Il fallimento del vertice dell'Unione Europea

A Bruxelles i 25 si spaccano e non approvano costituzione e bilancio comunitario

La vittoria del no ai referendum sulla ratifica della costituzione europea svoltosi lo scorso mese in Francia e Olanda rappresenta per molti versi una pesante battuta d'arresto nel processo d'integrazione politica del vecchio continente seppure, data la complessità e contraddittorietà del processo stesso ampiamente prevedibile e da noi prevista. Il clima di pessimismo derivante dalla bocciatura franco-olandese si è inevitabilmente ripercosso sul vertice di Bruxelles, durante il quale è stato deciso di congelare l'approvazione da parte dei vari stati dell'Unione della costituzione e soprattutto non è stato approvato lo schema di bilancio comunitario per il periodo 2007-2013, rinviando al prossimo anno ogni decisione in merito. Su quest'ultimo punto lo scontro è stato durissimo e nessuno si è dimostrato disponibile a cedere di un solo millimetro rispetto alle proprie posizioni di partenza. Da un lato gli inglesi a difendere lo sconto sul contributo da versare annualmente nelle casse comunitarie, sconto ottenuto dalla Thatcher nel 1984, dall'altra parte il governo francese, spalleggiato da tedeschi e paesi dell'est, che si è strenuamente opposto a qualsiasi taglio di bilancio nella politica agricola comunitaria.

Il fallimento del vertice di Bruxelles è stato giudicato sotto diversi punti di vista dai vari commentatori borghesi: in molti hanno visto nella crisi politica che si è aperta la fine del processo d'integrazione europeo, altri una vittoria degli Stati Uniti che dalla diaspora europea potrebbero trarre degli indubbi vantaggi imperialistici, ed infine c'è chi ha visto in tutto questo una straordinaria vittoria di quelle forze politiche e sociali che vogliono costruire l'Europa sociale dei popoli e dei cittadini anziché un'Europa dei capitali. Sono letture parziali che non riescono a leggere le reali dinamiche che sottintendono il processo d'integrazione in atto.

Per cogliere fino in fondo la crisi politica che si è aperta nell'Unione europea e gli sviluppi che questa potrebbe assumere nel prossimo futuro occorre considerare sia la portata epocale della nascita di un nuovo polo imperialistico sia la recessione dell'intera economia mondiale.

Intanto due considerazioni preliminari. La nascita della nuova moneta europea non è la tappa conclusiva del progetto d'integrazione europeo ma solo l'inizio di tale percorso. In secondo luogo se la circolazione dell'euro rappresenta il primo e fondamentale passo che dovrebbe portare l'Unione europea verso l'unità politica, tale processo non si è affatto concluso.

Dopo i trionfalismi dello scorso anno determinati dall'ingresso nell'Unione di ben dieci paesi dell'Europa dell'est, si è passati alla crisi e al pessimismo di questi ultimi giorni, a testimonianza della contraddittorietà di tale processo. Non è affatto semplice mettere insieme paesi ad altissima industrializzazione come la Germania con i poverissimi nuovi membri dell'Unione. Tutto questo rappresenta una vera sfida che non ha precedenti nella moderna storia del capitalismo. Infatti non si era mai visto che pacificamente paesi diversi per struttura produttiva, lingua e cultura tentassero di costituire un'area continentale unita economicamente e politicamente. Nel diciannovesimo secolo ci riuscirono gli Stati Uniti ma il prezzo pagato è stato salatissimo: cinque anni di guerra civile e milioni di morti sui campi di battaglia.

La contraddittorietà del processo in questi ultimi mesi è aumentata per l'aggravarsi della crisi economica. La recessione ha alimentato enormemente quelle forze centrifughe che ostacolano il processo d'integrazione, accentuando gli egoismi dei vari paesi dell'Unione. Il fatto che l'Inghilterra si opponga all'aumento di pochissimi miliardi di euro del contributo annuale da versare nelle casse di Bruxelles e la Francia non vuole rinunciare ai fondi comunitari che sostengono la propria agricoltura, lascia capire come la crisi economica abbia ridotto notevolmente i margini della mediazione politica. Inoltre, l'allargamento dell'Unione europea ai paesi dell'est ha esasperato il problema della ripartizione dei fondi, in quanto sono paesi che assorbono una quota significativa del bilancio comunitario.

Ma dietro lo scontro sui contributi comunitari si celano problemi di natura politica e strategica. Giusto per fare un esempio, l'Inghilterra è all'interno dell'Unione ma non ha aderito all'euro e sul terreno politico e militare rappresenta nei fatti la quinta colonna dell'imperialismo statunitense sul continente europeo. Gli stessi paesi dell'est entrati nel 2004 nell'Unione europea, premono per avere i contributi comunitari ma nello stesso tempo appoggiano gli Stati Uniti nella guerra all'Iraq. La stessa Italia negli ultimi anni si è più volte schierata a fianco degli Stati Uniti, pur facendo parte dell'euro. Sono situazioni contraddittorie che ovviamente ostacolano il processo d'integrazione europeo e che dovranno trovare nel prossimo futuro delle risposte adeguate.

La battuta d'arresto del recente vertice di Bruxelles ci indica che molti nodi stanno arrivando al pettine. Probabilmente qualche paese dell'Unione si perderà per strada lungo il percorso, ma potrebbe anche accadere che sotto il peso della crisi economica l'intero progetto naufraghi, lasciando, da un lato, insoluto o sospeso il problema della costituzione di un polo imperialistico alternativo agli Stati Uniti, ma dall'altro aprendo le porte a una catastrofe economica la cui vastità è difficile da valutare, ma che sicuramente non risparmierebbe neppure gli Usa, a loro volta nella morsa di una crisi debitoria senza precedenti nella loro storia.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.