In Ucraina e Bielorussia vincono le elezioni gli uomini fedeli a Mosca

Le rivoluzioni colorate nei paesi dell’ex impero russo cominciano a sbiadire

Era stato tutto un profluvio di riferimenti botanici per denominare in maniera quasi carezzevole certi cambiamenti politici verificatisi negli ex-paesi sovietici. In Kirghizistan la “rivoluzione dei tulipani” era stata tutt’altro che pacifica e la “rivoluzione delle rose”, del 2003 in Georgia, contrapponeva gruppi di potere in una serrata lotta senza esclusione di colpi. La “rivoluzione arancione” ucraina, tappa terminale di manifestazioni di piazza durate 17 giorni aveva visto trionfare Yushenko e la “zarina” Timoshenko. Un commento a caldo degli esiti delle elezioni parlamentari in Ucraina di fine marzo ci porta a concludere che gli arancioni filo-occidentali che avevano trionfato nell’autunno del 2004 hanno trovato modo di combattersi tra di loro a colpi di dossier e dopo disastri a livello economico a getto continuo con annessa guerra del gas contro Mosca si accorgono che forse è bene ridimensionare i furori e gli entusiasmi iniziali. Quel che era con Yanukovich ha continuato ad essere con Yushenko e la Timoshenko: borghesie voraci e mafiose che si contendono il potere per poter contrattare al meglio eventuali alleanze o partnership con gli imperialismi presenti sul proscenio. Il dato incontestabile è che la marcia verso Occidente è stata frenata e che la Nato e la UE devono, per il momento, abbozzare. Di converso, si assiste ad un recupero dell’amicizia verso la Russia non fosse altro perché gli investimenti in Ucraina sono massimamente in rubli. Il tutto avviene mentre gli imprenditori fanno quello che vogliono dei lavoratori pagando un 30% di retribuzione ufficiale ed il 70% in nero, licenziando senza preavviso e senza giustificazione alcuna. A quando la reintroduzione delle pene corporali?

A sua volta gli avvenimenti, quasi in contemporanea, in Bielorussia segnano decisamente una discontinuità con le cosiddette rivoluzioni colorate e questo perché Alexander Lukashenko, uomo di Mosca a tutto tondo, è stato rieletto con l’82% dei voti sulla base di una affluenza alle urne pari al 92%. I suoi rivali, Milinkevich e Kozulin, si sono divisi il restante 18%. Come il protocollo impone in casi del genere, i leader dell’opposizione ben sostenuti da consiglieri UE e americani hanno denunciato brogli elettorali stigmatizzando come le elezioni fossero state tutt’altro che libere e regolari. Certamente c’è del vero in tutto questo così come salta all’occhio come i dati siano stati artatamente pompati tuttavia, a detta di parecchi osservatori e analisti politici, i voti a suffraggio di Lukashenko sono stati di gran lunga superiori al 50%. Come spiegare tutto questo? Come si può comprendere un tale plebiscito a favore di un personaggio che ha instaurato uno stato poliziesco, degna continuazione degli ex-stati di oltre cortina? Presidente di kolkos a suo tempo e successivamente deputato al Soviet supremo della Bielorussia nel 1991 era stato l’unico a votare contro la disgregazione dell’URSS e più tardi, nel 1994, era diventato presidente della repubblica. Prende avvio un regime politico autoritario che si caratterizza per una certa “nostalgia sovietica”, una forte attrazione verso il “socialismo di mercato” e il varo di riforme di stampo liberista sempre attentamente monitorate dall’autorità centrale. Fatto sta che riesce a captare il consenso di vasti strati della popolazione che, tutto sommato, riesce a tirare avanti, ad avere accesso all’istruzione superiore e all’assistenza sanitaria ancora gratuite e, fatto non da poco, l’economia presenta dei tassi di crescita del 9% grazie soprattutto all’energia, a basso costo, importata dalla Russia. Col privilegiare per l’appunto i rapporti col grande vicino la Bielorussia riesce a ritagliarsi una sua nicchia, una sua dimensione strategica che la fa essere pedina imprescindibile in seno allo scacchiere dell’Europa orientale. Il grande timore russo è sempre stato l’accerchiamento: lo era al tempo degli zar e lo era in epoca sovietica. La Bielorussia, a sua volta, rappresenta, così come a suo tempo aveva rappresentato il punto d’incontro tra mondo greco e mondo latino, l’anello di congiunzione tra Occidente e Oriente, uno spazio euroasiano che la Russia per motivi facilmente intuibili intende preservare. Negli anni trenta è stata oggetto di una industrializzazione rapidissima e questo ha rappresentato promozione sociale per grandi masse di contadini e l’evoluzione è stata così marcata e intensa che dopo la seconda guerra mondiale ha superato finanche il livello economico russo fino a diventare uno dei centri industriali di punta dell’URSS. È quindi il retaggio storico che spiega questa nostalgia verso l’ex-Unione e, allo stesso tempo, le perplessità verso le rivendicazioni di tipo nazionalistico che si traducono, alla lunga, in una opposizione assai debole. In questo atteggiamento ha giocato negativamente anche il sussiego con cui i paesi occidentali, allettati dallo smantellamento del mercato sovietico, non hanno, da un lato, voluto elaborare prospettive di cooperazione coi paesi distaccatisi dall’URSS e, dall’altro, hanno privilegiato opzioni che, a mò di esempio, andavano da una “via della seta del XXI”, sorta di corridoio eurasiatico fatto di reti stradali, ferroviarie, telefoniche ecc., prospettato dalla UE e dagli USA per isolare la Russia e una “via Baltika”, programma europeo finalizzato a rafforzare l’integrazione dei tre paesi baltici con la Polonia e la Finlandia previa esclusione di Russia e Bielorussia. Il riavvicinamento di Minsk col Kremlino si può quindi configurare come una mossa obbligata che di qui a non molto, in virtù soprattutto del risollevarsi della Russia dalle condizioni disastrate in cui era fino al 2000, potrebbe produrre un effetto di trascinamento nei confronti della stessa Ucraina e delle repubbliche dell’Asia centrale. In un contesto così definito si vanno stagliando sempre più delle alleanze come la partnership russo-tedesca voluta da Putin e Schroeder che di fatto apre ai capitali tedeschi i mercati eurasiatici e che pare voglia privilegiare la restaurazione, in gran parte dell’ex-Unione sovietica, di un ordine in cui la Russia costituisca il perno centrale e nel quale la Bielorussia svolga un ruolo di primo piano. Esistono anche diversità o veri punti di frizione tra i due paesi: basti pensare al rifiuto di Lukashenko di accettare la privatiz-zazione delle industrie o di far sparire i kolkoz. Nondimeno si intessono sempre più accordi a carattere economico ma questi rapporti di cooperazione hanno consentito soprattutto il rilancio dell’industria militare ponendo, con ciò, un argine all’allargamento della Nato. Come possa evolversi una situazione per così dire dinamica e complessa non è dato sapere in quanto, la vittoria di Lukashenko alle presidenziali, se ha rinsaldato la nomen-klatura che gravita attorno a lui non ha di certo attenuato i dissensi tra i “riformatori” che sono favorevoli alle privatizzazioni di cui beneficerebbe per prima l’oligarchia russa e gli “ortodossi” decisi a mantenere un potere statale centralizzato. Rappresenta tutto ciò una lotta tutt’interna all’apparato statale il cui esito non può non avere riverberi anche all’esterno in quanto, facendo la giusta tara alle solite tiritere su democrazia e dittatura o sul diverso posizionarsi rispetto all’economia di mercato, resta il nodo centrale dello scontro tra gli imperialismi occidentali, UE e la Nato intesa come testa di ponte americana, ed un imperialismo russo sulla via del riallestimento, forte com’è di proventi petroliferi da capogiro, della consapevolezza di possedere il 15% del petrolio mondiale, il 40% del gas e il 70% del carbone nonché di essere nazione capace di produrre anche tecnologia aerospaziale. Pertanto, alla luce delle accuse fatte dal ministro degli esteri Lovrov secondo cui la UE, l’OCSE e gli USA sarebbero gli istigatori delle proteste si può certamente comprendere compiutamente come le preoccupazioni occidentali, nel risiko che si sta giocando nei paesi dell’Europa orientale, provengano non tanto da Minsk quanto da Mosca.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.