Dopo l'omicidio D'Antona quello di Biagi contro la ripresa della lotta di classe

Ancora una volta il cronometro della provocazione ha scandito i tempi e i modi del confronto sociale. Ancora una volta i voli degli avvoltoi si stringono attorno ad un cadavere poco eccellente ma sufficientemente importante da scatenare le solite, odiose, strumentalizzazioni. Il Governo inveisce contro la “sinistra” rea di evocare, con il suo comportamento, lo spauracchio del terrorismo, la “sinistra” in veste sindacale, lamenta di essere sempre stata la vittima principale del terrorismo.

Successo il fattaccio, come recita un vecchio e ormai obsoleto copione, ma evidentemente sempre riproponibile perché efficace o semplicemente o perché si difetta di fantasia, si scatena il gioco delle parti. Non pochi, e tra questi noi, aspettavano che qualcosa succedesse prima della manifestazione di Roma e dopo quanto si andava creando in termini di lotta contro il Governo anche se soltanto su di un terreno d' indignazione morale e di mobilitazione sindacale contro l’abolizione dell’articolo 18 e le sue nefaste conseguenze. Le lotte e le mobilitazioni latitavano da anni, da quando cioè i vari Governi di centro sinistra erano riusciti a far passare di tutto contro la forza lavoro senza riempire le piazze di manifestati. Questo era il loro compito e a questo sono egregiamente serviti. Lo stesso compito deve ora essere ultimato dal Governo di centro destra ma le piazze ribollono, la gestione sociale diventa più difficile e l’atto terroristico giunge puntuale a calmierare la situazione, da qualunque parte provenga, e chiunque ne sia direttamente o indirettamente il responsabile. Le coincidenze cronologiche e di ambiente politico sono così legate da rapporti di causa ed effetto da non poter essere considerate accidentali nemmeno da chi vive con i piedi su Marte e la testa nella Luna.

Che in circolazione ci siano personaggi politici che confondono il terrorismo con la lotta di classe, che concepiscono “l’atto esemplare” come innesco delle lotte nel più ottuso e idealistico dei progetti politici, è possibile. Ma è anche verosimile, ammesso che le cose stiano in questi termini, che i Servizi Segreti “deviati” (quando mai, hanno sempre fatto il loro sporco lavoro al meglio e al servizio del potere politico di turno) abbiano chiuso non uno ma cento occhi. Marco Biagi era nel mirino delle presunte Br da almeno un paio di anni, aveva ricevuto recentemente minacce di morte, le informative del caso erano giunte agli organi di Governo competenti, nulla è stato fatto se non prendere la decisione di togliergli la scorta.

Non sta certamente a noi commentare le decisioni prese e le ragioni che le sottendono, non c'interessa nemmeno spendere due parole in più rispetto alla presunta o reale rinascita delle Br e di quell’arcipelago terroristico figlio dello stalinismo e della storica sconfitta proletaria nazionale e internazionale, illusa dalle sirene del falso comunismo e, dopo il suo crollo, gettata nelle mani di un imbelle riformismo, sia nella conservatrice versione di D’Alema e soci, sia in quella impraticabile del radicalismo no global. Ma una cosa è certa, l’anomalia dell’uccisione di Biagi.

La prima anomalia consiste nel fatto che l’atto di uccisione di un collaboratore del Governo (Biagi) che lavorava sulla ridefinizione dei rapporti tra capitale e forza lavoro, non avviene quando è in atto un accordo tra le parti (Governo e opposizione) ma, al contrario quando il conflitto è aperto. Non succedeva come all’interno del Governo D’Alema (D’Antona) quando le riforme contro i lavoratori trovavano consenziente il Sindacato, il conflitto tra le parti non c’era e l’accordo regnava sulla pelle dei lavoratori.

In entrambi gli omicidi, rivendicazioni a parte che possono essere considerate valide o scartate a seconda delle scelte politiche di chi le esamina, si sono incolpate le Br senza prove e senza aver mai arrestato gli imputati. L’arma, ammesso che sia la stessa, non è una prova per sapere chi l’ha impugnata.

La seconda è che, nonostante le informative dei Servizi Segreti, apparsi sull’ultimo numero di Panorama, in cui si identificano i possibili obiettivi delle Br (sindacalisti e collaboratori di settori politici riguardanti le riforme nel campo della flessibilità del lavoro), emerge a tutto tondo la figura di Marco Biagi. Prima di questo evento aveva la scorta, dopo le reiterate minacce di morte ricevute gliela hanno tolta. Il Ministro degli Interni Scajola ha scaricato la responsabilità sul prefetto, il quale, a sua volta, ha detto di aver rispettato gli ordini provenienti dal Ministero. Il capo dei Servizi De Gennaro si è giustificato dicendo che le scorte non servono a risolvere il problema del terrorismo, per ciò sono inutili. È stato immediatamente smentito dallo stesso Bossi che ha perentoriamente richiesto una scorta per sé e per tutti i suoi collaboratori. In più De Gennaro nella infantile giustificazione della mancata scorta a Biagi, sostiene che tutte le minacce di cui è stato oggetto, non apparivano in stile Br e quindi non attendibili. I casi sono due: o le minacce non appartenevano delle Br e quindi non sono state loro, e per di più cadrebbe lo stesso legame con l’omicidio D’Antona. Oppure se sono state loro c’è la grave responsabilità politica dei Servizi che va ben oltre la mancata analisi della situazione, per configurarsi come una voluta e studiata negligenza nei confronti di un collaboratore dello stato nell’esercizio delle sue funzioni, che proprio per questo, prima è stato lungamente minacciato e poi ucciso. Se così fosse la confezione e l’esecuzione dell’omicidio avrebbero più mani, quelle rozze del terrorismo nella seconda fase, quelle più affusolate, da scrivania, nella prima.

Mani a parte la situazione è grave. È grave che continui l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato. È ancora più grave che nel momento in cui qualcosa si muove nella direzione contraria la bomba, l’attentato o il morto come in questo caso, puntualmente si presentino. È gravissimo che una possibile ripresa della lotta di classe venga soffocata sul nascere da terrorismi che se fossero veri farebbero solo del male al già martoriato proletariato, e che se fossero inventati o guidati, al danno aggiungerebbero la beffa.

I percorsi della ripresa della lotta di classe devono partire da lontano, dai luoghi di lavoro, dalla coscienza di essere degli sfruttati e quindi antagonisti al capitale, alle sue leggi economiche e alle sue necessità di sopravvivenza concorrenziale. Deve riempire le piazze contro l’imbelle riformismo della “sinistra” ufficiale che tutto ciò ha avallato e giustificato. Deve guardarsi dalle sirene del radical riformismo che pretende di ottenere dal capitalismo comportamenti che non gli sono propri, illudendola che sia possibile riformare la società capitalistica senza intaccare i rapporti di produzione capitalistici. Deve crescere nella prospettiva di dare un' alternativa ad un mondo che le offre soltanto incertezze economiche e sociali. Le uniche certezze sono il maggior sfruttamento, la precarietà del lavoro ed in prospettiva maggiore miseria e minore sicurezza sociale. Ma in questo percorso deve anche guardarsi da tutti quegli ostacoli che l’avversario di classe metterà in campo ogni volta che oserà alzare la testa, anche se solo per rivendicare un minimo miglioramento o per resistere ad una palese ingiustizia. Questo di Biagi ne è uno, due con quello di D’Antona, ma non saranno gli unici né i più gravi. Più si estenderà l’opposizione, più dovesse crescere una vera lotta di classe forte e determinata e più saremo costretti a vederne delle belle, ancora una volta l’immaginazione è destinata ad essere superata dalla realtà.