La povertà dilaga anche tra il proletariato del "nord" del mondo

La parabola discendente della società borghese

Come i nostri lettori abituali ben sanno, con il termine "manchesterizzazione" ci riferiamo al processo in corso, prodotto dalla crisi strutturale in cui versa il capitalismo da circa trent'anni, che vede la classe operaia mondiale risucchiata nel vortice della precarizzazione e dell'abbassamento dei salari: insomma, del progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

Con tempi e intensità non omogenei, certamente, ma costanti, nella "metropoli" e nella semiperiferia del capitale si tende a tornare indietro di 150 anni, all'epoca della prima rivoluzione industriale, quando la classe operaia era totalmente in balìa del padrone e il proletariato intero trascinava la propria vita in un mare di miseria, mentre nei paesi della periferia capitalista lo sfruttamento non ha alcun freno (niente di nuovo, da questo punto di vista) e la povertà diventa sempre più indigenza e miseria più nera.

Non è il nostro presunto catastrofismo a farci affermare, ma sono le stesse istituzioni borghesi - e non solo quelle di stampo riformista - a rilevarlo, anche se col tipico cinismo borghese questi dati drammatici vengono usati per giustificare e spingere ulteriormente sull'acceleratore del liberismo selvaggio, spacciato, contro ogni evidenza, come l'unica medicina capace di guarire i gravissimi mali sociali che affliggono l'umanità. Di fronte ad affermazioni di questo tipo, qualsiasi persona normale dovrebbe sentirsi presa in giro o dubitare della salute mentale di chi enuncia simili teorie, invece sono la base di pensiero su cui poggia la pratica di governo di tutti i paesi del mondo, il presupposto "scientifico" che guida i rilevamenti statistici del FMI e della Banca Mondiale.

Per verificare quanto detto finora, cioè la superstizione liberista da una parte e il progressivo avanzamento della miseria dall'altra, basta vedere il Rapporto mondiale sulla povertà, consultabile sul sito della BM - worldbank.org - e il sunto che ne viene fatto, con approccio critico, su un altro sito, curato da M. Dinucci - zanichelli.it . In quest'ultimo si legge che:

negli ultimi quarant'anni la differenza di reddito medio (calcolato come prodotto interno lordo pro capite) tra i 20 paesi più ricchi e i 20 paesi più poveri del mondo è raddoppiata/.

Secondo questi dati, oggi ci sono 2.8 miliardi di persone che vivono...

con un reddito sotto la soglia di 2 dollari al giorno. Di queste, 1.2 miliardi - un quinto della popolazione mondiale - si trovano in povertà assoluta (con un reddito sotto la soglia di 1 dollaro al giorno) [...] Secondo altre stime, il numero di coloro che vivono in povertà assoluta si aggira intorno al miliardo e mezzo.

Per essere più precisi - e sempre sulla base di queste informazioni - in alcune regioni (Asia Orientale, Medio Oriente, Nord Africa) si è avuta una riduzione della povertà, ma questo è dovuto, probabilmente, sia allo spostamento di interi settori industriali più o meno "maturi" in quelle regioni - che se ha dato un salario da fame a chi prima non aveva nemmeno quello, contemporaneamente ha contribuito a trascinare verso il basso il salario della forza-lavoro su scala planetaria; sia, dicevamo, alle rimesse degli emigranti, in gran parte provenienti, almeno per quanto riguarda Europa e Giappone, da quelle zone.

Ma di fronte a questo miglioramento (è però credibile che con un salario di 60 dollari al mese si smetta di essere poveri, sia pure in Bangla Desh?), si assiste a una catastrofe proletaria nei paesi dell'ex impero sovietico, documentata anche da un altro rapporto, intitolato "La crisi silenziosa", preparato dal "Fondo per i bambini europei", un'organizzazione non governativa (il Manifesto, 12-10-2000).

Nonostante la diversità nelle valutazioni quantitative, il quadro che ne esce è drammatico: se per Dinucci (che accetta come buono il falso storico del "socialismo" dei paesi dell'Est) il numero dei poveri in quei paesi è aumentato di 20 volte, per il "Fondo" la povertà è invece cresciuta di 13 volte, il che vuol pur sempre dire 168 milioni di poveri dal Danubio a Vladivostok.

I primi a farne le spese sono naturalmente i bambini; ben 50 milioni che ogni giorno devono fare i conti con l'abbandono, la violenza e la fame:

In molte regioni dell'ex Unione Sovietica [...] la fame e la povertà sono ormai a livelli simili a quelli del Sud del mondo.

il Manifesto, cit.

La cosa non stupisce se in Ucraina (in Ucraina, non nel Mali!) i poveri sono più del 60% della popolazione e toccano addirittura l'88% nel Kyrgizstan! Chi credeva che le tristissime fiabe sulle "piccole fiammiferaie" riguardassero un tempo che non sarebbe mai più tornato o la sola disgraziata Africa, deve ricredersi; solo che oggi le "piccole fiammiferaie" "sniffano" colla nella metropolitana di Mosca e sono costrette a prostituirsi con qualche lurido essere dal portafoglio gonfio: il lieto fine, purtroppo, nella quasi totalità dei casi è ancora escluso.

E sia pure con toni meno drammatici, anche il "centro" del capitale non è al riparo dal dilagare della povertà o, come si dice oggi, dell'esclusione. Nel Regno Unito ci sono almeno quattro milioni di bambini...

costretti a vivere in situazioni di indigenza [...] nove milioni e mezzo di persone sono così povere da non potersi permettere il riscaldamento adeguato [...] e otto milioni sono senza frigorifero, telefono e altri generi di prima necessità.

il Manifesto

Questo mentre altri milioni fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena o comprarsi frutta e verdura. Sembra incredibile, invece è una delle tante normali assurdità di un sistema sociale ormai anti-storico, che mentre i ciarlatani della new-economy vantano le meraviglie dell'e-commerce, milioni di proletari britannici sono costretti a vivere senza telefono.

Ma tutto ciò non deve essere addebitato solo alla Tatcher, dato che dalla salita al governo dei laburisti di Blair...

la situazione è peggiorata e il numero delle famiglie povere è aumentato sensibilmente.

Sembrerebbe quasi una recente battuta di pessimo gusto di Berlusconi, che si è scoperto difensore dei socialmente deboli, di chi "è rimasto indietro", strumentalizzando per fini elettoralistici l'analogo aumento della povertà che si è avuto - ovviamente - anche in Italia negli ultimi anni.

In realtà non è il liberismo in sé della Tatcher o di Berlusconi, di Blair o di D'Alema il responsabile di tutto questo: la politica liberista risponde a precise esigenze della presente epoca capitalistica, che qualunque governo deve soddisfare. Dunque, imperniare la lotta semplicemente contro questo o quel governo significa puntare sull'obiettivo sbagliato; occorre liberarci dal mercato - "equo" e non "equo" - dal denaro, dal salario: in una parola, dal capitalismo.

È questo il nodo che il riformismo, anche quello in buona fede, è impossibilitato a sciogliere.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.