Sulla Conferenza Mondiale di Nizza sul Clima

Il fallimento della Conferenza Mondiale sul Clima di Nizza (22-26 nov. 2000) riconferma alcuni dei punti che caratterizzano la posizione marxista e internazionalista.

  • Lo scontro che si è dato fra Usa da una parte e alcuni stati europei dall’altra è un fattore, che va ad accumularsi ad altri, di spinta all’allontanamento fra potenze una volta unite nel fronte Nato, anti-sovietico.
  • La natura dello scontro nella Conferenza di Nizza riconferma, semmai ce ne fosse bisogno, il supremo disinteresse del capitale e dei suoi rappresentanti nei confronti dei danni che lo sviluppo capitalista arreca all’ambiente, di cui l’umanità è parte.
  • I dati drammatici portati anche in sede di Conferenza da autorevoli rappresentanti scientifici, incaricati addirittura dall’Onu, si sintetizzano nella frase del Presidente Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima (Ipcc) istituito dall’Onu, il prof. Robert Watson: “Per stabilizzare il clima terrestre bisognerebbe ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 60 per cento rispetto al livello del 1990”. Invece nel tempo intercorso dalla precedente Conferenza di Kyoto (1988) che varò il famoso Protocollo, le emissioni globali, lungi dallo stabilizzarsi, sono addirittura aumentate. Ciò dimostra che non è nelle facoltà degli stati e dei governi borghesi - indipendentemente dai litigi fra loro - intervenire efficacemente sui fattori principalmente responsabili delle emissioni: trasporti e produzione di energia. Essendo entrambi merci - o complesso di merci - trasporti e produzione di energia obbediscono alla “logica del profitto”, ovvero agli interessi dei capitalisti che ne detengono produzione e distribuzione. Poiché Stati e governi sono gli strumenti del dominio politico della classe capitalista, non ci si può attendere da loro un “cambiamento di logica”.
  • Fintantoché il capitalismo sarà il modo di produzione dominante sul pianeta, il degrado dell’ambiente e i fattori di cambiamento climatico e di conseguenti disastri non potranno che aumentare, nonostante le risibili azioni di tamponamento che i governi, più o meno verdi, possano fare. È infatti per difendere la competitività delle merci americane che gli Usa, brutalmente, si rifiutano di modificare sostanzialmente e in tempi rapidi i loro apparati e meccanismi produttivi e distributivi per diminuire sostanzialmente le loro massive emissioni; ma è per difendere la competitività delle merci europee che gli Stati dell’UE si sono ben guardati dall’operare in casa quel che chiedevano fosse fatto da tutti (in casa di tutti).
  • Di fronte a questa drammatica realtà, socialdemocratici e verdi fiancheggiano i capitalisti nel sostenere che qualcosa si può fare per innestare uno “sviluppo sostenibile” del medesimo capitalismo autore del disastro. Ciò facendo si prestano ad usare l’arma “ecologica” come arma ideologica di un possibile - e da loro auspicato - confronto duro dell’Europa con gli Usa (vedi dichiarazioni di Cohn-Bendit, leader dei Verdi europei). Il neo-nazionalismo europeista si prefigura come la nuova lepre meccanica dietro la quale far correre il proletariato verso la guerra.

Sta solo alla classe operaia, attraverso la sua rivoluzione, fermare il corso al disastro e ristabilire l’equilibrio fra produzione umana e pianeta, perché è solo la produzione in funzione dei bisogni reali dell’uomo (invece che del profitto) a poter essere progettata e organizzata in funzione dell’interesse generale dell’umanità, in controllato equilibrio con l’ambiente.