Stato sociale: L’assedio continua

Si stanno avviando in questi giorni i primi incontri tra il governo, i sindacati e le associazioni industriali sul progetto di riforma dello stato sociale contenuto nel documento di programmazione economica e finanziaria (DPEF). L’obiettivo generale del governo è il riequilibrio dei conti pubblici attraverso una manovra correttiva di 47 mila miliardi in tre anni legata ad alcuni indici previsionali macroeconomici di riferimento: la crescita media del PIL nel triennio del 2,4% una inflazione media del 1,6% e una crescita dell’occupazione complessiva del 2,1% in modo da ridurre il tasso di disoccupazione dal 12% attuale al 10,4% nel 2000.

In particolare, la manovra da 25.000 miliardi prevista per il ‘98, annunciata per il prossimo settembre, sarà realizzata per il 40% con nuove entrate (rimodulazione delle aliquote IVA e aumento del carico fiscale sulla benzina) e per il 60% con tagli alle spese sanitarie e previdenziali.

Una base che, assieme al “patto per il lavoro” e al progetto di riforma dello stato sociale della Commissione Onofri (vedi in proposito il nostro articolo su BC n.4/97 e il numero di marzo di Lotta di classe) di fatto già fissa l’impianto della finanziaria e gli stessi principi cardine della nuova riforma dello stato sociale: trasformazione degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, assegni familiari e sussidio di disoccupazione) in nuovi strumenti di gestione della disoccupazione e tendenza alla soppressione delle pensioni di anzianità e generale “armonizzazione” dei trattamenti previdenziali che andrà a ridurre in modo progressivo ma inesorabile le pensioni erogate favorendo il sistema truffaldino dei fondi integrativi ed allungamento del periodo di contribuzione.

Sul testo definitivo del governo, non ancora noto, avremo modo di tornare sui prossimi numeri del giornale, quì vogliamo invece mettere in evidenza come il sindacato con le sue proposte di revisione del sistema di ammortizzatori sociali voglia raggiungere, nella sostanza esattamente gli stessi risultati a cui vuole arrivare il governo e per la quale i padroni spingono da tempo.

La necessità di una radicale riforma dello stato sociale scaturisce, per i sindacati da due ordini di cause:

L’attuale rete protettiva, dalle pensioni erogate con il metodo contributivo al sistema degli ammortizzatori sociali si scontra con dall’affermarsi di un modello di produzione post-fordista nel quale l’occupazione stabile diviene sempre più marginale lasciando il posto a un modello di lavoro flessibile in cui il fenomeno della ristrutturazione tende a diventare un elemento continuo nella vita dell’impresa. In questo contesto, il limite di tutte le nuove norme diventa cercare di codificare eccezioni (lavoro precario) a una regola (lavoro stabile) che non esiste più. Serve quindi un cambiamento radicale di ottica passando dal sistema del risarcimento a quello del servizio. Perchè questo sia possibile bisogna ristrutturare totalmente le pensioni di anzianità, garantendole solo a chi fa lavori usuranti, e creare una rete di protezione vincolata per tutti coloro che non riescono a inserirsi nel mercato e per i lavoratori che non riescono a restarci modellando un’economia sociale capace di espandere e personalizzare i servizi.

Questa transizione verso modelli lavorativi diversi deve essere gestita con appropriati strumenti di politica sociale e del lavoro:

  1. Interventi in condizioni di perma-nenza del rapporto di lavoro volti ad affrontare il problema delle eccedenze temporanee per la rea-lizzazione di piani di ristrut-turazione e riconversione. In queste situazioni il sindacato proponesi l’ utilizzo sistematico di vari strumenti alternativi come i contratti di soli-darietà, la riduzione di orario e di salario in tutte le sue forme, la mobilità da posto a posto con l’obbligo di disponibilità ai lavori socialmente utili o a corsi di formazione.
  2. Interventi in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Si prevede un’indennità di mobilità per i lavoratori licenziati sia in caso di eccedenze strutturali dovute a crisi aziendali che in casi di licenziamenti individuali. L’entità del trattamento dovrà essere correlata all’anzianità contributiva e/o alla presenza o meno di figli a carico. Nei casi di crisi aziendale non temporanea i lavoratori verranno posti in mobilità usufruen-do di un’indennità di mobilità incen-tivata di accompagnamento al reimpiego (MIAR) oppure un’indennità di mobilità di accom-pagnamento alla pensione (MAP). L’indennità di MIAR avrà una durata modulata in funzione dell’età del lavoratore e delle aree territoriali. I soggetti beneficiari dell’indennità MAP dovrebbero rispondere ai requisiti attualmente previsti per la cosiddetta “mobilità lunga” e potrebbero associare tale indennità allo svolgimento di un lavoro part-time la cui retribuzione sommata all’indennità non dovrebbe superare quella percepita al momento del licenziamento. I beneficiari delle indennità di mobilità saranno obbligati a partecipare ad interventi formativi o ad iniziative di lavori socialmente utili accettare un lavoro a termine o tempo indeterminato. In caso di rifiuto essi perderanno il diritto all’indennità per tutta la durata degli interventi o dei lavori proposti.
  3. Sostegno al reddito per lavori discontinui. Si chiede istituzione un’indennità di integrazione salariale per lavoratori discontinui (ISLAD) pari all’attuale indennità ordinaria di disoccupazione a requisiti ridotti, elevata al 40%. Tale integrazione rappresenterebbe un vero e proprio sostegno finanziario a un regime orario ridotto quasi a compensazione di una perdita di salario. In questo modo si unificherebbe la disciplina relativa ai vari trattamenti oggi esistenti per i lavori discontinui (agricoli e non); sarebbe inoltre necessario unificare il numero minimo di giornate lavorate
  4. Riforma previdenziale. Secondo il sindacato, bisogna prendere atto che tutti principi che erano alla base vecchio sistema contributivo cui tutti contribuiscono in egual misura ottenendo un trattamento uguale sono saltati, occorre quindi passare progressivamente dal sistema contributivo a un sistema misto contribuzione-capitalizzazione incentivando il fondo pensioni.

I provvedimenti immediati dovrebbero essere:

  1. Progressiva soppressione delle pensioni di anzianità che dovrebbero essere limitate solo alle categorie maggiormente usuranti
  2. Separazione tra assistenza e previdenza
  3. Incentivazione e dilatazione delle pensioni integrative attraverso misure fiscali e contrattuali, tra le quali forme di utilizzo del TFR e degli incentivi di produttività.

Come è possibile constatare dunque, per quanto riguarda la politica del lavoro non c’è sostanziale differenza da quanto il governo da tempo ha in programma, smantellare le vecchie norme sul mercato del lavoro per sostituirle con una ragnatela di contratti, meccanismi, regolamenti estremamente vincolanti per chi entra nel mercato del lavoro ma flessibili per aziende ed imprese, mentre chi non riesce ad entrare nel mercato del lavoro o ne rimane ai margini, è condannato alla povertà.

Sulle pensioni invece, il sindacato finge di ignorare alcuni aspetti perversi che, con il suo appoggio, hanno già modificato in peggio il sistema pensionistico:

  1. Nella riforma delle pensioni del ‘95, governo e sindacati, con il pretesto di armonizzare i trattamenti di malattia degli operai con quelli, assai più favorevoli, degli impiegati e del settore del pubblico impiego, hanno elaborato un meccanismo perverso attuato con il decreto 564 con il risultato che oggi si può star male o infortunarsi, o subire gli effetti di una malattia professionale soltanto per 24 mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa e per di più a partire da 12 mesi e un giorno la copertura per la pensione è solo del 50%. A meno che non si sia “malati terminali”. Gli operai com meno di 18 anni di contributi versati, con questo decreto si trovano meno peggio rispetto al nuovo sistema pensionistico. Quelli con più di 18 anni, gli impiegati e i dipendenti del pubblico impiego si trovano, se non hanno malattie mortali, la pensione dimezzata.
  2. La riforma, riducendo fortemente le pensioni di anzianità, previste solo in via transitoria, allo scopo di “smaltire” la generazione operaia entrata in fabbrica giovanissima negli anni ’60, aveva lasciato alla contrattazione la definizione delle categorie particolarmente usuranti per le quali erano previsti sconti e incentivi. Il confronto sui lavori usuranti all’interno delle categorie non è mai stato avviato, se si escludono i metalmeccanici.Che la contrattazione non sia partita non deve stupire perché sia i sindacati che i padroni non vogliono arrivare alla definizione delle figure professionali usuranti in quanto il riconoscimento dell’usura di alcuni lavori potrebbe aprire nelle aziende conflitti più generali sulle condizioni di lavoro, la sicurezza, i ritmi e i carichi di lavoro, gli orari ecc.

Aquistano così un preciso e sinistro significato le parole di un sindacalista al forum delle sinistre di Roma: “bisogna far rimangiare alla gente i diritti che credeva acquisiti per sempre. Questo creerà sicuramente problemi di consenso però occorre capire che vengono prima i sistemi-nazione che si sanno adattare velocemente e noi non possiamo restare indietro”.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.