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Home ›Contro la farsa elettorale - Astenersi dal voto per dire no al capitalismo e ai suoi rappresentanti
È stato più controcorrente del solito, quest'anno, difendere le ragioni del non voto, nonostante il fatto solo apparentemente paradossale che le astensioni di fatto sono forse aumentate. Ci siamo dovuti e ci dobbiamo battere contro i luoghi comuni del "meno peggio", del "voto utile" contro una destra arrogante e banditesca, che in quest'occasione, fondando sulle ragioni della vita civile, esercitavano una forza maggiore del solito.
Diciamo subito, allora, che il punto è proprio questo: i comunisti non possono vedere nella vita civile e nei modi di amministrare lo stato di cose presente una ragione delle proprie azioni e indicazioni politiche. Perché non è sulle forme di gestione dello stato capitalista che possiamo intervenire per favorire il corso all'abbattimento dello stato capitalista medesimo.
È come se avessimo in programma di costruirci una nuova casa sul terreno della vecchia e "intanto" ci preoccupassimo di imbiancare e stuccare questa. Naturalmente non è indifferente che nell'attesa di avere i mezzi per abbattere la vecchia e costruire la nuova casa, si debba subir la pioggia in casa o meno, o le camere siano abitabili o meno.
Ma il problema è: dobbiamo spendere le nostre maggiori risorse per questo o le dobbiamo accumulare per la soluzione radicale dell'abbattimento e ricostruzione?
Ora quel che vuole la borghesia è che i cittadini tutti (proletari, piccolo borghesi e borghesi) mettano "anema e core" nella battaglia elettorale, che impegnino le loro migliori energie di intelligenza e politiche nel decidere chi reggerà l'amministrazione dello Stato. È a questo gioco che noi non stiamo ed è su questo gioco che si misura la coerenza comunista di tante pretese avanguardie. Già, perché non c'è proprio nessuno (né noi siamo in grado di farlo) che utilizzi la sagra borghese delle elezioni per... denunciarla, che si presenti per smascherare le elezioni stesse e per utilizzare il loro meccanismo "pubblicitario" per la propaganda rivoluzionaria.
C'è invece chi ha pensato bene di completare il corso verso il più vieto e vetero riformismo di certi centri sociali, presentandosi a nome di quelli, sotto l'ombrello "radicale" di Rifondazione.
Siamo al colmo: una pretesa copertura di sinistra alla bufala fatta partito, di Rifondazione comunista. Siamo troppo cattivi? Vediamo.
Se il problema, come tutti dicono era ed è di fermare le destre, di fermare Berlusconi e la sua impresentabile ma multicolore banda di bigotti, di ex-picchiatori fascisti, di neo picchiatori xenofobi, di tanto biechi quanto ignoranti affaristi e di professionisti liberi quanto lo sono i mercenari - allora il voto utile è quello all'Ulivo, punto e basta, allora RC doveva far parte della coalizione (insieme ai cossuttiani) e non "correre" indipendente. Se il problema invece, per RC, non è quello, allora bisogna che chiarisca qual è e da che parte sta, perché ora non è chiaro e volendo stare da più parti si finisce con lo stare da nessuna parte, nel limbo politico.
Stare con i lavoratori contro il capitale, significherebbe riprendere esplicitamente il conflitto di classe contro classe, riprendere certe tematiche che RC ha invece abbandonato. E le ha abbandonate perché in bocca sua sarebbero di impresentabile intonazione stalinista e perché (ad onta delle pretese di rifondare) non ha mai avuto la forza di criticare sostanzialmente il passato stalinista.
Invece RC si fa portavoce politico di tutto un po': lavoratori e pensionati, popolo riformista di Seattle, centri sociali di terzo settore e no, società civile più o meno radicale (non è allora solo dovuto al Leoncavallo e al suo "corso" la candidatura a Milano di Daniele Farina).
Non serve all'arginatura elettorale contro le truppe berluscate della becera destra, non serve alla ricostruzione della forza politica di classe. Solo il neoriformismo del "Le Monde Diplomatique" e del Forum di Porto Alegre trova in Rifondazione comunista la propria sponda politica.
Scriviamo prima delle elezioni stesse e non facciamo scommesse. Per quanto riguarda la sostanza che può interessare i lavoratori (pensioni, servizi, rapporti industriali), la differenza fra i due poli è solo, ammesso che ci sia, nelle forme in cui le relative politiche verranno presentate e nei tempi della loro realizzazione. Ammesso che esista un qualche marginalissimo interesse "civile" a non ritrovarsi al governo figuri del tipo oggi circolante a destra, resta il fatto che la sostanza non cambia. E resta da valutare il quadro dello scontro.
Ora, la guerra dichiarata dal capitale europeo e dalla destra storica all'ipotesi di un Berlusconi alla presidenza del Consiglio non mancherà di avere conseguenze sui risultati, anche se non determinanti. Ci riferiamo tanto alle prese di posizioni di destri storici come un Montanelli, come ai servizi dell'Economist, New York Time, ecc..
Non pensiamo che la preoccupazione sia davvero Berlusconi alla Presidenza del Consiglio: in fondo sta ancora al Presidente della Repubblica incaricare il Presidente del Consiglio - anche se tutti fanno finta di dimenticarlo - e non è detto che Ciampi debba accettare le pretese decisioni del Polo secondo cui il "leader" sarebbe anche presidente del Consiglio dei ministri. La preoccupazione vera è che la disponibilità politica, comunque, del governo avvantaggi più del "lecito" un bandito in guerra con gli altri banditi. La preoccupazione cioè è proprio che la attuale destra italiana, quella accozzaglia di impresentabili che sta nel Polo, riesca a stare unita solo compattandosi attorno al magnate che rimarrebbe dunque arbitro del governo, anche nel caso di una leadership nominalmente diversa.
L'Economist può far finta di scandalizzarsi per le dubbie origini delle fortune del Berlusconi, ma non incanta nessuno. Esso è l'organo dei pirati finanziari che hanno da sempre il motto tanto antico quanto internazionale "pecunia non olet". No il punto non sta nel fatto che gli affari del Berlusconi siano tutti puliti o meno, ma nel fatto che quei messeri non vogliono che nella guerra economica fra loro venga usata l'arma politica potente di un governo al servizio di uno di loro. Un conto è che i governi nazionali difendano istituzionalmente i rispettivi capitalisti e capitali - e non è privo di significato il fatto che anche i governi nazionali siano destinati a "riassumersi" nel governo europeo - altro conto è che un governo nazionale giunga a difendere un singolo capitalista.
Questo è il pericolo paventato da tutti quelli... non dell'Ulivo. Si perché i destri storici, i borghesi dichiarati che si distanziano dall'infido tycoon usano molta minor delicatezza nel trattare dei pericoli che egli comporta, di quella usata dagli antagonisti del centrosinistra.
In questo quadro qualcuno ha ancora il coraggio di sostenere che bisogna votare? Qualcuno ha ancora il coraggio, dicendosi magari comunista, di chiamare i lavoratori a ubbidire agli ordini... dell'Economist?
Che poi non votare non basti a segnare una ripresa di classe, è scontato. Non segna, ma può aiutare.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2001
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