Solo la lotta di classe operaia può fermare il corso alla guerra del capitale

Sciopero contro la guerra

Le marce pacifiste, come le preghiere dei preti, non hanno mai fermato né reso meno cruente le guerre, né in epoca capitalistico-borghese né prima. E mai le guerre sono state combattute per ragioni ideali o religiose. I princìpi morali, religiosi o politici sono invece sempre stati utilizzati dalla propaganda della classe dominante per far combattere e subire le guerre alle classi dominate e oppresse. Tantopiù oggi dove una tanto spudorata quanto bugiarda campagna mediatica vuol convincere che la "guerra del Kosovo" sia fatta per ragioni umanitarie e perché Milosevic è cattivo.

La partita che invece si gioca in Kosovo e ora in tutti i Balcani ha la sua posta principale nei giacimenti petroliferi della zona caucasica e del Caspio e negli equilibri geo-strategici fra Europa, Usa e Russia.

Si combatte in sostanza per gli interessi di contrapposti interessi imperialistici, indipendentemente dalle dimensioni e potenze dei diversi attori.

Padroni grandi e piccini si contendono le fonti della rendita finanziaria e le sfere di controllo economico massacrando e facendo massacrare i lavoratori dei rispettivi stati, in divisa o no. Lo possono fare perché i lavoratori ancora sopportano e tacciono. Hanno sopportato licenziamenti di massa, precarizzazione del lavoro e tagli dei salari e dei servizi in Europa e Usa; blocco dei salari con inflazioni a tre cifre e ancora licenziamenti di massa, precarizzazioni e tagli dei servizi in Yugoslavia come in Russia - e ora sono chiamati a schierarsi sui fronti di una guerra imperialista.

In questa guerra, ancora locale, la borghesia internazionale farà passi avanti nella definizione dei nuovi schieramenti che si affronteranno nella prossima guerra mondiale.

Alla classe operaia internazionale si presenta una sola alternativa: o piegarsi al corso impresso dalla borghesia, dai padroni, verso la guerra o rialzare la testa e, paese per paese, tornare a farsi sentire nella difesa intransigente ed esclusiva dei propri interessi di classe.

È ora che la classe operaia - e con essa tutto il mondo del lavoro salariato: occupato, disoccupato, precario - torni a difendere se stessa dagli attacchi già subiti e da quelli più duri in corso, rifiutando i sacrifici per la guerra, rifiutando qualunque licenziamento e bloccando tutti gli straordinari, rivendicando invece le assunzioni. Lo potrà fare solo liberandosi dalle pastoie del sindacalismo - di qualsiasi genere: da quello ufficiale a quello sedicentemente di base, sempre rispettoso delle regole antisciopero imposte da governo e padroni - riorganizzandosi dal basso, con le proprie assemblee di fabbrica o di territorio, attraverso le quali tornare a esprimersi liberamente.

È una strada difficile, nelle attuali condizioni di disgregazione e smarrimento. Ma è l'unica che possa ripresentare la classe operaia sulla scena storica e porre così una seria ipoteca alla dinamica capitalista verso la guerra.

Ogni sforzo delle vere avanguardie di classe deve essere allora per incitare e guidare la classe su questa strada. Fuori dal pacifismo imbelle, contro ogni invito, più o meno mascherato, a schierarsi sui fronti imperialisti, per la ripresa della lotta di classe internazionalista e internazionale.

Gli internazionalisti, da sempre schierati con gli interessi storici della classe, contro il riformismo conservatore e in fondo guerrafondaio, chiamano le avanguardie al duro compito di ricostruzione del partito di classe, strumento indispensabile della riapertura del processo rivoluzionario.

Abbiamo un corso alla barbarie da fermare. Abbiamo un mondo nuovo da conquistare, libero dalla schiavitù del lavoro salariato, dal bisogno e dalle guerre per gli interessi di questo o quel gruppo di sfruttatori.

Compagni!

Non c'è più tempo per baloccarsi con la democrazia borghese.

È tempo di guerra o di rivoluzione.

Prepariamo le condizioni politiche della rivoluzione.

PCInt