Il debito colombiano: una manifestazione della crisi internazionale

Socializzazione del debito

Negli ultimi dieci anni, il governo colombiano ha triplicato il debito senza che ciò abbia significato la modernizzazione dell'infrastruttura e il benché minimo miglioramento del livello generale di vita della popolazione.

Nell'assemblea del Banco Americano de Desarrollo (Banca Americana per lo Sviluppo-BID) tenuta nella seconda settimana del mese di marzo, è emerso che il reddito pro capite in Colombia è aumentato meno del 5% nei dieci anni precedenti, mentre in Argentina, Costa Rica, Brasile e Bolivia è aumentato tra il 17 e il 27% (1).

La popolazione e il suo lavoro, debitamente pignorati dalle banche, sono stati messi come garanzia. Nell'economia capitalista, il magnate e il suo stato impongono a ciascun membro della società la quota della sua propria infamia: senza aver mai contratto un prestito e perfino avendo pagato per intero le loro obbligazioni, tutti gli abitanti del paese - dal neonato, passando per l'indigente che nemmeno conosce un biglietto da 10.000 pesos e l'austero padre di famiglia che mai si è indebitato, fino all'intermediario finanziario che ha avuto decine di milioni di dollari in trasferimenti dello stato - devono al sistema bancario internazionale migliaia di dollari con i relativi interessi.

Chi dovrà coprire il debito con le sue carni non è l'irrisorio 2% della popolazione, l'unico concreto e diretto beneficiario del debito, ma il 76% che non conosce altro che il supersfruttamento, il piombo dello stato, la disoccupazione e la spietata usura del banchiere e del commerciante. Senza aver mai conosciuto i benefici e i servizi promessi quando i governanti contrassero il debito, senza aver mai calpestato le vie di Parigi, New York, Tokyo, Madrid o Londra, ogni abitante di questo paese è un debitore.

Mentre i benefici della prosperità fondata sul debito li godono in pochissimi, i sacrifici del debito - e della guerra, che oggi si estende sopra questo martirizzato territorio - si impongono a tutta la società. (2)

In questo contesto, la sinistra opera come l'alternativa ragionevole alla fallita amministrazione neoliberista e al FMI-BM. Per inerzia, i suoi funzionari attuali si limitano ogni volta a spiegare all'avara borghesia i paradossi della sua attuale situazione: sebbene per praticare una politica economica e sociale sia necessario l'equilibrio fiscale, la ricerca dell'equilibrio fiscale sulla base di drastici tagli della spesa e dell'aumento delle entrate, escludendo del tutto la moratoria del debito e l'uso di una frazione del capitolo di spesa per stimolare la domanda aggregata e la crescita, è un'utopia. Per la sinistra, il capitalismo non è solo economia, ma politica: le misure del governo non devono avere come obiettivo solo una moneta sana e l'equilibrio fiscale, ma anche la crescita e l'occupazione. La sinistra si è sgolata in favore di una soluzione keynesiana della crisi, consistente nell'incrementare la domanda aggregata e ad assegnare al risparmio e all'investimento il ruolo fondamentale di motori della crescita. La sua formula consiste nell'iniettare risorse straordinarie attraverso i normali meccanismi dell'investimento pubblico e privato in settori che una hanno grande capacità di generare occupazione produttiva, senza eccessi che possano contribuire a esacerbare le pressioni inflazionistiche. Agitando lo spettro della rivoluzione, la sinistra minaccia l'ortodossia del capitalismo con l'anarchia, se non si ascoltano le sue tesi per contenerla.

Debito e politica sociale

I componenti del debito dovrebbero essere chiamati i crediti della pauperizzazione. Quando il governo porta a buon fine la socializzazione del debito, si ripetono le ricette del FMI, le quali consistono nel raggiungere la stabilizzazione con cure da cavallo dal punto di vista fiscale e da quello delle riforme strutturali seguenti (3). Ciò significa approfondire la liberalizzazione del commercio, la deregolamentazione del settore bancario, la privatizzazione delle imprese statali, la riduzione delle imposte sui capitali, ecc., e aumenti dei gravami sui salari e sul consumo.

In aggiunta a tutto questo, si propone la riforma delle pensioni [in un paese che non conosce l'invecchiamento demografico o, almeno, non come in Italia - ndr], l'aumento delle trattenute nel sistema di sicurezza sociale e un nuovo ordinamento dei servizi pubblici - acqua, gas, elettricità, ecc. - che garantisca a questi ultimi profitti monopolistici. Nel complesso, tutte queste misure si inscrivono nella struttura oligopolista del capitale a livello locale e nella subordinazione dei processi economici ai meccanismi del capitalismo "finanziarizzato" a scala planetaria. La direzione della politica economica del capitale mostra chiaramente che le amministrazioni nazionali non si propongono di mantenere una domanda adeguata per utilizzare al meglio le capacità dell'economia e orientarla verso gli obiettivi del "pieno impiego", ma di garantire il rendimento speculativo del capitale. Le sue ripercussioni sono visibili e sono presenti in tutte il rapporti delle istituzioni economiche: perdita del potere d'acquisto del salario, rincaro e riduzione dei servizi pubblici e crescita della percentuale di miseria assoluta.

L'economia colombiana tende a cadere sempre di più, gli indici della disoccupazione, 20,4%, e della sottoccupazione, 31%, tendono a salire, l'industria delle costruzioni è a terra e gli indicatori fondamentali del consumo segnalano una profonda depressione del mercato interno. Molti interpretano l'attuale situazione dell'economia come conseguenza della scarsa liquidità, che si presume originata da una spesa privata insufficiente per utilizzare le capacità produttive disponibili e dimenticano il motivo profondo per il quale le persone e le imprese sono restie ad aumentare le spese, indipendentemente dalle quantità di denaro in loro possesso e nonostante le politiche monetarie convenzionali che, come sta avvenendo in Colombia, pur registrando aumenti annuali fino del 35% dei mezzi di pagamento, non sortiscono alcun effetto stimolante.

Altri analisti borghesi ammettono che la recessione non obbedisce a fattori fortuiti, però negano la sua internazionalità, mantenendo l'anacronistica distinzione tra "crisi interna" e "crisi esterna", il che è lungi dal rappresentare concettualmente l'attuale struttura del capitalismo. Ne attribuiscono la causa proprio ai suoi effetti: alla riduzione della domanda aggregata, che determinò la politica degli alti tassi di interesse, rivista in ritardo; alle imposte indirette; alla fissazione dei salari al di sotto degli ipotetici indici di inflazione; alla diminuzione della spesa pubblica in generale e, in particolare, dell'investimento sociale, tutto questo col fine di ridurre drasticamente e a breve termine il deficit fiscale.

Non vedono questa combinazione di fenomeni - tutti esogeni, in quanto sono riferiti esclusivamente al campo del puro consumo (domanda effettiva) o alla politica del governo - come parte della finanziarizzazione dell'economia. La ragione ultima di questi fenomeni e di queste misure sta nella crisi del ciclo di accumulazione del capitale a scala mondiale all'interno del circuito internazionale della riproduzione.

Tuttavia, le prospettive del rischio creditizio per il paese sono qualificate come "negative" (4). Nonostante l'avallo del FMI, le capacità di pagamento dell'economia e dello stato sono in dubbio. Considerando che il valore del deficit di bilancio rispetto al Pil prospettato dal governo per questo anno è del 4,6%, per molti risulta allarmante che il ritmo di crescita del debito sia considerevolmente superiore al ritmo di crescita dell'economia. Secondo una nota informativa del parlamento "il rapporto tra il debito del governo centrale e il PIL aumentò del 212% tra il 1994 e il 1999. Nel 2001, il debito interno è cresciuto del 13% in termini reali. A sua volta, il debito estero è aumentato del 18% in termini reali, vale a dire, a un ritmo 12 volte superiore a quello del PIL". Questo ritmo di indebitamento è insostenibile. Una cifra che cresce del 18% si duplica in quattro anni. Se questa dinamica si manterrà, il debito estero sarà ingestibile a breve termine, finirà per portare a un collasso finanziario. In merito al calcolo del debito lordo del governo - includendo anche quello dei dipartimenti - ci sono discrepanze tra gli organismi di controllo governativi. Mentre il cosiddetto Consiglio di Politica Fiscale (Confis) dice che arriva al 58% del PIL, 110 miliardi di pesos, il Controllore Generale della Repubblica (CGR, n.d.r.) segnala che ascende al 68% del PIL.

Il vertiginoso aumento del debito negli ultimi anni, destinato in buona parte a coprire spese correnti, ha portato a paragonare la congiuntura fiscale della Colombia a quella dell'Argentina, sebbene il valore del debito pubblico rispetto al PIL di questo paese arrivasse alla fine del 2001 al 46%, molto inferiore a quello della Colombia. Infatti, nonostante ci sia stata una correzione, gli indicatori del debito pubblico continuano a mostrare una tendenza alla crescita. La questione essenziale è che lo stato ricorre a nuovi crediti - vale a dire, a più debiti - per pagare il debito; in tal modo, la dinamica generata dai bisogni del governo fa sì che il peso del debito sia ogni volta più gravoso per il governo medesimo. Per esempio, quest'anno il governo deve ottenere 300 milioni di dollari in buoni del tesoro per completare il finanziamento estero e al riguardo il ministero delle Finanze sta anticipando le operazioni per contrattare un credito vincolato per 250 milioni di dollari.

Il background di questa situazione va ricercato negli squilibri di bilancio e della bilancia dei pagamenti, oltre che nell'accumulato storico del 5% sopra il PIL. Inoltre, l'aumento del debito implica che i pagamenti per gli interessi aumentino a un ritmo maggiore di quelli per il loro ammortamento, accentuando le difficoltà a medio termine e ipotecando la maggior parte delle risorse. Secondo Mauro Leos dell'agenzia nord americana di accertamento del rischio Moody's, nell'intervista concessa alla rivista El Tiempo del 7 aprile 2002, la Colombia "ha il debito relativo e i servizi del debito più alti".

Uno studio del CGR indica che la Colombia si è trasformata negli ultimi due anni in esportatrice netta di capitali, vale a dire, le risorse che il paese riceve come versamenti di nuovi prestiti sono inferiori di 300 milioni di dollari ai pagamenti degli interessi e degli ammortamenti. Quest'anno, per esempio, la nazione girerà ai creditori esteri 2.864 milioni di dollari e si prevedono entrate del debito per una cifra simile. "Quest'anno il governo riceverà dai creditori esteri risorse di finanziamento per un ammontare uguale ai pagamenti degli interessi e ammortamenti. Per questo non ci sarà monetizzazione dei crediti esteri", secondo la dichiarazione del direttore di Credito Pubblico del Ministero delle Finanze.

Però non è solo il debito esterno la causa del tormento, ma anche quello interno. Il governo deve alle banche, per mezzo dei cosiddetti Titoli di Tesoreria (TES), la bella somma di 61 miliardi di peso in debito lordo. Una prova lampante delle ristrettezze in cui si trova lo stato per onorare i suoi creditori è il piano di ricontrattazione del debito, che consiste nello scambiare titoli prossimi alla scadenza con altri a termine molto più lungo.

In questo modo riuscì a differire il pagamento di 500 milioni di dollari agli investitori nazionali. La stessa cosa si apprestava a fare con quelli esteri, ma gli attentati dell'11 settembre a New York fecero venire meno questa alternativa per il ministro delle Finanze. (5)

Il rischio è così angosciante che il Confis ammette che lo stato cerca affannosamente denaro in prestito con l'unico obiettivo di pagare i debiti in scadenza. Il CGR e altri enti privati e pubblici di analisi avvertono che la situazione è insostenibile. Quest'anno il governo dovrà pagare per ammortamenti di capitale e interessi del debito pubblico interno ed estero 23 miliardi di pesos. Il che significa sborsare 1,9 miliardi di pesos al mese.

Alle porte del crollo finanziario

Il Confis sostiene che per evitare di cacciarsi in una situazione di moratoria, simile a quella che ha colpito l'Argentina, col rischio che si chiudano tutte le porte del sistema bancario internazionale, è necessario evitare che il debito si avvicini a livelli pericolosi. Secondo il Confis:

le finanze nazionali devono cominciare a raggiungere un'eccedenza di bilancio tra l'1% e il 3,5% del PIL a partire dal prossimo anno. E l'economia deve crescere del 4,5% in termini reali. (6)

Ma la "crescita" economica dell'1,5% del PIL registrata l'anno scorso è anemica. Per avere prospettive in termini capitalisti è indispensabile che un paese incrementi la sua produzione totale a un ritmo almeno superiore a quello della crescita demografica. Quando il prodotto cresce a un tasso inferiore a quello della popolazione, com'è successo nel 2001, si registra una caduta del PIL pro capite, il che è un eufemismo tecnico per dire pauperizzazione.

Il grande problema è che, data la situazione attuale, lo stato può contribuire molto poco per modificare questa dinamica: né in termini di bilancio né in termini di crescita del PIL. A causa dell'enormità delle partite per ammortamenti e interessi assegnate al Bilancio e al severo controllo della spesa, l'investimento dello stato è notevolmente declinato. Quest'anno, le partite per investimento del Bilancio Generale della Nazione (7) arrivano appena ai 9,9 miliardi di pesos di fronte ai 23 destinati a coprire il debito. Da questi 9,9 miliardi, ci si prepara a ritagliare almeno 2 miliardi per le spese militari. Al primo segnale di aumento della spesa indotto dalla guerra e al conseguente deficit, gli investitori e i mercati reagirono speculando sui titoli del debito pubblico all'interno - i tassi di interesse dei TES salirono di 170 punti (1,7 in percentuale) - e i buoni del tesoro del paese (che scadono nel 2012) cominciarono, all'estero, a negoziarsi al 92% o anche meno del loro valore nominale. Questo ha significato una perdita tra gli 85 e i 90.000 dollari per ogni milione investito.

Dando per scontato l'aumento del premio del rischio paese, gli investitori esteri cominciarono a vendere le loro posizioni in titoli colombiani. Solo una settimana dopo la dichiarazione di guerra del governo tali titoli subirono una perdita del 4%. D'altra parte, la pressione del debito obbliga il governo ad adottare misure controproducenti per sanare il deficit. Nel suo intento di rallentare la crescita del debito, il principale meccanismo di salvezza che rimane al governo consiste nell'aumentare le tariffe dei servizi pubblici, ma tale aumento, a sua volta, ostacola la vagheggiata crescita dell'economia e abbassa la competitività.

Rispetto a questo si propongono varie iniziative: nuove emissioni di "buoni di guerra", l'appello alla figura costituzionale della "emergenza economica e sociale" che permetterebbe al governo di ricorrere al credito della Banca di Emissione (operazione attualmente proibita dalla costituzione) o, seguendo le raccomandazioni del FMI, ottenere dal Congresso le risorse straordinarie di cui necessita al fine di evitare misure di emergenza che potrebbero pregiudicare l'aggiustamento fiscale.

Nel settore dei servizi pubblici si dà corso, a sua volta, a un sistema di tariffe che permette alle imprese di effettuare aumenti superiori all'indice di inflazione. Si tratta di un sistema che di fatto costringe i settori sociali più bassi a subire il peso maggiore del costo del servizio, senza considerare che costoro destinano una proporzione più alta dei loro redditi al pagamento di tali servizi. Questa è una delle ragioni per cui l'indice dei prezzi di questi strati sociali aumenta più che quello degli strati alti. Con questa politica si vuole diminuire ancora di più i "redditi" da lavoro rispetto al capitale e ottenere un profitto monopolistico a spese della creazione di ricchezza reale.

Nel mese di marzo la cosiddetta Commissione di Regolazione di Energia (CREG) avanzò la proposta di fissare tariffe energetiche secondo la redditività delle imprese tra il 12% e il 14%. È risaputo che la costituzione di queste imprese comporta una composizione organica di capitale estremamente elevata, che si traduce in una minore redditività fisica. In circostanze normali, non sono in condizione di operare con i tassi di redditività delle imprese industriali e commerciali.

Di fatto, i livelli di redditività indicati dalla CREG possono ottenersi solo mediante procedimenti monopolistici orientati a collocare i prezzi a livelli esorbitanti e ottenere grandi guadagni speculativi. Il miglior esempio di quanto detto ora è dato da Codensa. La redditività attuale di questa impresa gravita tra il 2 e il 3%. L'esigenza dei suoi gestori è che per continuare a operare nel paese le devono essere garantiti tassi superiori. Non c'è niente di sorprendente nel fatto che i piani per migliorare i suoi bilanci non sono orientati a elevare la produttività né a ridurre i costi, ma a diminuire il capitale dell'impresa a 1,2 miliardi di pesos. L'altra parte della soluzione viene dal governo medesimo che ha annunciato un aumento delle tariffe energetiche del 25%. In ambo i casi si tratta di meccanismi artificiali che elevano la redditività del capitale delle imprese a spese della discesa generale del salario operaio, mediante l'aumento delle tariffe al di sopra dell'indice di inflazione e della valutazione del mercato e sostituendo il capitale con crediti contrattati a tassi di interesse inferiori alla redditività fissata dalla CREG.

Di fatto, le imprese vengono messe in condizione di ottenere grandi margini di profitto con un capitale ridotto. Questa pratica implica un alto costo per l'economia nel suo complesso e per la popolazione salariata: gli aumenti delle tariffe oltre l'indice di inflazione vogliono dire riduzioni del salario reale. (9) Per altro, la decapitalizzazione delle imprese per restituire capitali alle case madri determina una caduta del risparmio interno: i capitali ritirati sono sostituiti da credito interno o estero che potrebbe essere utilizzato per altri fini.

Le principali politiche del governo per affrontare il debito si applicano al deficit di bilancio. A questo riguardo, le soluzioni trovate si riassumono nell'adozione di misure che riducono la spesa e in misure che generano nuove entrate. Il problema dello stato colombiano è che sebbene sia riuscito ad aumentare le entrate con le riforme tributarie (accrescendone la riscossione di oltre due punti del PIL), allo stesso tempo ha aumentato pure le spese.

Per quanto il ritmo di crescita annuale di acquisizione del debito pubblico sia stato ridotto negli ultimi due anni dal 26 al 7%, l'aumento delle obbligazioni con i creditori internazionali è progredito geometricamente. È tanto grande che le rimesse per il pagamento delle quote di ammortamento del debito pubblico e degli interessi registrarono un salto da 528 milioni nel 1990 a 1,5 miliardi di pesos nel 1993; in seguito raggiunse i 7,1 miliardi di pesos nel 1997 e si duplicò a 15,3 miliardi di pesos nel 2000. Quest'anno balzerà a 23 miliardi di pesos. D'altro lato, ma niente affatto per ultimo, la recessione economica ostacola seriamente i nuovi progetti di aggiustamento fiscale del governo. Qualunque aggiustamento implica necessariamente un saldo sociale negativo. Con il decremento del PIL nel 1999 prossimo al 7% e il basso incremento degli ultimi due anni, il quadro globale si complica sempre di più per lo stato colombiano.

La generalizzazione della guerra interna e il conseguente aumento della spesa militare (10) - la quale oggi assorbe poco più del 30% dei finanziamenti destinati al funzionamento statale - pongono rischi e problemi aggiuntivi dal punto di vista creditizio. Per ora si sa che il governo ha bisogno di un miliardo di dollari in più per sostenere la spesa militare (11). L'altro fattore è rappresentato dall'enorme corruzione, il cui costo, secondo un recente rapporto della Banca Mondiale, è superiore alle distruzioni della guerra in termini di impatto sull'economia: mentre la distruzione bellica ascende al 4% del PIL, la corruzione raggiunge il 7,9%, denaro che nella maggior parte fugge all'estero attraverso canali di drenaggio clandestini (12).

Non si può nemmeno tralasciare l'influenza del calo delle esportazioni sulla dinamica del debito a partire dalla cosiddetta "apertura economica". Primo, la "apertura" - a causa di un'industria gravemente anchilosata da oltre 30 anni di "economia da serra", cioè altamente protetta, dominata dagli oligopoli che sfruttavano il mercato come fosse una riserva di pesca privata - si manifestò in un deficit strutturale della bilancia dei pagamenti e, secondo, si finanziò con tassi di interesse superiori alla crescita del PIL. Entrambi i fattori determinarono un innalzamento del debito rispetto al PIL, che si può contenere solamente con politiche recessive che fanno precipitare le importazioni.

Il circolo vizioso è, dunque, chiaro: l'ingresso massiccio di capitali sperato dopo la "apertura" si convertì semplicemente in uno scambio nominale di proprietà con scarsa innovazione tecnologica - data la presenza di garanzie monopolistiche e l'interesse per un rapido rientro dei capitale investiti - e condusse al rafforzamento della centralizzazione del capitale e alla eliminazione dei settori industriali e agricoli considerati eccedenti nel mercato mondiale o che producevano beni a un costo superiore a quelli che si possono trovare nello stesso. Integrate in un circuito internazionale nel quale i processi del capitale finanziario generano movimenti incontrollati a scala planetaria, le economie divennero più fragili e rimasero esposte a ricorrenti recessioni e a severe crisi cambiarie e finanziarie.

Infatti, con la "apertura" si ebbero massicce importazioni al di sopra delle esportazioni e la differenza fu coperta con crediti esteri a tassi di interesse superiori al 10%. Ogni anno era necessario ottenere un finanziamento per coprire le eccedenze delle importazioni e i precedenti interessi. All'origine del disastro dei conti dello stato c'è anche l'incremento del debito interno che poggia sulle risorse captate sul mercato dei capitali a tassi di interesse del 36 e 37%. E siccome il tasso di interesse superava la crescita del prodotto, il saldo tra il debito e il PIL aumentò sistematicamente. Sebbene si cercasse di correggere lo squilibrio estero tra le importazioni e le esportazioni con il corso del cambio in accordo coi diktat del mercato, nessun meccanismo risultò efficace. E sebbene la Colombia non fosse agli stessi livelli dell'Argentina (13), in nessuno dei due casi l'aggiustamento fu sufficiente per compensare lo sfoltimento tariffario ed equilibrare la bilancia dei pagamenti. Attualmente entrambi i paesi registrano un deficit nei conti correnti della bilancia dei pagamenti all'incirca del 3% del PIL, il che implica un grande aumento del debito.

Alcuni analisti borghesi di scuola keynesiana hanno richiamato l'attenzione sugli errori della politica economica del governo e particolarmente per quanto riguarda la manovra sui cambi. Il comportamento del corso dei cambi in Colombia - tendenze rivalutazioniste relative all'abbondanza di divise - non è coerente con nessun dato reale. Considerando che le importazioni eccedono le esportazioni e le erogazioni a titolo di interesse del debito estero superano i tre miliardi di dollari...

l'abbondanza di divise può solo giustificarsi per l'azione del governo orientata a trarre capitali al di sopra delle necessità di esborso, sia per coprire il deficit fiscale sia per blindare l'economia. (14)

Il mantenimento di tassi flessibili genera movimenti economici distorsivi. Uno di questi è che l'ampliamento del deficit si manifesta con la rivalutazione e il rialzo del tasso di interesse.

Come si legge nei manuali scolastici, in queste circostanze l'espansione si consegue attraverso la contrazione del settore estero, vale a dire, attraverso la riduzione delle esportazioni e l'aumento delle importazioni. (15)

Sebbene frequentemente si rimproveri agli amministratori dello stato di non riconoscere questa realtà, si trascura il fatto che essi, allo stesso modo degli agenti economici, semplicemente reagiscono meccanicamente a movimenti e forze che stanno fuori del loro controllo. Per quanto riguarda il deficit, essi sono impegnati a frenare il processo occupandosi della cosiddetta "blindatura" dell'economia con la contrazione anticipata dei crediti esteri. Com'era logico che fosse, l'entrata eccessiva di divise accelerò la rivalutazione, provocando l'effetto opposto: infatti la contrattazione massiccia del debito estero portò con sé la rivalutazione, frustrando le esportazioni (16).

Un altro aspetto del processo cieco e incosciente dell'economia si riflette nell'impotenza delle prescrizioni dei tecnocrati. Nonostante la riduzione periodica dei tassi di interesse (tasso di sconto) da parte della banca centrale - teoricamente volta ad apportare liquidità all'economia - il credito continua a ristagnare. Mentre nel 1998 il portafoglio del sistema finanziario era di 56 miliardi di pesos, oggi è di 46,2 miliardi (vale a dire, un meno 17%). Oltre allo stato recessivo, ciò indica che la rivalutazione del corso del cambio suscita tra gli agenti economici aspettative di future svalutazioni, per cui sono stimolati a mettere in movimento i risparmi in investimenti esteri per trarre vantaggio dalla svalutazione annunciata.

Tuttavia, il professor Sarmiento e i suoi seguaci della sinistra si sbagliano quando sostengono che questi "errori" potrebbero correggersi dentro un sistema di cambio fisso variabile. Questo risultato sarebbe stato possibile nelle condizioni precedenti l'attuale mondializzazione-liberalizzazione dell'economia, allorché i governi potevano tracciare in modo relativamente indipendente gli indirizzi di politica macroeconomica. In quel mentre, di fronte a situazioni di emergenza e di crisi e avendo l'obiettivo di conseguire l'aggiustamento di bilancio, lo stato non poteva rinunciare alle possibilità di ottenere credito dalla Banca Emittente a basso costo e a lungo termine. Gli effetti espansivi dei crediti del BanRep [La Banca centrale - ndr] erano - come si verificò durante la crisi finanziaria alla metà degli anni 1980 - perfettamente compensabili e gestibili attraverso l'applicazione degli strumenti monetari e cambiari per evitare l'esplosione dell'inflazione. Allora, il deficit fiscale poteva operare come un fattore di stimolo economico senza ripercuotersi in maniera significativa sul corso del cambio.

Sarmiento parla di "eresia keynesiana" e denuncia l'induzione di un deficit fiscale finanziato con credito estero all'interno di un sistema di tassi flessibili in un'economia con livelli di indebitamento come quelli della Colombia, come "la strada maestra per la crisi finanziaria" (17). In alternativa, propone di coprire il buco con credito interno passando sopra all'immediato effetto inflazionistico che questo provocherebbe dentro l'attuale quadro economico. Sottomessa alla pesante azione dei capitali finanziari internazionali e all'offerta mondiale sempre più abbondante, l'economia non marcerebbe verso "la piena occupazione" keynesiana, ma a un approfondimento delle manifestazioni locali della crisi. Oggi, infatti, il mercato delle divise e dei capitali agisce per canali autonomi e ha un potere tutto suo che neutralizza le politiche monetarie che, in altre circostanze, si dimostrarono efficaci.

La drastica riduzione delle capacità regolatrici degli stati nazionali nel contesto della mondializzazione, la disputa nei centri del potere imperialista e il peso specifico dei loro interessi sul piano locale, delimitano il campo di azione degli specifici governi nazionali. In altre parole, mentre per i critici borghesi di sinistra la responsabilità della situazione cade sulle teorie che servirono per giustificare il modello economico, noi le individuiamo nelle condizioni strutturali dell'economia capitalista.

Un'altra spiegazione dei fenomeni di conto corrente si trova nell'alta dipendenza dalle esportazioni di materie prime. Tornando al nostro parallelo Argentina-Colombia, osserviamo che le conseguenze dell'indebitamento sono simili nei due paesi.. Sono economie altamente instabili. La stabilità della bilancia dei pagamenti è condizionata da poveri livelli di attività produttiva. Il sistema diventa eccessivamente fragile e qualunque perturbazione esterna può precipitarlo nella crisi. Per esempio, l'economia dell'Argentina mai poté assorbire la forte svalutazione del suo principale partner commerciale, il Brasile, praticamente l'unico importatore dei suoi prodotti industriali. Proprio come per l'Argentina, più della metà delle esportazioni colombiane sono rappresentate da prodotti minerari e agricoli (18). In tali condizioni, le entrate di divise sono relativamente rigide rispetto al corso del cambio e ci vogliono livelli eccessivamente alti per compensare le tariffe ed equilibrare la bilancia dei pagamenti, cosa che non sempre è possibile. Dunque, la caduta dei prezzi dei principali prodotti di esportazione non è stata compensata da nuove esportazioni. Se non ha si ha una crescita sostenuta di due decili nelle esportazioni, il peso del debito sarà ogni volta più gravoso.

Secondo un rapporto presentato dal senatore Luis Guillermo Vélez al Congresso, il deficit accumulato nei conti correnti (bilancia dei pagamenti) negli ultimi tre anni è del 5%; ricorda che solo quest'anno si avrà un deficit di 3 miliardi di dollari, circa il 3% del PIL. Un fattore coadiuvante - con le restrizioni che abbiamo segnalato prima - è la rivalutazione del peso a un tasso che fluttua secondo le fluttuazioni del mercato libero. Dopo un certo punto, la rivalutazione si trasforma in un fattore recessivo che finisce per frenare le esportazioni e far fallire il piano. Il deficit del governo centrale è di 10 miliardi di pesos.

K

(1) Sottolineiamo la falsità di concetti generici del tipo "reddito procapite". Si tratta di una concettualizzazione che fa astrazione dalle differenze sociali e di classe degli individui che abitano un territorio e ripartisce tra loro pro rata - vale a dire, facendo tabula rasa di queste differenze - il reddito nazionale.

(2) Dichiarazioni del ministro dell'industria J.M. Santos al giornale El Espectador del 3 marzo 2002.

(3) Tra le priorità del piano del FMI ci sono: a) riforma del sistema pensionistico; b) legge per la limitazione della crescita della spesa pubblicae la graduale riduzione del debito; c) riformadel sistema bancario; d) riforma della borsa e del mercato dei valori mobiliari; e) concessione di poteri all'esecutivo per sopprimere enti pubblici. Si preparano, inoltre, le seguenti misure: vendita del Banco Cafetero, privatizzazione di 14 enti elettrici, appalto della costruzione del Tùnel de la Linea e dei sistemi di comunicazione personale PCS (telefonini ndt).

(4) Il "rischio creditizio" mostra la capacità di pagamento (o di insolvenza) dell'economia, la quale è determinata dal livello del debito, dalla sua dinamica e dal comportamento degli investimenti con i quali viene coperto.

(5) El Espectador, 17 marzo 2002.

(6) Ibidem.

(7) Secondo il ministero dell'Industria, il Bilancio nazionale del 2002 è così composto: Totale spese di funzionamento: 30.042. 680. 375. 932; Servizio del debito estero: 10.030.499.122.261; Servizio del debito interno: 12.909.299.895.668; Totale servizio del debito pubblico: 22.939.799.017.929; Totale investimenti: 9.923.070.844.214; Totale bilancio: 62.910.550.238.075.

(8) El Espectador, 3 marzo 2002.

(9) Fermandosi a guardare solo il PIL e gli aggregati macroeconomici, gli economisti hanno perso di vista l'evoluzione delle entrate dei lavoratori. Negli ultimi cinque anni, i redditi medi reali dei lavoratori colombiani sono scesi del 29%. Con questa caduta, i redditi stanno al di sotto di quelli del 1978. La situazione dei redditi per età permette un'analisi migliore della grandezza e della perdita rispetto alla crisi. La crisi ha modificato il rapporto dei redditi per età. In Colombia i livelli di reddito crescono in proporzione inversa all'età: più si invecchia, minore è il reddito. Oggi ogni anno di scatto è pagato la metà rispetto a 25 anni fa: 0,8 contro 1,4. La caduta nel pagamento per età ha avuto ovviamente un maggior impatto sopra gli anziani. Mentre nell'ultimo quinquennio i redditi dei giovani si sono abbassati del 15%, quelli degli anziani sono calati del 35%. Cfr. El Espectador del 27 gennaio 2002.

(10) La spesa bellica giornaliera delle Forze Armate è di 45 mila milioni di pesos e tende ad aumentare nella misura in cui si incrementano il numero delle truppe professionali e la componente tecnologica delle operazioni militari. Tutto questo apre la possibilità di un collasso delle finanze pubbliche.

(11) Attualmente, ogni aumento di 10.000 soldati professionali costa al fisco 260 mila milioni di pesos.

(12) El Espectador, 3 marzo 2002.

(13) In questo paese l'inflazione interna negli ultimi anni è cresciuta meno di quella internazionale e nell'ultimo anno si è introdotto una pluralità di monete che ha implicato una svalutazione nominale. Alla fine della convertibilità il corso reale del cambio era più alto che all'inizio. Negli ultimi tre anni sono state fatte diverse svalutazioni che hanno posto il corso reale di cambio al di sopra dei valori storici.

(14) "Rivalutazione indotta", Eduardo Sarmiento. El Espectador, 27 gennaio 2002.

(15) Ibidem.

(16) Nel 2001 il Banco de la Repubblica contrattò un prestito per la somma record di 3.700 milioni di dollari. El Tiempo, 6 gennaio 2002.

(17) "Il dramma non sta tanto nel deficit fiscale, quanto nella modalità del tasso di cambio flessibile. La modalità fu adottata in tutta l'America Latina all'inizio del decennio e a queste altezze i paesi non sono riusciti ad adattarsi. Gli stimoli del mercato generano opportunità di rivalutazione che si accumulano ed esplodono in rivalutazioni. Il peggio è che il sistema è risultato perverso. Quando c'è scarsità di capitali, il tasso di cambio si eleva, dando vita a seri effetti recessivi. Quando c'è abbondanza di dollari, il tasso di cambio si rivaluta, minacciando la stabilità del cambio. Le economie sono sballottate tra la recessione e la crisi cambiaria". "...l'amministrazione Pastrana..., dopo le riforme tributarie e un accordo col FMI, finì per avere un deficit più alto. Attualmente la spesa pubblica aumenta di circa il 20%. Tuttavia, questa gestione puramente monetarista può risultare peggiore del male". El Espectador, ibidem.

(18) Questo dato mostra il regresso industriale che ha colpito l'economia colombiana rispetto agli anni '80, durante i quali il 65% delle esportazioni erano di carattere manifatturiero.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.