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Home ›La tigre coreana è malata
I provvedimenti legislativi presi dal governo di Seul arrivano in un momento particolarmente difficile per l’economia coreana, incapace di riconfermare i risultati ottenuti nel decennio scorso durante il quale la Corea del Sud si era posta come paese-guida tra le “Tigri asiatiche”.
Il miracolo economico coreano si è fondato, oltre che sulla fitta rete di piccole e medie imprese, sui chaebol, i conglomerati dalle molteplici attività presenti sui mercati di tutto il mondo, creati sotto la dittatura di Park Chung-hee. Tra i più noti chaebol possiamo citare Samsung, Daewoo, Lucky-Goldstar, Hunday. Grazie a questi conglomerati, espressione di una borghesia nazionale che ha ferocemente sfruttato il proletariato indigeno, la Corea del Sud è riuscita a superare lo stadio della società rurale per approdare nell’area dei paesi capitalisticamente più avanzati. Agli inizi degli anni novanta la Corea del Sud era al primo posto per la costruzione navale, al quinto o sesto per il tessile, la petrolchimica, l’elettronica, l’acciaio e la fabbricazione di motori.
I successi economici riportati durante gli anni passati dalla Corea del Sud sono stati di così vasta portata che i più importanti conglomerati hanno cominciato ad invadere i mercati internazionali con i loro prodotti. Infatti il gruppo Lucky-Goldastar ha dichiarato di aver aumentato le proprie vendite in Cina per un volume d’affare che supera i 6 miliardi di dollari l’anno, mentre Samsung e Daewoo sono sempre di più impegnati ad investire enormi masse di capitali su tutto il mercato dell’America Latina. Un risultato significativo è stato raggiunto dall’economia sud-coreana nel 1993 quando il settore terziario per la prima volta ha coperto più del 50% del prodotto interno lordo.
Nel corso degli anni ottanta, grazie al massiccio afflusso di capitali esteri, soprattutto giapponesi e statunitensi, la Corea del Sud si è posta al centro di quel fenomeno che ha portato il capitalismo a trasferire quote significative di produzione industriale verso paesi che presentavano un costo della forza-lavoro alquanto basso. Con la globalizzazione dell’economia paesi come la Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, ecc. sono diventati i mercati privilegiati di importanti quote di capitali da investire nella produzione. A differenza delle altre “Tigri asiatiche” la Corea del Sud è riuscita a mantenere un certo equilibrio macroeconomico nel suo portentoso sviluppo; un bilancio quasi in pareggio (ma in forte deficit con l’estero), debito pubblico di poco superiore ai 40 mld di dollari (in realtà tenendo conto dei crediti il debito netto è di soli 10 mld di dollari) e un tasso d’inflazione contenuto sotto la soglia del 6% sono indicatori di una crescita equilibrata.
I progressi dell’economia del paese non hanno impedito che le differenze tra i redditi si sono allargassero; nel 1970 il 20% più benestante della società s’accaparrava il 42% del Pil; agli inizi degli anni novanta la stessa s’appropria di una quota che supera il 50%. Dopo una prima fase in cui la strategia di sviluppo economico era incentrata soprattutto sul continuo aumento delle esportazioni, il capitalismo sud-coreano ha intrapreso una scelta di sviluppo proiettata verso l’espansione della domanda interna. Grazie agli straordinari tassi di sviluppo economico la borghesia sud-coreana ha concesso alla propria classe operaia consistenti aumenti salariali. Il 1988 è l’anno in cui s’inaugura la nuova fase di sviluppo: in quell’anno i salari sono aumentati del 17%, nel 1989 e negli anni successivi l’aumento è stato superiore al 20% annuo.
Grazie a questi cospicui aumenti salariali il potere d’acquisto della classe operaia sud-coreana è cresciuto enormemente nel corso degli ultimi anni, tanto che molte aziende, per la prima volta nella storia del capitalismo sud-coreano, hanno puntato di più sul mercato interno che su quello estero. Attualmente i lavoratori della Corea del Sud sono i meglio pagati in Asia dopo quelli giapponesi.
La costante crescita economica della Corea del Sud ha permesso al paese di entrare dal 1996 nel novero dei paesi che fanno parte dell’OCSE, l’organizzazione internazionale che raggruppa i maggiori paesi industrializzati. L’OCSE con un vero e proprio ricatto, per far accedere nelle proprie file la Corea del Sud, ha dettato delle precise misure in tema di mercato del lavoro prontamente varate dal governo di Seul. Cogliendo i “suggerimenti” dell’organizzazione parigina, il governo sud-coreano ha approvato una legge di riforma delle relazioni industriali che si articola in vari punti. Tra gli aspetti più penalizzanti per la classe operaia vi è l’annullamento del sistema d’ispirazione giapponese di impiego a vita, in vigore soprattutto nei grandi conglomerati, con possibilità di repentini licenziamenti senza la possibilità di ricorrere alle autorità giudiziarie per ottenere la sospensione dello stesso. In base alla nuova legge le direzioni aziendali possono reclutare lavoratori esterni durante gli scioperi qualora la produzione non possa essere garantita dalle maestranze rimaste sul posto di lavoro; inoltre le aziende potranno richiedere prestazioni fino a 56 ore settimanali senza effettuare pagamenti in cottimo per un totale di una settimana al mese.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui l’economia sud-coreana faceva registrare tassi di sviluppo record, con saldi commerciali che evidenziavano una competitività impressionante delle proprie aziende; anche la Corea del Sud è alle prese con una crisi economica devastante frutto della più generale crisi internazionale del capitale. I problemi dell’economia giapponese (vedere l’articolo “Il Giappone in crisi” apparso sull’ultimo numero di Prometeo), e la politica statunitense mirante a ridurre il pesante deficit commerciale con l’Asia stanno facendo sentire pesanti conseguenze sull’economia sud-coreana. Il deterioramento progressivo della bilancia dei pagamenti è la spia di una situazione economica che volge verso il peggio. Nell’era della globalizzazione, potendosi i capitali spostare con estrema facilità da un paese all’altro, neanche la Corea dei miracoli può cullarsi sulla propria competitività. La crescita salariale degli ultimi anni, pur favorendo un’espansione della domanda interna, ha trasformato la Corea del Sud in un paese che non offre più i vantaggi di avere un basso costo della forza-lavoro; altri paesi del sud-est asiatico sono diventate la meta dei capitali internazionali.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 1997
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