La vicenda referendaria ha un'unica vittima, il proletariato

La tragica farsa dei referendum

Le statistiche dicono che l'efficacia delle previdenza e dell'assistenza sono diminuite del 35% nel corso degli ultimi cinque anni. Che il potere d'acquisto dei salari e degli stipendi da lavoro dipendente ha subito una contrazione del 10%. Che la disoccupazione non accenna a diminuire mantenendosi attorno all'11,8%. Si perdono più di 100.000 posti di lavoro all'anno nella grande industria, mentre si contano soltanto a poche decine di migliaia quelli che nascono negli altri settori. Ma trionfalisticamente si è annunciata un'inversione di tendenza: l'occupazione sarebbe in aumento. È vero che nell'ultimo anno si sono creati 266.000 posti di lavoro nuovi ma si dimentica di aggiungere che l'85% sono atipici e temporanei e a un salario mediamente inferiore del 30%. Sempre le statistiche (dati Censis) ci dicono che 2.368.000 lavoratori sono atipici, cioè privi di garanzie sindacali e della sicurezza del posto di lavoro a salari che mediamente si aggirano tra le 800.000 e il 1.200.000 lire e che un esercito di 2.500.000 unità è sottoposto alla schiavitù del lavoro nero con salari che un tempo potevano essere definiti dei rimborsi spesa. Con l'introduzione del lavoro in affitto, si è aggiunta la più odiosa delle istituzioni, quella del "lavoro usa e getta" con la quale il mondo padronale può usufruire del lavoro salariato solo per il periodo che gli conviene, a seconda dell'andamento economico dell'impresa, relegandolo nell'inferno della disoccupazione nel momento in cui non fosse più necessaria la sua presenza all'interno dei meccanismi produttivi.

Ma per la borghesia italiana tutto questo non è sufficiente. Sollecitata da saggi del profitto bassi e dall'esasperazione della concorrenza internazionale sta creando, grazie a governi ad hoc (l'ultimo è quello di D'Alema), al senso di "responsabilità" dei sindacati e alla mancanza di qualsiasi forma di opposizione di classe, il terreno giuridico e normativo per avere a disposizione una forza lavoro completamente priva di qualsiasi strumento di difesa. In termini pratici la borghesia mira ad imporre un diverso tipo di rapporto di lavoro che si basi su due concetti di flessibilità, quella interna e quella esterna. Quella interna mira ad avere la piena disponibilità dei meccanismi di assunzione e di sfruttamento dei lavoratori. Ovvero pochi limiti per il capitale, nessuna tutela per i lavoratori. Orari flessibili sia nell'arco della settimana che del mese. Salari bassi se non addirittura irrisori, sanciti da una normativa selvaggiamente liberista. Il che comporta lavorare il sabato e la domenica quando il mercato "chiama" e settimana corta nel caso opposto. Salari legati alla produzione e alla produttività, incentivi esterni alla busta paga e non agganciabili alla carriera pensionistica. Contratti di lavoro a termine, part time e lavoro interinale, il tutto senza la presenza delle residue "garanzie" sindacali.

Quella esterna ha come obiettivo l'istituto del licenziamento senza vincoli di sorta, in ogni momento e a discrezione del capitale e delle sue leggi di valorizzazione. In estrema sintesi, il capitale, spinto dalle proprie contraddizioni e dalla concorrenza globalizzata, preme per avere a disposizione una forza-lavoro che possa essere inserita nei meccanismi di produzione solo quando è necessario e a salari sempre più bassi, ed espulsa in qualunque momento senza che intervengano degli automatismi di garanzia e di salvaguardia del posto di lavoro. Per la borghesia l'obiettivo ultimo doveva essere perseguito si in fretta, con determinazione e efficacia, ma con le modalità con le quali si sono perseguiti i risultati parziali sin qui ottenuti. Con un governo efficiente che approntasse in termini di legge il pacchetto normativo, meglio se di centro-sinistra o di sinistra, per meglio proporsi all'accettazione dei lavoratori. Con il solito supporto dei sindacati in modo da far apparire le manovre come momento di risoluzione della disoccupazione e della piaga del lavoro nero. Con il subdolo intento di far apparire le cose per il contrario di quello che sono nel duplice tentativo di conferire ai sindacati un ruolo di mediazione a favore del capitale e di avere maggiori possibilità di contenere l'eventuale risposta da parte della classe lavoratrice.

In questo scenario, non certo nuovo per modalità, ma per contenuti e aggressività e per la delicatezza della posta in palio, l'iniziativa dei referendum sociali della coppia Bonino - Pannella sembra essere accolta con fastidio dai tessitori della ragnatela anti-operaia. Non certo per i contenuti che sono quelli che la borghesia vuol perseguire al più presto e nel migliore dei modi, ma per le modalità che rischiano di scoprire il nervo e di rendere oltremodo palese un obiettivo che doveva essere raggiunto con altri percorsi. Il proporre in chiave referendaria, in termini chiari anche per il più ottuso dei lavoratori, che in nome del vero liberismo economico non ci devono essere ostacoli all'assunzione di forza-lavoro così come devono essere abbattute le "rendite" sindacali che ostacolano i licenziamenti, non è stata una mossa che ha fatto gioire il mondo imprenditoriale e quello politico. È stato vissuto come una sorta di gaffe inopportuna quanto controproducente alla realizzazione dell'obiettivo.

Che il duo forcaiolo lo abbia fatto per risollevare le sorti elettorali e di potere di un partito che non ha più né arte né parte nel panorama politico della borghesia italiana, per ergersi a piccolo ago della bilancia tra i più forti schieramenti di centro-destra e di centro-sinistra, per riproporsi all'attenzione di una stanca opinione pubblica che del Pr ha uno scialbo ricordo, oppure per semplice stupidità politica, poco importa. Ciò che conta è che le risposte alla proposta referendaria siano state tiepide se non addirittura negative.

Il solo Fini si è dichiarato incondizionatamente favorevole. Fossa a nome della Confindustria, dopo una prima entusiastica adesione, ha fatto marcia indietro dichiarandosi favorevole ai contenuti ma non ad inserirli all'interno di una proposta referendaria. Berlusconi ha fatto finta di niente. Il suo "assordante" silenzio ha fatto arrabbiare la Bonino che lo ha accusato di tergiversare e di essere più pronto, in questa fase, a tessere accordi politici con la Lega che a essere coerentemente liberista. In compenso l'iniziativa ha avuto il merito, si fa per dire, di ricompattare il governo e i sindacati. Con un distinguo: i sindacati non potevano accettare i termini del gioco radicale, sia perché si sono sentiti espulsi da un terreno che ritengono il loro, sia perché non potevano rendere palese, accettandolo, un progetto che eventualmente li potrebbe vedere come parte politica in gioco. D'Alema nei termini preteschi che gli sono propri, ha risposto che i referendum e i loro contenuti sociali potrebbero anche andare bene a condizione che non vengano usati come arma politica contro il governo. Come dire: no alle iniziative referendarie in tema di questioni sociali e di rapporti di lavoro se sono contro la stabilità di governo, si se a gestirli in termini di tempi e contenuti è il governo stesso.

Pantomima a parte il problema resta. Che l'iniziativa referendaria cada intempestiva e inopportuna rispetto ai progetti che i poteri forti e governo si erano dati in termini di flessibilità interna ed esterna, che finisca per rendere più difficile la realizzazione dell'obiettivo che contiene, il progetto di chiudere la partita con la forza-lavoro c'è e rimane. Ciò che manca e che va costruita è la risposta di classe. Senza una opposizione forte e cosciente della posta in gioco che parta dal mondo del lavoro, non solo i vari schieramenti della borghesia possono continuare a confrontarsi e a scontrarsi sui modi e sui tempi di come inchiodare il proletariato alle necessità del capitale senza che nulla e nessuno disturbi le loro diatribe, ma che quando l'inchiodatura arriverà ferrea e lacerante, si pianterà nelle carni di un proletariato inerme e disorganizzato, sconfitto senza nemmeno combattere. La prima parte della vicenda referendaria potrebbe essere una farsa recitata dagli attori borghesi, la seconda una tragedia con unica vittime il proletariato.

fabio damen

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.