Strategie produttive e classe operaia

La nuova divisione internazionale del lavoro, le profonde ristrutturazioni industriali di questi anni, il passaggio da una produzione per grandi lotti a una produzione sempre più differenziata, destinata ad un mercato estremamente mutevole e incerto, hanno modificato profondamente la struttura produttiva sia sul piano dimen-sionale che a impiantistico e organizzativo.

I grandi complessi industriali si sono fortemente ridimensionati, molte industrie hanno delocalizzato le proprie unità produttive dove minori sono i costi di produzione, dalla manodopera alle materie prime ecc. altre hanno diversificato la produzione o hanno portato all’esterno o appaltato parte o tutta la progettazione, la componentistica, la parte informatica. Ma dietro la facciata del dinamismo della piccola e media impresa, della imprenditorialità diffusa emerge prepotente una realtà radicalmente diversa che vede da una parte la concentrazione sempre più accentuata della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione in poche mani e dall’altra l’attuazione di sestemi di sfruttamento sempre più intensi.

La conferma della trasformazione/adattamento dell’impresa nel suo complesso (con poche eccezionmi riguardanti la siderurgia, la cantieristica, la chimica di base, la produzione di energia e di grandi macchinari, settori nei quali le difficoltà tecniche, logistiche, di finanziamento e le diverse opportunità strategiche rallentano e rendono più difficile la tendenza generale al ridimensionamento/riallocazione impiantistica) viene dalle aree produttive e commerciali tra le più dinamiche, collocate in Lombardia, Piemonte e nelle regioni del Nord-Est del paese.

Nella rete industriale chiamata la “filiera” dell’automobile composta da circa 750 aziende di varie dimensioni che producono ricambi, impianti e attrezzature per il settore automobilistico, è avvenuta nel tempo, una profonda diversificazione che ha trasformato i fornitori in produttori di sistemi di componenti. Questo processo, indotto dalle grandi aziende, spesso solo assemblatrici di prodotti finali, ha portato cambiamenti nella divisione e nella organizzazione del lavoro a tutti i livelli.

Il primo livello è rappresentato dalle imprese più grandi, fiat in testa che hanno decentrato all’esterno la produzione di semilavorati, di componenti, parte dell’amministrazione e della progettazione. Nelle linee di produzione e di assemblaggio la vecchia organizzazione del lavoro fondata sulla rigidità del ciclo produttivo è stata sostituita da un ventaglio di nuovi sistemi flessibili come il jit la qualità totale ecc. Il sistema tayloristico però, a differenza di quanto sostengono i teorici del post-fordismo, non è stato superato, è stato invece adattato alle nuove esigenze produttive. Alcune mansioni sono state accorpate, ma non si tratta solo della somma di singole operazioni, ma anche di contemporaneità nel senso che mentre si lavora in linea si deve badare anche alla qualità del prodotto e tenere sotto controllo il flusso produttivo, altre sono state soppresse grazie all’ausilio dell’automazione e dell’informatizzazione, segmenti di lavorazioni sono stati rimodellati, ma una gran parte delle operazioni di montaggio è ancora svolta da operai generici con l’ausilio di strumenti semlici.

Il secondo livello è invece rappresentato dai componentisti che realizzano un prodotto che arriva collaudato e che negli stabilimenti finali, le carrozzerie o le meccaniche, viene solo assemblato. In queste imprese, la compresenza di lavoro stabile e lavoro a tempo è ormai la normalità raggiungendo in alcuni periodi dell’anno la proporzione di 1 a 1 tra lavoratori interni ed esterni. Il risultato è un lavoro precario, con orari estremamente flessibili, salari diversi per lavoratori accomunati dalla stessa condizione

Il terzo livello è rappresentato infine dalle microimprese dove una parte di lavoro più povero, a basso valore aggiunto è stato decentrato dalla componentistica alla subfornitura composta da una miriade di aziende di cooperative, di artigiani al limite della sopravvivenza, che altro non sono che ex lavoratori delle stesse imprese più grandi costretti a mettersi in proprio dal proprio padrone, a prezzi stracciati.

Un processo analogo è avvenuto nel tanto mitizzato nord-est dove la grande parte delle commesse viene dalle grandi multinazionali nordamericane francesi e tedesche e dove il grande capitale penetra tutti i segmenti di mercato assorbendo o sopprimendo le imprese concorrenti, per controllare e riorganizzare capillarmente la produzione. Anche in questo caso una parte del lavoro, generalmente quello più semplice, povero e ripetitivo viene decentrato nelle piccole officine e nei laboratori nelle quali i lavoratori sono costretti ad accettare qualsiasi ricatto, bassi salari, estrema flessibilità di orario, nessuna sicurezza, nessuna garanzia di continuità del rapporto di lavoro. Tutte le mansioni sono estremamente ripetitive e fortemente standardizzate, la velocità nell’esecuzione delle operazioni è il fattore cruciale e determina sempre e inesorabilmente la quantità di salario percepito e la durata del contratto di lavoro.

Cambiano le dimensioni, la struttura industriale e la organizzazione del lavoro plasmandosi al mercato, e a questi cambiamenti si adeguano sia la struttura del salario che il rapporto di lavoro.

Alla sterilizzazione degli automatismi e all’attacco alle singole voci del salario è seguita negli ultimi cinque anni la radicale riforma della struttura salariale.

Il salario fisso, riferito alla qualifica e alla mansione è stato sostituito dal salario flessibile, agganciato alla produttività dell’azienda e individuale. Alla paga oraria degli operai o allo stipendio mensile degli impiegati va sostituendosi un salario e uno stipendio legati alla performance, all’efficienza, alla fedeltà all’impresa

Anche il rapporto di lavoro è stato riformato, così in una stessa fabbrica è possibile che convivano fianco a fianco diverse figure contrattuali: lavoratori a salari più bassi assunti con contratti di apprendistato, con il salario di ingresso o con il contratto di formazione lavoro; lavoratori a orario ridotto assunti con il part-time o con un contratto per il week end, lavoratori assunti a tempo determinato o presi in affitto per un periodo prestabilito.

In alcune aziende, è possibile trovare fino a 13 figure operaie, 13 soggetti contrattuali diversi che operano gomito a gomito svolgendo esattamente le stesse funzioni, ma con, salari, orari, contratti diversi.

Salari e contratti di lavoro tendono dunque ad individualizzarsi, a precarizzarsi, la variabilità dei mercati e dei consumi spingono le imprese ad allargare e restringere le dimensioni occupazionali in rapporto alle proprie esigenze di produzione. La precarizzazione del lavoro è la condizione permanente di un sistema di lavoro che, per continuare a fare profitti deve essere il più possibile elastico e questo spiega la continua pressione dei padroni per l’ allentamento delle regole del mercato del lavoro.

Ma le ristrutturazioni il decen-tramento produttivo e flessibilità non cancellano la centralità del lavoro salariato, alla fine stabili o precari, sono sempre i lavoratori che con la loro fatica e il loro sudore permettono ai padroni di intascarsi lauti profitti e sono sempre gli stessi lavoratori che possono, con le loro lotte, mettere una volta per tutte la parola fine a questo sistema di sfruttamento.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.