Concertate le 40 ore

Si riduce l'orario per aumentare lo sfruttamento della forza-lavoro

Proseguono le grandi manovre per l'imposizione legale della flessiilità del lavoro, variabilità degli orari e dei salari. Dopo il prologo recitato dal duo Bertinotti-Prodi, è entrata in scena la coppia Confindustria-Sindacati per la necessaria introduzione dei punti di partenza e delle regole della nuova concertazione fra capitale e lavoro.

Adeguandosi alle direttive comunitarie, il governo Prodi presentò nel luglio '97 la legge per l'orario settimanale a 40 ore. Di fatto, la media contrattuale è già di 38,5 ore settimanali. Ma poiché le parti sociali non avevano definita la "riforma sugli straordinari", tutto rimase fermo al 1923, quando un famoso personaggio in camicia nera promulgò la settimana lavorativa di 48 ore.

Dopo qualche trattativa fra le quinte, Confindustria e Sindacati hanno improvvisamente siglato (12 novembre) l'intesa per la riduzione dell'orario legale di lavoro a 40 ore settimanali a tutti gli effetti. Viene così consentito il ricorso annuale a 280 ore straordinarie (80 trimestrali) con l'aggiunta di un altro storico passo avanti: la giornata lavorativa non avrà più la durata massima di 8 ore, ma gli orari saranno gestiti secondo un criterio di flessibilità. Il limite delle 40 ore settimanali sarà il risultato della media effettuata su periodi plurisettimanali. Si può cioè lavorare anche 50 ore in una settimana e 30 ore nell'altra, secondo le esigenze aziendali.

È evidente che tutti, al di là delle pubbliche sceneggiate, stanno preparando il terreno per legalizzare lo sfruttamento periodicamente flessibile della forza-lavoro, facendolo passare per una riduzione degli orari a parità di salario e per la creazione di nuova occupazione. Lo stesso Bertinotti ha demagogicamente falsato, per i propri interessi di bottega elettorale, ciò che i gestori del capitale stavano predisponendo. Pochi sono a conoscenza della proposta di legge, targata Pds e firmata da Mussi e Cordoni, presentata alla Commissione lavoro della Camera. In essa le 35 ore sono indicate come "obiettivo programmatico da perseguire attraverso una strategia di incentivi pubblici per le aziende e per i lavoratori, e favorendo la modulazione dei tempi di lavoro (...) Una riduzione generale, ma non generalizzata, che si rapporti agli incrementi di produttività e che redistribuisca questi aumenti di produttività in riduzione di orario e in aumento contenuto del salario".

Il ragionamento, secondo la logica capitalistica, riguarda "la durata dei tempi di lavoro, che assume un arco temporale più ampio che non il giorno o la settimana, ma calendari annui e il ciclo della vita". E poiche questa "gestione flessibile della durata del lavoro" comporta evidenti disagi, gli operai "devono essere ricompensati dalla riduzione dell'orario, con i modi e le entità definite dalle parti sociali". O meglio da padroni e Sindacati. E già si propone un apposito fondo nazionale di incentivazione alla riduzione degli orari, con un contributo dello 0,35 per cento delle retribuzioni mensili sia a carico delle imprese che dei lavoratori. Cioè un taglio immediato dei salari pari allo 0,70 per cento.

Intanto, nella legge Treu (giugno '97) per favorire accordi aziendali di riduzione degli orari è previsto un meccanismo di diminuzione dei contributi sociali a carico delle imprese sulle prime 32 ore settimanali e un aumento sulle successive ore. Fra diminuzioni e aumenti, opportunamente dosati, si avrà come risultato finale un costo del lavoro invariato rispetto a quello attuale, figurando una riduzione degli orari ma pur continuando a lavorare 40 o 44 ore settimanali.

Siamo certi che questo costruttivo "senso di responsabilità" animerà anche il futuro progetto di legge quando - governo in carica nell'anno 2001 permettendolo - sarà approvato dagli onorevoli custodi delle democratiche istituzioni al servizio dei capitalistici interessi.

cd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.