Un anno dopo lo sciopero UPS

:Il sonno della ragione (dialettica) rende ciechi - A proposito di sindacalismo e bordighismo

Ogni vittoria ottenuta dai lavoratori sul fronte del salario o delle condizioni di lavoro in regime borghese è, si sa, per sua natura precaria, perché la borghesia, finché detiene il potere, ha mille e un modo per annullare tale conquista. Ecco allora che le lotte, per comodità chiamate economiche, interessano i rivoluzionari non solo perché permettono di alleggerire la pressione che il padronato permanentemente esercita sulla forza-lavoro, ma soprattutto perché è solamente da questi conflitti che il proletariato può svincolarsi dall’oppressione ideologica della borghesia e maturare progressivamente una coscienza radicalmente anticapitalistica. Ma perché questa coscienza possa svilupparsi occorre, prima di tutto, saper riconoscere lucidamente vittorie e sconfitte, avanzate e arretramenti, anche e soprattutto quando la realtà si presenta in modo diverso rispetto ai propri desideri o, peggio, ai propri schematismi politici.

A questo proposito, il modo in cui giusto un anno fa venne valutato dal gran mondo della “sinistra” la fine dello sciopero dei lavoratori UPS è indicativo di come la fedeltà cieca a vecchie glorie decadute possa far avvicinare schietti rappresentanti della più pura sinistra borghese, tipo “il Manifesto”, con organizzazioni rivoluzionarie. Il riferimento è a Programma comunista, che, senza ovviamente raggiungere i toni trionfalistici del “manifesto, aveva tuttavia ritenuto che, tutto sommato, gli accordi stipulati dal sindacato dei Teamsters con la direzione aziendale potevano essere considerati abbastanza buoni e comunque “il riscatto dello stato di sudditanza psicologica in cui erano caduti i sindacati USA dall’epoca di Reagan” (vedi “Programma” n. 10/97, che cita senza commenti una frase di S. Romano), dato che “in questo caso l’azienda si è dovuta piegare agli scioperanti e al sindacato che li sosteneva” (parola di “Programma”, cit.). È un modo ben strano, questo, di perdere, se dopo un anno dalla conclusione della lotta i lavoratori, ben che vada, sono al punto di prima, se non addirittura peggio, e tutto ciò non perché “ogni vittoria in regime borghese è sempre precaria... ecc. ecc.”, ma a causa proprio delle clausole contenute in quel contratto poco o tanto “vittorioso”.

A questo punto è doveroso ricapitolare brevemente la storia.

Nell’agosto del ’97, quasi 200.000 lavoratori della United Parcel Service, una delle maggiori aziende di spedizione a livello mondiale, scesero in sciopero per trasformare i posti di lavoro part-time a bassa paga oraria (la maggioranza) in posti a tempo pieno, caratterizzati da salari decisamente più alti rispetto allo stesso lavoro svolto a tempo parziale. Inoltre, i teamsters erano contro le pretese della ditta di entrare nella gestione dei ricchi fondi pensione del potente sindacato; un sindacato che stava attraversando una fase di rinnovamento - così si diceva - simboleggiato dal suo presidente Carey, il quale sembrava aver ripulito l’organizzazione dalle spesse incrostazioni mafiose ereditate dai decenni precedenti. La lotta, alla base, fu veramente generosa, determinata, dura e non mancarono scontri violenti con crumiri e polizia, anche se il presidente Clinton, per onorare le sue cambiali con il sindacato che lo aveva sostenuto finanziariamente durante la campagna elettorale, non intervenne, com’era in suo potere, per dichiarare illegale lo sciopero. Morale, dopo quindici giorni di lotta vera e veri sacrifici da parte dei lavoratori, fu concluso un accordo in cui pareva che l’azienda si fosse per l’appunto “piegata agli scioperanti e al sindacato”, perché sembrava che alcune richieste, soprattutto quelle riguardanti il part-time, fossero state accolte. Ma come scrivevano i compagni del Los Angeles Workers Voice su questo giornale (Battaglia, n. 9/97) “i pochi risultati positivi formalmente sottoscritti in superficie sono praticamente annullati se solo si dà un’occhiata in profondità e si guardi alle clausole avvocatesche in corpo 6 sul contratto quinquennale...”. Per chi non avesse idea di cosa sia il corpo 6, provi a pensare alle carte che ognuno di noi è stato almeno una volta costretto a firmare da quelle supreme istituzioni legalmente truffaldine che si chiamano banche e assicurazioni: sono quelle note in fondo al foglio scritte a caratteri quasi invisibili che annullano, di fatto, i mirabolanti presunti vantaggi che toccherebbero al povero e ignaro “cliente”. Infatti, quelle clausole danno all’azienda “il diritto di aumentare ‘la produttività del lavoro’ [...] inoltre l’azienda decide dove saranno impiegati gli incrementi di posti full-time; così nelle città dove l’UPS cresce, essa userà più lavoratori a tempo pieno” nelle altre no (Battaglia, cit.). Dulcis in fundo, i nuovi posti a tempo pieno avranno, alla fine del contratto (dopo cinque anni e non quattro come prima...), un salario comunque inferiore di quello percepito attualmente dai lavoratori full-time.

Oggi, a distanza di un anno, le clausole si mostrano per quello che sono ossia la vera sostanza del contratto. Se l’UPS ha visto incrementare i suoi guadagni del 54% (il Manifesto, 9-8-98), la situazione riguardante i posti di lavoro è rimasta quella di prima, mentre per quanto concerne i ritmi lavorativi un camionista significativamente afferma che “Dalla fine dello sciopero, loro [l’azienda, n.d.r.] caricano così tanto questi dannati camion che quasi non si riesce a muoverli. Ci sono un sacco di persone che si fanno male”(il Manifesto, cit.). Ha un bel da indignarsi il Manifesto sulle violazioni dell’accordo, risultato di quella “clamorosa vittoria”: era già tutto scritto e previsto nell’accordo medesimo! A tutto questo si aggiunge la destituzione di Carey ad opera di un ente statale - statale, nota bene! - per storni dei fondi pensione del sindacato, questa volta non a favore della mafia o del partito repubblicano, ma, come si diceva, del partito democratico. Che tutto ciò rientri nella guerra gangsteristica in corso tra repubblicani e democratici, di cui lo squallido polverone alzato da un giudice repubblicano per una storia di mutande tra Clinton e un’ex segretaria è un tassello fondamentale, è un’ulteriore prova che dai sindacati in genere e da quelli americani in particolare (in particolare?) non può venire nulla di buono per gli operai; al più ci può mostrare in anteprima in quale altra lurida fogna stanno entrando tra entusiastici inni di gioia i sindacati nostrani, ora che cogestiscono con i padroni quelle che, un tempo, erano le liquidazioni (TFR) di alcune importanti categorie di lavoratori.

Non si capisce dunque la soddisfazione con cui, tra le righe (se siamo troppo maliziosi ditecelo...), Programma salutava la presunta vittoria, oltre che dei lavoratori, anche del sindacato dei Teamsters, se non con la sclerosi di chi, per puro atto di fede, si sforza di richiamare in vita un mondo che non tornerà mai più: il sindacalismo (non la lotta “economica”, attenzione!) è morto e sepolto ed è inutile e dannoso ogni tentativo di riformarlo e/o rifondarlo. Ma ormai, il variegato mondo dell’epigonismo bordighista, affetto da inguaribile miopia, non riesce più a distinguere tra lotta operaia e azione sindacale: se è doveroso entusiasmarsi per la prima, non lo è affatto per la seconda, anzi. Certo, da noi come in altre parti del mondo, ci sono settori del padronato che per motivi vari e opposti ai nostri vorrebbero sbarazzarsi del sindacato, sentito come un limite a un più intenso sfruttamento della manodopera, ma qualora un giorno questi settori della borghesia, spinti dall’evolversi della crisi economia e sociale, diventassero maggioritari procedendo decisamente su questa strada, siamo più che mai convinti che la classe, nella sua eventuale nonché auspicabile reazione, non avrebbe né il tempo né la voglia di costruire o ricostruire fantomatici sindacati rossi. La storia, per quanto poco possa insegnare alle masse, alle avanguardie - vere o presunte - dovrebbe aver dimostrato che le uniche schiette risposte di classe, nell’epoca del capitalismo imperialista, hanno sempre rotto il quadro più che mai ristretto del sindacalismo.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.