Bertinotti & Prodi insieme per andare al governo - Le giravolte di un aspirante ministro

Per seguire le alterne vicende della politica borghese bisogna essere di stomaco forte o, da comunisti, non aspettarsi altro che quello che succede, altrimenti si rischia fortemente di farsi travolgere dalla nausea, tanto è il fetore emanato dai giochi di potere parlamentari.

Probabilmente tutti ricordiamo che c'è stato un tempo in cui Bossi strappava ululati di approvazione alle deliranti folle "padane" quando dava del mafioso a Berlusconi, mentre oggi non c'è puntello più solido del già "mafioso" che il "padano" verdevestito come i figuranti irlandesi alla festa di San Patrizio. Più o meno nello stesso tempo, Bertinotti riscopriva l'anima comunista (??) del suo partito e decideva di rompere con Prodi, provocando la prima delle tante crisi dell'Ulivo. Oggi, invece, tra il "Professore" e il segretario di Rifondazione Comunista è sbocciato un amore da far invidia alle più appassionate love-stories cinematografiche.

Ma, appunto, la morale, i principi del politicante sono molto elastici, purché la posta in gioco sia sufficientemente interessante - in termini di potere - da giustificare i salti mortali necessari per far digerire al proprio elettorato tutto e il contrario di tutto. Tanto, ci sarà sempre un motivo valido per indicare come indispensabile quello che prima era inaccettabile.

Questo non vale solo per i partiti dichiaratamente borghesi, i cui elettori, di qualsiasi classe, non concepiscono altro orizzonte che quello borghese e, quindi, reputano normali giravolte, cinico arrivismo e mancanza di scrupoli; vale anche per i partiti "di sinistra", che dovrebbero esprimere il malessere verso questa società e l'intenzione, per quanto confusa, di cambiarla più o meno a fondo. Sia chiaro, con questo non intendiamo affatto seguire l'infantile concezione trotskysta secondo la quale basterebbe allora conquistare la direzione dei partiti riformisti a base proletaria - nel nostro caso, Rifondazione - per mettere in moto la rivoluzione anticapitalista. I partiti riformisti esistono non perché alla loro testa ci sono perfidi capi che, burocraticamente, tengono soggiogata una fremente base rivoluzionaria, ma perché il proletariato, compresi i soggetti più sensibili, non ha rotto con l'ideologia borghese, seppure nella vesta di sinistra. Perch, per tutta una serie di ragioni, la via riformista sembra ancora l'unica strada praticabile, l'unica che possa dare risposte immediate e concrete al deterioramento inarrestabile delle nostre condizioni di esistenza; perché, infine, ci si rifiuta di credere fino in fondo che il centro-sinistra sia, nella sostanza, della stessa pasta politica dello scadente show-man che, di passaggio, fa il presidente del consiglio.

Come tutti i passi importanti nella vita mettono a nudo la personalità degli individui, così il riavvicinamento a tappe forzate a Prodi ha evidenziato - una volta di più - il carattere borghese del sedicente partito comunista di Bertinotti, che, a tal scopo, non ha esitato a ricorrere agli abituali sotterfugi politicanteschi. Il riferimento specifico è al caso D'Erme, l'esponente dei Disobbedienti romani, che, pur avendo raccattato un sacco di voti alle elezioni europee, è stato lasciato a casa da Strasburgo per far posto a un candidato non meno rivoluzionario (nemmeno D'Erme lo è), ma più presentabile e meno imbarazzante per le regole del bon ton borghese. Insomma, i Disobbedienti vanno bene come massa di manovra, vanno benissimo per intrappolare la gioventù ribelle nella ragnatela del radical-riformismo, ma da lì a mandarli al parlamento europeo ce ne corre. A ciascuno il suo ruolo: ai Disobbedienti fare "casino", agli altri coglierne i frutti.

Ulteriore dimostrazione di "senso di responsabilità " è stata l'adesione all'unione sacra proposta dal governo durante la vicenda delle volontarie italiane rapite. Bertinotti - naturalmente sempre in nome di superiori valori umani - ha immediatamente accettato di mettere in secondo piano, cioè sotto i tacchi, quello che fino a ieri era spacciato per essere un asse portante della pratica politica di Rifondazione, ossia il ritiro dall'Iraq delle truppe italiane "senza se e senza ma". Ovviamente, secondo la "migliore" tradizione del pacifismo borghese, al dunque sono spuntati i "se e i "ma", con la conseguente, anzi, preventiva messa in naftalina del movimento pacifista. Certo, la sostanziale scomparsa di quest'ultimo o, quanto meno, il suo profondo torpore, non è da addebitare esclusivamente al disimpegno di Rifondazione (e della CGIL-FIOM, per es.), ma è altrettanto certo che, al momento, Rifondazione e compagnia cantante non hanno interesse a rianimarlo.

Nonostante dissensi, malumori e perplessità suscitate dalla svolta (?), Bertinotti (cioè il grosso del partito) va diritto alla meta e alla chiusura della festa nazionale di Liberazione ha sostenuto con forza la necessità che anche l'onorevole deretano di qualche deputato rifondarolo si appoggi sulle poltrone ministeriali. Il motivo? Cacciare Berlusconi. Che dell'attuale governo si debba dire tutto il male possibile, è scontato; ma un eventuale governo di centro-sinistra con una spruzzatina di "rosso Bertinotti", che cosa farebbe mai di sostanzialmente diverso, secondo il segretario di Rifondazione? E ancora, perché i Prodi e i D'Alema dovrebbero essere cambiati dai tempi in cui assestavano mazzate tremende al mondo del lavoro dipendente o scaricavano bombe - umanitarie, per carità! - sull'ex-Yugoslavia? Però, la faccia di bronzo, requisito indispensabile di ogni politicante, non manca certo al "nostro" Fausto, il quale non si vergogna di porre come paletti (futuri, beninteso...) del programma di governo l'abolizione della legge 30, della riforma Moratti e della legge Bossi-Fini. Ora, a parte certi aspetti per così dire "estremisti" di alcune di tali leggi, che, forse, potranno essere ritoccati - visto che persino il padronato invoca delle modifiche - il nocciolo di questi provvedimenti legislativi non sarà affatto cancellato, perché risponde a esigenze irrinunciabili del capitalismo odierno, e chiunque vada al governo deve obbligatoriamente sottomettersi ad esse. Tanto per fare un esempio, la legge 30 non è forse lo sviluppo della legge Treu di prodiana memoria? Niente paura, afferma Bertinotti, noi saremo un partito di governo, ma, allo stesso tempo, non soffocheremo "l'autonomia delle forze sociali", cioè lasceremo al sindacato e ai movimenti sociali un guinzaglio un po' più lungo di quello che lasciava loro il primo Ulivo; in breve, praticheremo "il governo o l'opposizione a seconda delle circostanze" (il manifesto,26-09-'04). Come battute sono niente male, anche se ricordano molto il ministro Sirchia, che, senza alcun timore del ridicolo, durante l'ultimo sciopero totale dei medici contro la sua politica, diceva a costoro di essere dalla loro parte: primo caso conclamato di schizofrenia ministeriale?

Per essere giusti, però, l'apparente schizofrenia e vera cialtroneria di Bertinotti ha "nobili" precedenti. Poco meno di trent'anni fa, il PCI di Berlinguer, appoggiando i governi di unità nazionale - apripista del tatcherismo - si giustificava affermando di essere contemporaneamente partito di lotta e di governo. Già: ai padroni garantiva il governo sugli operai, a questi ultimi lasciava la lotta, ma per arrivare alla fine del mese...

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.