Una prima scontata verifica del governo Prodi

Nell’immaginario collettivo del popolo della sinistra riformista, sia in chiave moderata che radicale, il Governo Prodi di centro sinistra, il primo dopo quasi cinquant’anni di vita repubblicana, avrebbe dovuto rispondere ad almeno tre grandi requisiti. Il primo riguardava la chiarezza programmatica e la trasparenza delle decisioni politiche. Il secondo, la garanzia che, pur rimanendo all’interno delle compatibilità del sistema, ci sarebbero state maggiori possibilità di difesa degli interessi dei lavoratori. La terza, che comunque un governo di centro sinistra, con oltretutto l’appoggio esterno di Rifondazione, sarebbe stato un argine ai programmi conservatori della destra, una sorta di tamponamento al neo liberismo di stampo berlusconiano.

Il solito, grave, atteggiamento di chi accetta l’esistente come unica realtà possibile, inibendosi qualsiasi progetto alternativo, scegliendo o credendo di scegliere tra il minore dei mali. La questione non è nuova. La borghesia ha ben lavorato su questo fronte: non avrai altra possibilità all’infuori del capitalismo, non avrai altra alternativa alla società borghese, ogni soluzione veritiera e perseguibile è all’interno del sistema, al di fuori c’è solo utopia e disgregazione. E ancora una volta, e mai come in questa fase storica, la ideologia della classe dominante è così dominante, ma con alcune aggravanti.

Per quanto riguarda la chiarezza programmatica, i ruoli tra Governo e opposizione, la trasparenza dei contenuti e del modo di fare politica, dire che siamo arrivati al ridicolo è solo un eufemismo. In appena un anno e mezzo di gestione del Governo Prodi si sono concentrati i più ambigui patteggiamenti da basso impero che nemmeno ai tempi del marciume democristiano sarebbero passati senza lasciare un insopportabile olezzo di sterco. Sensale il “buon” Prodi, tra il capo della “sinistra” D’Alema e il suo omologo di centro destra Berlusconi, in perfetto stile consociativistico, termine non appropriato che in realtà significa associazione a delinquere mirante a soddisfare i propri interessi alla faccia e contro le indicazioni dell’elettorato, si sono consumati una serie di crimini politici e da codice penale.

Ieri D’Alema ha barattato la Bicamerale con una sorta di sanatoria delle pendenze giudiziarie di Berlusconi, con la promessa di non interferire con il possesso delle televisioni di Mediaset. Oggi ha comprato l’appoggio del Polo, ovvero di Berlusconi, sulla riforma del Welfare operando in modo da consentire al gruppo Mediaset di non essere messo fuori gioco sul futuro della telefonia dalla concorrenza americana della At&T e da quella italo tedesca rappresentata dalla alleanza tra la l’Enel e la Deutsche Telecom. Sotto questa luce vanno letti gli ondeggiamenti da parte di Berlusconi sulla antinomia tra la Costituente e la Bicamerale e tra le minacce di dura opposizione e l’appoggio al Governo Prodi su tutti i problemi strategici, buon ultimo la riforma del welfare. La stessa lettura va data alla legge di riforma sulla giustizia, la tanto discussa modifica dell’articolo 513 sui pentiti, quelli che accusano Berlusconi, Craxi e Andreotti. E poi che fine ha fatto il conflitto di interessi su cui la sinistra aveva costruito la sua base di attacco all’allora Governo Berlusconi? Se questa è la tanto auspicata chiarezza e trasparenza in termini politici e comportamentali, i signori riformisti sono serviti.

Per ciò che concerne una possibile, maggiore, difesa degli interessi dei lavoratori il decorso degli avvenimenti è ancora più tragico. Da quando Prodi ha messo piede alla Presidenza del Consiglio non c’è stato atto o episodio che non sia stato contro il mondo del lavoro. Il Governo di centro sinistra non ha fatto altro che continuare la linea dei Governi procedenti, ultimo quello di Berlusconi. Una continuità all’insegna del progressivo inasprimento degli attacchi del capitale contro la forza lavoro, e sul terreno economico che su quello normativo. In poco più di un anno si sono portati colpi inauditi al salario diretto e indiretto, si è firmato un patto sul lavoro, complici i soliti sindacati e Rifondazione comunista, nel quale si dà mano libera al mondo imprenditoriale di praticare i licenziamenti con minori ostacoli, di praticare nelle aree depresse salari inferiori anche del 60% e di impostare il futuro del lavoro sui devastanti concetti di mobilità e precarietà. Si è dato il via al lavoro interinale, ovvero al lavoro in affitto che nella logica del capitale è una specie di lavoro usa e getta a seconda delle esigenze dell’impresa. É progressivamente aumentato il numero dei disoccupati, mentre il lavoro nero ha raggiunto il 25% degli “occupati” a salari di fame. In più l’eufemistica riforma dello Stato sociale sta creando le condizioni perché al lavoratore non vengano più garantite ne la previdenza ne l’assistenza. In altri termini il governo di centro sinistra sta lavorando in modo da garantire al capitalismo italiano un costo del lavoro bassissimo azzerando le pensioni e le spese sanitarie, oltre che infierendo sul monte salariale complessivo inventando i contratti a termine, il salario d’ingresso i contratti d’area, tutti espedienti per avere a disposizione un forza lavoro ad un prezzo nettamente inferiore con l’apprvazione delle leggi dello Stato. Terzo punto, ma quale minore dei mali! In regime capitalistico da sempre, ma in modo particolare in una fase storica nella quale i bassi saggi del profitto restringono i margini di manovra e impongono al capitale scelte pressoché obbligate, qualsiasi fazione borghese chiamata a gestire il potere lo deve fare tenendo conto delle sempre più precarie condizioni di vita del capitale. Che sia un centro destra o un centro sinistra non solo l’obiettivo della conservazione è sempre lo stesso, ma non mutano nemmeno le forme e gli ambiti di azione. Parafrasando una ormai celebre frase di Agnelli rilasciata all’indomani della vittoria elettorale dell’Ulivo: “ al Governo Prodi D’Alema si richiede di fare quel lavoro che la destra non potrebbe fare, pena il gonfiarsi delle piazze. Ai poteri forti, alla più intelligente delle componenti della borghesia imprenditoriale e finanziaria, chiara era l’idea che, in questa fase di particolare fragilità del capitalismo e di drammatici stravolgimenti all’interno del rapporto tra capitale e forza lavoro, non solo un Governo di centro sinistra avrebbe portato a compimento tutte le richieste del capitale come una qualsiasi forza di destra, ma che al contempo avrebbe potuto contenere la rabbia proletaria molto meglio di qualsiasi Governo di centro destra. Se così stanno le cose, e c’è da esserne certi pur correndo il rischio di essere d’accordo con il patriarca del capitalismo italiano, il progetto dell’imbelle riformismo di scegliere il minore dei mali, in realtà si è risolto nell’essere la peggiore delle soluzioni.

Ma c’è un’ultima considerazione da fare. La prospettiva con la quale, di volta in volta, si sceglie tra le varie opzioni della borghesia, ammesso che di opzioni si tratti, non solo fa sì che rimangano inalterate tutte le condizioni che consentono la conservazione del sistema economico e sociale, ma anche che non si imbocchi mai la strada, anche se lunga e difficile, dell’alternativa. Al capitale può far comodo una alternanza tra destra e sinistra a seconda delle situazioni e della specificità dei suoi obiettivi, al proletariato farebbe bene iniziare a scindere i propri interessi di classe, a riconsiderarsi soggetto alternativo a tutte le fazioni della borghesia, e un percorso praticabile è proprio quello di non cadere sempre e comunque nel tranello della scelta tra due soluzioni borghesi, rinunciando così a priori alla sua autonomia di classe.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.