Sulle fabbriche recuperate in Argentina

Riformisti vecchi e nuovi spacciatori di illusioni

All'inizio dell'estate, i trotskysti di Falce e Martello hanno organizzato in giro per l'Italia una serie di assemblee pubbliche per presentare il film di Naomi Klein (e del marito) The Take, sulle fabricas recuperadas argentine, cioè quelle aziende prima occupate e poi trasformate in cooperative dai lavoratori.

Che la Klein difenda ed esalti quell'esperienza come prova concreta di "un altro mondo possibile" è del tutto normale, vista la sua collocazione neo-riformista. Un po' meno dovrebbe esserlo per i "falcemartellisti", che pretendono di rifarsi al marxismo e, in generale, alla tradizione rivoluzionaria del movimento operaio. Ma il trotskysmo, in tutte le sue litigiose conventicole, è da gran tempo caduto così in basso che, coprendosi di ridicolo, non esita a vedere in qualsiasi movimento genericamente anti-liberista l'emergere di immediate prospettive rivoluzionarie, indipendentemente dai contenuti politici di quei movimenti. Da Chavez alla Bolivia alle cooperative argentine, se guardassimo attraverso le lenti deformanti dei trotskysti dovremmo proprio dire che la rivoluzione è alle porte. La realtà, purtroppo, è ben diversa, e lo dimostrano una volta di più proprio quelle esperienze, che esprimono sì una variegata opposizione all'imperialismo yankee e al capitalismo neoliberista, ma non al capitalismo in quanto tale. Al contrario, in un modo o nell'altro perseguono solamente una maniera diversa di stare nel modo di produzione capitalistico. Di più, confermano - e qui nello specifico ci riferiamo alle fabricas recuperadas - che ogni lotta proletaria, ogni fiammata ribellistica è necessariamente destinata ad essere riassorbita - o spazzata via - dalla borghesia se non si rompe l'involucro capitalistico di cui parlava Marx a proposito delle fabbriche cooperative inglesi della seconda metà dell'Ottocento. Infatti, contrariamente a quanto vanno dicendo gli altermondialisti alla Klein (e a quanto credono i "nostri" trotskysti), la cooperazione, di per sé, non ha niente di così tremendamente anticapitalista; al più, la cooperativa dimostra che può esistere un capitalismo non liberista, un capitalismo collettivo fondato sull'autosfruttamento della forza-lavoro che, per stare sul mercato, deve obbligatoriamente rispettarne i parametri fondamentali: produttività, competitività, profittabilità dell'azienda cooperativa, ecc., ecc. Insomma, per citare, una volta tanto, Lenin, la cooperativa si riduce alla fin fine a "un affare da bottegai", tant'è vero che i borghesi più lungimiranti - circostanze storiche permettendo - non solo hanno sempre tollerato, ma addirittura incoraggiato la classe operaia ad impantanarsi nel terreno della cooperazione per smorzarne le spinte rivoluzionarie trasformandola in oculata e attenta amministratrice, preoccupata dei bilanci aziendali più che di sovvertire il mondo borghese. Senza star qui a ripescare i numerosissimi esempi storici, è esattamente quello che è accaduto in Argentina.

In questo paese, l'occupazione delle fabbriche, e la trasformazione di alcune di esse in cooperativa, era cominciata prima del dicembre 2001, ma in seguito alla bancarotta dell'economia, questo fenomeno ha assunto dimensioni più ampie, coinvolgendo persino enti pubblici come un ospedale di Buenos Aires. I padroni abbandonavano le fabbriche dopo aver intascato per anni - oltre ai normali profitti - ingenti contributi statali, gli uni e gli altri regolarmente depositati in banche estere e/o investiti nella speculazione finanziaria internazionale, che aveva fatto dello strangolamento dell'Argentina (cioè, del proletariato e di settori consistenti di piccola borghesia) un'enorme fonte di guadagno.

L'occupazione, dunque, nella grande maggioranza dei casi, non è avvenuta per motivi politici - sebbene sia stata promossa, in genere dagli elementi più politicizzati - ma è stata dettata dalla disperazione: o così o la fame. Naturalmente, spesso l'occupazione è costata sacrifici, duri scontri con le forze dell'ordine borghese e con la magistratura, soprattutto là dove i vecchi padroni erano e sono intenzionati a riprendere l'attività o, in generale, a rientrare in possesso degli immobili.

Ancor più dura è la lotta in qui casi in cui il "recupero" della fabbrica è animato da operai molto politicizzati, come nella ceramica Zanon, sotto l'egemonia politica del trotskysta PTS. I generosi lavoratori di questa fabbrica sono tuttora ai ferri corti con l'ex padrone e dunque con le forze repressive dello stato, ma, a nostra conoscenza, è l'unica fabbrica (o una delle poche) che si ritrova a dover difendere ogni giorno la propria esistenza, dato che le altre hanno trovato un modus vivendi nella legalità borghese. Oggi, le fabricas recuperadas sono circa 200 con 15.000 lavoratori. Fatto sta che su molte di esse la Chiesa ha steso la sua reazionaria ala protettrice, il parlamento federale - nonché l'amministrazione di Buenos Aires - ha approvato delle leggi che, accanto all'esproprio dei vecchi proprietari, prevedono la successiva consegna degli impianti ai lavoratori, dietro pagamento di un affitto allo stato; sono inoltre previsti crediti agevolati, di cui i lavoratori hanno bisogno come l'aria. Infatti, sovente i macchinari sono logori, obsoleti e l'autoriduzione, in certi casi, del proprio salario non è sufficiente per accumulare quel tanto di capitale con cui ammodernare l'apparato produttivo. È vero che non di rado la gestione operaia ha elevato la produttività e l'efficienza, tanto che, per es., alla Zanon l'occupazione è aumentata del 50%. Tuttavia, questo dato, in sé, non dovrebbe stupire, se già Marx osservava che nelle imprese cooperative c'è un risparmio sul capitale costante che permette di ottenere un profitto maggiore: per stare terra terra, ogni lavoratore sa bene che senza padroni, capi e ruffiani tra i piedi si lavora meglio e con meno stress; d'altro canto, anche schiere di Stakanov si rompevano la schiena nell'URSS degli anni '30, credendo di costruire il socialismo. Ma se era impossibile costruire il socialismo in un solo paese, per altro immenso e ricchissimo di materie prime, a maggior ragione lo è in una fabbrica sola. E allora torniamo al punto di partenza. La gestione operaia, il controllo operaio prima della rottura rivoluzionaria possono, eventualmente, essere temporanee esperienze di transizione che o sfociano di lì a pochissimo nel grande fiume della rivoluzione, oppure, come si diceva, sono schiacciate o diventano appunto - indipendentemente dalla buona fede e dai sacrifici dei lavoratori - "un affare da bottegai" che, col comunismo, non c'entra proprio nulla.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.