Ancora sulla riduzione dell’orario di lavoro

Si riaccende la polemica sulla riduzione dell’orario di lavoro alimentata dalle anticipazioni del testo elaborato dalla commissione del governo sulla legge per le 35 ore. Ma come al solito, gli aspetti posti in primo piano danno una visione distorta del problema ed hanno come unico obbiettivo il tornaconto economico e politico della muta di cani ringhiosi degli industriali, dei sindacati e dei vari partiti che ruotano attorno al governo Prodi e alla fine, a pagarne concretamente il prezzo, saranno ancora una volta i diretti interessati ovvero i lavoratori, che dovranno ingoiare a scatola chiusa l’ennesimo accordo frutto della concertazione.

Per tutti, il nocciolo del problema è come ridurre l’orario formale di lavoro concedendo in cambio alle aziende sostanziose contropartite per aumentarne la competitività sui mercati internazionali e nel contempo accrescere il consenso sociale duramente messo in discussione dalla disoccupazione dilagante.

Dal punto di vista del proletariato invece, il problema si vede da una angolazione completamente diversa ed assume una logica diametralmente opposta:

Il tempo è uno dei pilastri fondamentali su cui si regge il sistema di produzione capitalistico. Il tempo disciplina rigorosamente il lavoro e condiziona profondamente i lavoratori dentro e fuori la fabbrica. Nei reparti di produzione l’orologio scandisce tempi, ritmi, cadenze, saturazioni, pause strettamente allacciati e coordinati da una organizzazione della produzione sempre più raffinata, in grado di sfruttare al meglio, dato un certo grado tecnologico, il lavoro umano. Fuori dalla fabbrica l’orologio scandisce l’intervallo di tempo tra un turno e l’altro influenzando quello che viene chiamato tempo libero, così, anche se non vuole, il lavoratore è costretto inevitabilmente ad adattare i propri ritmi di vita alla fabbrica o all’ufficio.

Per anni l’ambiente sociale, gli operai e i loro familiari hanno consumato la propria esistenza in sincronia con i tempi e i ritmi regolari della produzione, poi l’incalzare della crisi, l’instabilità dei mercati hanno imposto radicali cambiamenti che hanno sconvolto l’ordine sedimentato nel tempo. La ristrutturazione tecnologica, soprattutto a partire dai primi anni '80, che ha permesso alle aziende di risparmiare lavoro ha determinato la fortissima espulsione di forza lavoro dai cicli produttivi con conseguente riduzione dei costi ed aumento considerevole della produttività.

Le fabbriche si sono progressivamente svuotate, le imprese hanno rielaborato il tempo di lavoro in una molteplicità di schemi e di regimi elastici e il lavoro temporaneo, precario ha sostituito i contratti a tempo indeterminato e ancora una volta i lavoratori hanno dovuto adattarsi al progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, chi è rimasto in fabbrica ha dovuto piegarsi alla intercambiabilità delle mansioni, alle nuove forme di cottimo ai turni e agli orari elastici, mentre chi è rimasto fuori dalle fabbriche o non ci ha mai messo piede ha dovuto fare i conti con lo spettro della disoccupazione, del lavoro nero o saltuario.

Ora alla disoccupazione di massa si pretende di dare una risposta concreta con una legge a sostegno e orientamento di una contrattazione subordinata da sempre alla logica della competitività delle aziende facendo finta di ignorare che negli ultimi anni in tutti i contratti di categoria sono state introdotte una serie di misure di flessibilizzazione degi orari e delle prestazioni di lavoro tali da permettere un più intenso sfruttamento degli impianti e della manodopera allentando nel contempo tutti i vincoli contrattuali.

In questo contesto, porre la questione dell’orario senza contestualmente incidere sui carichi, ritmi, organizzazione del lavoro e sul salario significa lasciare alle aziende piena libertà di gestire tutte le variabili del ciclo di produzione. In cambio di una formale riduzione di orario che sarà rapidamente riassorbita dal lavoro straordinario e dai diffusi sistemi a slittamento di orario i padroni otterranno pure nuovi finanziamenti, la defiscalizzazione dei contributi per le nuove assunzioni anche se a tempo determinato e una ulteriore facoltà di licenziare. Con buona pace di Rifondazione comunista.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.