non potranno disporre che della solidarietà dei miseri. La "maestà della giustizia" non ha molti riguardi verso i poveri: potranno andare a l'Aquila tutti i testimoni che avrebbero deposto a Firenze a favore dei nostri compagni? Potremo noi sostenere le spese della difesa che deve spostarsi in blocco fin laggiù?

Tutto dipenderà da ciò che ciascuno di noi, con sacrificio e tirando un buco di più alla cintola, riuscirà a dare.

Compagni, facciamo il più possibile: la nostra solidarietà e la nostra compattezza siano monito a chi intende troncare le giovani vite di proletari che hanno lottato e vogliono ancora lottare.

Il trasferimento del processo contro i compagni di San Polo è una nuova vittoria dei fascisti

Da Battaglia comunista, n. 27 - 5-12 novembre 1947

Non si può oggi inquadrare con esattezza il fatto di San Polo se non lo si analizza alla luce della situazione politica creatasi in Italia con la "guerra di liberazione".

Lo sganciamento della borghesia dal fascismo, maturatosi nel 1942 e tentato apertamente a cominciare dal 25 luglio 1943, non poteva essere seriamente operato che col parallelo allacciamento al proletariato nel momento in cui questo, libero dalla oppressione dello Stato fascista, si sarebbe scagliato contro le impalcature sociali e organizzative di questo Stato. Si trattava di una manovra che doveva portare al duplice risultato dell'annullamento dello spirito di classe del proletariato e del salvataggio di una borghesia che si svincolava disperatamente dall'abbraccio ventennale con lo Stato fascista, cioè dalla sua più bella, moderna ed efficace creazione, ma che ora minacciava di farla affondare con lui sotto i colpi mortali della sconfitta militare.

Per questa manovra, nella crisi violenta in cui la borghesia italiana era venuta a trovarsi, l'unica via da sfruttare era di dar sfogo all'istintivo impulso del proletariato di liberarsi dal suo giogo, deviandone l'azione armata verso il miraggio di una libertà che in realtà era solo la libertà della borghesia di poter risorgere.

Il significato politico concreto del fenomeno partigiano è stato appunto quello di scongiurare il possibile esplodere di un moto di classe attraverso l'iniziativa di una lotta armata di liberazione diretta apparentemente contro il fascismo e i tedeschi, ma sostanzialmente contro il proletariato, al fine di distoglierlo dalla lotta per l'abbattimento del potere borghese e di permettere contemporaneamente alla borghesia la dimostrazione - appunto attraverso la fase partigiana armata - non solo che essa era una cosa diversa dal fascismo, ma che il fascismo era stato il suo primo nemico.

Il fatto poi che la borghesia sia riuscita a operare con successo nelle coscienze del proletariato un così completo rovesciamento di posizioni, questo lo si deve alla funzione svolta dai partiti socialisti e comunisti i quali appunto sono stati i promotori, su ordine dei loro padroni borghesi (non importa di qual nazione, giacché, quando si tratta di sventare la minaccia proletaria, la borghesia internazionale diviene perfettamente solidale), della crociata per la liberazione del suolo patrio dai tedeschi e fascisti, dopo la cui cacciata il proletariato avrebbe potuto vivere in un regno di pace e di progresso in idilliaco amore con una borghesia che lungi dall'essere caratterizzata dalla volontà di uno sfruttamento sempre più intenso, si sarebbe d'ora in poi nutrita di libertà e di pace.

In questa atmosfera di guerra santa, borghesi aperti e nazionalcomunisti gareggiarono nell'armare la mano e lo spirito dei proletari contro i fascisti in camicia nera e fecero a chi strillava di più, nell'affanno di dimostrare che solo quelli erano i responsabili, che quelli andavano soppressi perché erano i traditori di una pace che tutti gli altri borghesi - poveri agnelli - non si sarebbero mai sognati di turbare.

Chi ha vissuto quelle giornate, e specialmente in certe zone, sa a qual punto di annebbiamento dei cervelli si fosse giunti, sa quale fosse la cieca fede di un proletariato che ormai non aveva più dubbi: non c'era che da sopprimere i fascisti in camicia nera per liberarsi per sempre dall'oppressione borghese!

In questa esaltazione, in questo ignorato formidabile falso storico, i proletari si trovarono a un certo momento di fronte alla "liberazione": l'esaltazione durò ancora per poco, quel tanto che i borghesi stimarono opportuno, prima di riprendere a giocare in pieno il loro ruolo d'oppressori chiarendo finalmente che i veri "liberati" erano essi: riusciti brillantemente, per l'aiuto degli stessi proletari, a liberarsi della veste fascista che i vincitori della guerra avevano deciso, all'ultimo minuto, di indicare come il motivo principale della loro lotta, essi rimontavano gradatamente la china dell'oppressione cercando di evitare urti violenti, instaurando grado a grado l'ordine a cui avevano volontariamente rinunciato perché nel disordine da loro creato i proletari aprissero il varco alla loro ripresa, alla loro riaffermazione di classe.

La storia dell'uccisione del marchese Della Robbia è tutta qui: è nella fiducia data alle idee della "liberazione", e nella istintiva reazione alla corruzione accaompagnatasi a questo trucco borghese; è nella disillusione di aver rischiato per anni la pelle per ritrovare tutto esattamente come prima.

Se il giovane Filippi avesse ubbidito prima all'ordine di uccidere, quando ciò serviva ancora allo sporco gioco del salvataggio borghese, egli sarebbe stato salutato come "eroe della liberazione"; ha avuto il torto di raccogliere l'invito troppo tardi, quando ormai la borghesia non aveva più tornaconto a sacrificare teste di suoi componenti, anche se moralmente sudici e bastonatori fascisti; quando ormai i soldi pagati per la corruzione dovevano costituire un valido contratto: e il Filippi è stato imprigionato come un delinquente comune.

I particolari di questa vicenda sarebbero molto interessanti a narrare, ma sono troppo lunghi. Merita tuttavia ricordare che in essa si ripresentano tutti i motivi costitutivi del gran gioco della borghesia in generale, arricchiti per di più dai particolari fetidi della convivenza fra borghesia e pseudo comunisti, cementata dalla corruzione spicciola di singoli individui.

Una convivenza le cui origini politiche risalgono lontano e che in questo caso particolare si è realizzata in tutte le diverse fasi della vicenda, dall'arresto del Filippi a quello di altri quattro compagni, dalla campagna di tutta la stampa quotidiana alla montatura politica che si è tentato dare a danno del nostro Partito, dall'atteggiamento della parte civile e dei testi che essa ha addotto alla rimessione del processo da Firenze all'Aquila.

Oggi siamo alla vigilia di questo processo la cui istruzione dura da oltre un anno, e in vista del quale si sono tenuti in carcere cinque compagni nonostante che di essi il solo Filippi, per sua espressa e ripetuta confessione, sia l'unico responsabile. Lo scopo politico è evidente: non bisognava lasciar perdere una così buona occasione per tentare di colpire il proletariato nella sua unica espressione rivoluzionaria, rappresentata dal nostro Partito; non importa se per questo bisogna tenere in carcere uomini di nulla colpevoli; non importa se l'uso di mezzi individuali di lotta è stato sempre respinto dai veri comunisti; non importa soprattutto se il gesto del giovane Filippi ha tratto origine proprio dalla politica perseguita dalla borghesia per il suo salvataggio.

La borghesia non retrocede dinanzi ai crimini della peggior specie, ma essi vengono compiuti in nome dell'ordine e della giustizia. Il Filippi ha ucciso un uomo e lo si deve condannare, vero, signori giudici? La vostra lungimiranza difficilmente andrà più lontano di così: se per caso voleste andare oltre sulla via della verità, sareste del resto voi stessi sconfessati. La Giustizia è sovrana: "dura lex sed lex", e altre balordaggini del genere, tutto farà brodo per le vostre illuminate tesi. Certo non direte che, se il marchese fosse stato ucciso quando, solo un anno prima, ciò faceva comodo alla vostra società, la cosa sarebbe stata niente affatto condannabile.

Non direte che, come dimostra l'accanimento contro i quattro pretesi complici e contro i pretesi mandanti politici del delitto, si vuol colpire nel Filippi non il partigiano, ma il rivoluzionario, e in tutti gli imputati non l'antifascismo, ma il Partito della lotta di classe.

Ma lo diranno i proletari; questo processo sarà una luce di più a rischiarare il loro cammino: i nostri compagni arrestati sono le vittime evidenti di questo marcio bubbone, di una società che non sazia di vivere sullo sfruttamento, si regge sull'inganno, sul sangue, sulla rovina degli oppressi.

La Cassazione respinge il ricorso

Da Battaglia comunista, n. 31 - 3-10 agosto 1949

Il supremo organismo della giustizia borghese ha espresso il suo verdetto di condanna nei confronti di quattro compagni palesemente incolpevoli, che persino il procuratore generale aveva chiesto l'accoglimento del loro ricorso.

All'Aquila, quando l'anno scorso essi furono condannati da una assise cieca di furore antiproletario, quando il presidente inveiva con cattiveria istruttiva contro di loro, quando lo stesso andava a riverire nei salotti dell'albergo la vedova dello spavaldo federale fascista di Firenze, ras prepotente del paesetto di San Polo, vedemmo subito chiaramente che l'ordine di colpire era predisposto e che difficilmente essi si sarebbero potuti salvare.

Ma avevamo mantenuto una speranza: che, inferto quel colpo infame, saziata la vendetta e l'orgoglio di una casta e di una classe, almeno un senso di facile solidarietà umana, quello che non costa niente e che affiora quando l'avidità e l'odio sono soddisfatti, potesse indurre i giudici della Cassazione a ridar vita ai quattro ragazzi sacrificati sull'altare della nobiltà offesa, della ricchezza insultata.

E invece neanche questo; ed è logico, è "giusto" che sia stato così: non dovevamo illuderci che in questa marea montante della conservazione, ora che la borghesia ha riguadagnato le sue posizioni di solida preminenza, ora soprattutto che di tali posizioni si deve servire per il necessario ulteriore sfruttamento e per la lotta a fondo contro un proletariato che deve "finalmente" essere licenziato, affamato e sputacchiato, non dovevamo illuderci che si sarebbe mollata la morsa della "giustizia" (oh, nefanda e infame parola!) sui quattro colpevoli di aver detto che il marchese Viviani Della Robbia era uno sporco fascista.

Prima della Cassazione la parte civile aveva dichiarato che non avrebbe infierito contro i nostri quattro compagni, che evidentemente non riteneva colpevoli; presi in questa ingannevole promessa, abbiamo persino rinunciato - per volontà di raggiungere esclusivamente la liberazione di chi soffre in carcere - a porre in giusta luce l'atmosfera nella quale fu ucciso il Viviani, a descrivere veramente chi era questo emerito schiaffeggiatore di operai, a riportare a galla la serie delle denunce sporte contro di lui dopo la cosiddetta liberazione e soprattutto le sventure di tanta povera gente che egli rovinò a suo piacere, e le sue malefatte di ogni tipo, ivi compreso il cambio di bandiera dopo il 25 luglio, vantato come un merito davanti a quel mostruoso processo di Aquila, dove le funzioni dei tribunali speciali vennero rinverdite ed emulate con pieno successo.

Arrivati alla discussione in Cassazione, i patroni della parte civile, quelli che non dovevano infierire, hanno chiesto ferocemente la condanna dei quattro compagni. Infami servitori dei loro padroni, e come questi corrotti, per una manciata di biglietti da mille non hanno esitato un momento a richiamare la "giustizia" alla sua precisa e tassativa funzione di classe, quando sembrava che la richiesta di accoglimento fatta dal procuratore generale potesse portare a una sentenza favorevole ai condannati.

Di tali uomini è fatta questa sporca società, e purtroppo il disprezzo che li accompagna è ben poca cosa rispetto agli anni di galera che stanno di fronte a quattro uomini.

Ora i signori Della Robbia possono essere soddisfatti: i quattro rimarranno segregati dal mondo per avere osato pensare che il Viviani era quello che era, uno che ne aveva fatte di tutti i colori e che meritava una giusta lezione; gli organi della giustizia possono esserlo altrettanto: senza una sola prova i quattro dovranno scontare una pena che deve essere un esempio. E lo sarà, state tranquilli, ma lo sarà della sterile iniquità della classe dominante!

A voi, compagni chiusi in una cella per dare un esempio, non servono parole di incoraggiamento. In voi si è voluto colpire la vostra classe, e con la vostra condanna si è voluto chiaramente far intendere a ognuno che la borghesia non si tocca impunemente. I giudici di Aquila e quelli di Roma hanno certamente avuto coscienza che voi non avete contribuito alla uccisione del Viviani; ma essi hanno anche avuto coscienza che per la salvaguardia della classe sfruttatrice e dominante è necessario non transigere neanche nelle sfumature e che è opera "santa" togliere di mezzo chi ha anche soltanto delle idee "sovversive".

Che siano liberati dal carcere tutti i più nefasti e corrotti uomini del fascismo, questo è perfettamente corrispondente ai fini della "giustizia": "ognuno ha la sua idea", commentò benevolmente il presidente della assise di Aquila di fronte a un'affermazione di fede fascista. E quel presidente aveva ragione, perché l'idea fascista o nazista non ha nulla di contrario alla conservazione borghese, ed è anzi la stessa cosa che la conservazione, mentre istintivamente egli sentiva che qualunque idea contraria agli interessi borghesi doveva essere stroncata.

Voi, compagni, sapete perché siete lì: voi scontate l'audacia di aver voluto dire il vostro odio di classe; la borghesia non perdona questi atti di libertà: la borghesia vuole degli schiavi e attende l'occasione propizia per abbattere, con un pretesto qualunque, chiunque si ribella concretamente alla schiavitù. Noi non vi facciamo coraggio: sarebbe ridicolo.

Noi aspettiamo una grande liberazione: quella di tutto il proletariato di cui voi siete l'avanguardia sofferente in catene.

Lo scontro degli internazionalisti con lo stalinismo, e le sue vittime

Le persecuzioni e gli omicidi politici subiti dai comunisti internazionalisti: dall’assassinio di M. Acquaviva e F. Atti ai fatti di Schio e al processo di San Polo, le forze controrivoluzionarie del capitale e le armi dei sicari di Stalin contro i comunisti rivoluzionari.

Ricordando le figure di Mario Acquaviva e di Fausto Atti, additiamo il loro sacrificio eroico ai giovani proletari perché traggano da un così fulgido esempio ammonimenti e sprone per le dure battaglie che li attendono.

L'archivista di partito
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