Sciopero si, ma per cosa?

Sullo sciopero dell'industria

Oggi siamo chiamati a scioperare, a rinunciare a una parte del nostro salario non certo stratosferico per arrestare il "declino dell'Italia", correggendo le scelte di politica economica di governo e padronato. Tali scelte sarebbero infatti all'origine delle gravi difficoltà che colpiscono i lavoratori (vedi la FIAT). Ora, che il governo Berlusconi sia nettamente anti-operaio, non c'è alcun dubbio; che la crisi sia dovuta principalmente a scelte politiche sbagliate, lo è molto meno.

È allora indispensabile ricordare o chiarire che: in una società divisa in classi non esistono interessi comuni tra capitale e forza-lavoro: i loro interessi sono opposti e inconciliabili, non c'è via di mezzo; i padroni investono dove come e quando possono ottenere il massimo profitto con il minor costo possibile: l'unico "bene" che conoscono è quello del loro portafoglio; al di là della cialtroneria di questo o quell'imprenditore, le politiche economiche della Confindustria (e dei governi) sono dettate dalla crisi mondiale del capitalismo, che impone, da una parte, l'aumento dello sfruttamento in qualsiasi forma, e, dall'altra, la crescita gigantesca della speculazione finanziaria e lo smantellamento del cosiddetto stato sociale per rapinarci anche il salario indiretto e differito, al fine di alimentare la speculazione medesima: la demolizione del sistema pensionistico pubblico e il passaggio ai fondi pensione privati (aperti o chiusi, cioè cogestiti dai sindacati) va in questo senso e ci prepara un domani letteralmente di miseria (vedi il caso Enron negli USA); più investimenti, più tecnologia, nel sistema capitalistico vogliono dire non minore fatica per i lavoratori, ma più licenziamenti, maggiore carico di lavoro, salari più bassi. Oggi i padroni investono e assumono solo se hanno la garanzia di disporre di una manodopera usa e getta: la precarietà selvaggia di questi anni, la diffusione e la legalizzazione di fatto del lavoro nero hanno lo scopo di avvicinare, tendenzialmente, le nostre condizioni di lavoro a quelle della classe operaia del "Sud del mondo", dove il capitale internazionale (quello italiano in prima fila) sfrutta a sangue uomini, donne e bambini.

Tutto questo è stato portato avanti da tutti i governi, indistintamente, con il contributo fondamentale della concertazione sindacale: chi può negare che ogni contratto è stato peggiorativo di quelli precedenti?

Allora, se dobbiamo lottare (e lo dobbiamo fare), che la nostra lotta sia però diretta contro obiettivi veri e condotta con metodi giusti. Non siamo noi lavoratori che dobbiamo preoccuparci di insegnare ai padroni come fare meglio i loro affari, cioè come "ottimizzare" il nostro sfruttamento.

Per prima cosa occorre respingere la concertazione, aperta o mascherata, che ha devastato il mondo del lavoro salariato e ha ridotto moltissimi dei nuovi lavoratori "autonomi" quasi come schiavi: questi sono i risultati di sacrifici, anche pesanti, in nome della concertazione e dell'Italia!

No, l'unica cosa che dobbiamo rilanciare è la lotta di classe contro il padronato e i suoi governi (di qualunque colore), con scioperi veri, senza preavviso, senza limiti di tempo e di categoria, che vadano oltre le soffocanti limitazioni sottoscritte dai sindacati concertativi, o di fatto accettate anche da quelli sedicenti antagonisti. Lotte che, partendo dai luoghi di lavoro, tendano all'unità di tutti i lavoratori, "garantiti" e precari, italiani e immigrati, salariati e finti autonomi.

Una lotta che, cominciando a difendere sul serio i nostri interessi, allo stesso tempo ostacoli concretamente la guerra; la guerra e l'attacco feroce alle nostre condizioni di esistenza sono, infatti, due facce della stessa medaglia: la crisi mondiale del sistema capitalistico.

Contro lo sfruttamento, contro la guerra, per la ripresa della lotta di classe proletaria!

Lavoratori internazionalisti - Battaglia Comunista