Fiat e governo decidono, i sindacati firmano

Un po' in sordina e con la compiacente approvazione dei sindacati, la Fiat ha annunciato formalmente la chiusura dell'Alfa di Arese: le auto (166, spider e coupè) saranno prodotte a Pomigliano, dopo che da tempo, con accordi firmati dai tre sindacati, erano già state trasferite altrove. A completare la vera e propria beffa riservata ai combattivi lavoratori di Arese, da mesi in lotte abbandonate a se stesse, vanno aggiunti anche i precedenti accordi, sempre firmati dagli onnipresenti sindacati, secondo i quali ad Arese sarebbero stati mantenuti 4000 posti di lavoro per produrre auto ecologiche e sportive.

Si fa colpa ai dirigenti Fiat - e non al capitalismo stesso - di una gestione fallimentare del settore auto; di certo è stata gestita al meglio la "crisi", con un controllo totale delle "conseguenze" da distribuire sulle spalle dei lavoratori. La tattica del divide et impera - ben conosciuta da capitalisti e direzioni sindacali - ha funzionato ancora una volta, finendo col mettere praticamente l'un contro l'altro gli operai di Arese, di Pomigliano, di Termini Imerese, di Melfi e di Mirafiori; salvando - per il momento - il posto di lavoro ad alcuni a scapito di altri. A Mirafiori non si produrrà più la Panda e le attuali sette linee di produzione si ridurranno a quattro, con ritmi frenetici di lavoro che le satureranno al 90%. In attesa che l'età pensionabile venga elevata a 65 anni, per gli operai cinquantenni c'è l'espulsione dalla Fiat e "redditi" praticamente dimezzati. Sia negli stabilimenti di Pomigliano sia di Melfi, dove si concentrerà la produzione della Fiat, diventano regola comune le assunzioni precarie, i ritmi di lavoro aumentati del 20% coi nuovi sistemi di calcolo TMC 2, i turni di lavoro massacranti e i salari ridotti (al Sud la vita costa meno!). Lo stesso sarà per Termini Imerese, se sopravviverà. La realtà passata ci indica un ben triste percorso: in poco più di vent'anni, i 130mila dipendenti Fiat si sono ridotti a 36mila. Non si tratta di scelte sbagliate, errori di pianificazione, scarsi investimenti, modelli di sviluppo arretrati: questo è il capitalismo, questi sono i risultati di rapporti economici e sociali che vanno letteralmente ribaltati. Non certo riformati, democratizzati o razionalizzati a suon di sviluppi produttivi (impossibili), ricerche di nuovi mercati (saturi), innovazioni tecnologiche (che riducono il lavoro ma anche il salario, senza il quale - nella società borghese - non si vive), studio e lancio di nuovi modelli (ma chi li compera?), così come si blatera a destra e a sinistra. Compresi i sindacati, non solo quelli ufficiali ma anche di cosiddetta base, e forze politiche tipo Rifondazione e altri "antagonisti".

Gira e rigira, per tutti quanti in fondo la "salvezza" della Fiat val bene qualche sacrificio: che si producano auto private o bus pubblici, i posti a sedere sono comunque contati e qualcuno, si sa, deve pur restare in piedi... I sindacati (Cgil, Cisl e Uil) hanno ritrovato su questo terreno la loro unità, apparentemente sofferta ma, per amor di patria, "subita" a spese della divisione di un fronte di lotta e di solidarietà proletaria che rimane fra le pie illusioni di chi ancora è disposto a dar credito ad organismi da tempo passati, armi e bagagli, nelle trincee della conservazione capitalistica. La divisione di lavoratori ormai costretti a far propria l'invocazione "si salvi chi può", era il vero ed unico obiettivo di una strategia sindacale, assieme a quella padronale, che stringe non solo i lavoratori della Fiat ma tutto il proletariato nella gabbia delle compatibilità con un modo di produzione e di distribuzione che sopravvive soltanto imponendo condizioni di lavoro e di vita prossime ai limiti della... barbarie. Un'altra dura fregatura, un'altra drammatica sconfitta, Che serva almeno da definitiva lezione per affrontare i prossimi attacchi.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.