Stati Uniti e India insieme per il nucleare

S’intensificano i programmi di proliferazione nucleare di Usa e India

Il 2 marzo scorso, in visita a New Delhi, il presidente degli USA Bush e il primo ministro indiano Singh hanno annunciato la conclusione di importanti accordi di cooperazione che spaziano in diversi settori, primo tra tutti quello dell’energia nucleare. Punto conclusivo di trattative avviate nel luglio 2005, durante la visita Singh a Washington, l’accordo prevede che gli Stati Uniti forniscano materiale e tecnologie nucleari all’India. Il fatto desta molte preoccupazioni soprattutto se si tiene conto che New Delhi non ha sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare. Al contrario, essa non ha mai fatto mistero delle aspirazioni ad aumentare la sua potenza atomica e di conseguenza il suo peso nelle questioni regionali.

Gli Stati Uniti si nascondono dietro la foglia di fico dei controlli internazionali, che dovrebbero garantire l’uso esclusivamente civile del materiale fissile esportato. Tuttavia sottacciono il fatto che, mentre l’uranio importato potrebbe effettivamente essere impiegato per usi civili, esso libererebbe quello indiano per l’uso militare. Inoltre solo 14 dei 22 reattori indiani saranno sottoposti alle ispezioni della IAEA (International Atomic Energy Agency), mentre gli altri otto saranno destinati a scopi militari. Tra gli impianti esclusi, ci sono quelli autofertilizzanti, in grado di produrre grandi quantità di plutonio, che potrebbero consentire all’India di costruire fino a 25-40 bombe a fissione all’anno, in aggiunta alle 6-10 attualmente possibili.

Affinché l’accordo diventi effettivo, sarà però necessaria l’approvazione del congresso USA (su cui Bush ha fornito ampie rassicurazioni), oltre a quella del NSG (Nuclear Supplier Group, l’associazione internazionale che raggruppa le nazioni fornitrici di materiale nucleare, dove invece Cina e Giappone non hanno esitato a palesare la loro opposizione).

Accanto al nucleare, sono stati trattati altri 14 argomenti di comune interesse, tra cui scienza e tecnologia, spazio, agricoltura, energia, esercitazioni militari e navali (in realtà già avviate da tempo sotto la copertura della prevenzione dei danni da tsunami), raddoppio degli scambi commerciali in tre anni, acquisto di armamenti (l’India - terzo acquirente mondiale di armi con una spesa di 5,5 miliardi all’anno - mantiene aperte le trattative sia con gli USA che con la Francia per l’acquisto di 126 caccia e alcuni sottomarini), operazioni militari congiunte all’estero (guidate dagli USA, dietro la solita retorica dell’esportazione della democrazia e della lotta al terrorismo).

Infine gli USA accampano il diritto ad interferire direttamente nella politica estera indiana, avendo tra l’altro preteso ed ottenuto già ai primi di febbraio l’appoggio indiano contro l’Iran nell’assemblea della IAEA. New Delhi ha dovuto fare in questo caso una netta retromarcia rispetto agli impegni presi in precedenza, per la costruzione di un gasdotto da 4 miliardi di dollari tra Iran, Pakistan e India. Secondo l’India Defense, posta di fronte all’alternativa di avere “elettricità o bombe”, la nazione ha optato pragmaticamente per queste ultime, giudicando il progetto del gasdotto troppo aleatorio, al momento, anche se in realtà proprio su questo progetto l’India gioca molta della sua credibilità come potenza regionale. Non è un caso che proprio a Washington, dopo i colloqui di luglio con Bush, Singh abbia dichiarato ai giornalisti:

Sono abbastanza realista da capire che ci sono molti rischi, perché considerando tutte le incertezze della situazione lì in Iran, io non so se qualche consorzio bancario internazionale sottoscriverebbe questo progetto.

Ma per gli Stati Uniti questi accordi sono solo il primo passo verso la realizzazione di una vera e propria partnership strategica. Le prospettive possono essere intese sfogliando le 131 pagine di uno studio commissionato dal Pentagono nel 2002, basato su interviste a 40 ufficiali americani e altrettanti indiani. Secondo lo studio:

Se l’esercito USA allacciasse rapporti con l’India, come stiamo supponendo, non potremmo separare le nostre riflessioni sull’India da quelle sulla Cina. Noi vogliamo un amico che nel 2020 sia capace di assistere l’esercito USA nell’affrontare la minaccia cinese. Non possiamo negare che l’India rappresenterà una forza che controbilancerà la Cina.

Sulla strategia statunitense di “contenimento” della Cina, altrettanto chiara è stata Condoleezza Rice, in un discorso tenuto il 19 marzo 2005 a Tokio:

A riguardo dello sviluppo della Cina, io credo davvero che le relazioni USA-Giappone, USA-Corea del Sud, USA-India siano importanti per creare un ambiente in cui la Cina abbia maggiori probabilità di svolgere un ruolo positivo anziché negativo.

A questo bisogna aggiungere il ruolo del petrolio centro-asiatico, destinato ad assumere crescente importanza strategica, soprattutto se si dà credito alle preoccupazioni di Matthew Simmons (dirigente di una delle maggiori banca d’investimento nel settore energetico e consulente dell’amministrazione Bush) secondo cui, nonostante iniezioni d’acqua per mantenere in pressione i giacimenti e nonostante tecniche estrattive sempre più raffinate e costose...

la produzione araba è prossima al picco di volume sostenibile [...] ed è probabile che inizi la discesa nell’immediato futuro.

In sostanza, gli Stati Uniti sperano di avere l’aiuto dell’India (che essendo la “democrazia più popolosa” del pianeta, con più di un miliardo di abitanti, fornirebbe anche armi utili alla propaganda), per arrivare a mettere le mani sulle riserve di petrolio centro-asiatiche, controllarne i flussi, continuare a godere dei privilegi dovuti al ruolo del dollaro quale valuta di contrattazione delle materie prime, mettere finalmente un guinzaglio alla Cina, che altrimenti potrebbe diventare un concorrente imperialista temibile.

Mic

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.