Hamas e le pericolose alleanze iraniane

Ahmadinejad ha promesso 50 milioni di dollari al governo di Hamas

Da quando gli integralisti di Hamas sono arrivati al potere, per i palestinesi i problemi che sono costretti ad affrontare da decenni, si sono enormemente aggravati. Ora oltre allo scontro tra Abu Mazen e il neo capo del governo Haniyeh, a parte le tensioni tra Hamas e al Fatah, tra Hamas al Fatah e la Jihad, si aggiunta l’Ue, sotto la pressione del governo di Washington, e lo stesso governo americano, che hanno tolto i finanziamenti alla Anp palestinese. Israele, inoltre, ha bloccato il versamento dei fondi, pari a 34 milioni di dollari, che annualmente preleva per conto dell’Amministrazione palestinese a pagamento dei dazi doganali e delle tasse versate dai lavoratori palestinesi. Al momento la situazione è che i proletari palestinesi non ricevono gli stipendi da mesi, la disoccupazione raggiunge il 50% e quel minimo di stato sociale, che Hamas aveva messo in piedi negli ultimi anni, è ridotto quasi allo sfascio e gli osservatori internazionali gridano all’emergenza sanitaria. Il governo Bush che ha spinto perché tutto ciò accadesse, ha giustificato le misure di ritorsione messe in atto, perché il partito che è al governo, nato peraltro da elezioni regolari, è annoverato tra le forze terroriste, e soprattutto, perché non riconosce il diritto all’esistenza dello stato d’Israele e mantiene nel suo programma la necessità della distruzione dello stato sionista, quale condizione per la riconquista di tutta la Palestina. Nulla di più falso. Hamas conosce bene le regole del gioco, un conto è essere all’opposizione, altra cosa è essere al potere, e quindi sa, gli piaccia o no, di dover trattare con avversari e nemici. Haniyeh il giorno stesso del suo insediamento a capo del governo palestinese ha dichiarato che avrebbe accettato di trattare con Israele, che avrebbe fatto cessare ogni atto terroristico nei confronti del sionismo, a condizione che Israele iniziasse il ritiro dai territori occupati; poi si sarebbe potuto anche affrontare il problema del riconoscimento. Posizione successivamente espressa più volte in aperto contrasto con la Jihad e con una frazione di Hamas, che fa capo a Khaled Meshaal, rimasto abbarbicato alle vecchie posizioni d’intransigenza nei confronti dello stato d’Israele, e ostaggio dell’ospitalità siriana. In questa fase, se il governo israeliano di Olmert e quello americano di Bush avessero effettivamente intenzione di creare le condizioni per la nascita di uno stato palesatine all’interno della storica green line, altro non dovrebbero fare che favorire le propensioni di Haniyeh, aiutandolo ad arginare l’estremismo dell’ala oltranzista di Hamas e della frazione palestinese della Jihad. Ma le cose non stanno in questi termini. Nei fatti la preoccupazione dell’imperialismo americano è di sospendere l’opzione di due popoli e due stati e di assecondare, ancora una volta, le strategie annessionistiche d’Israele in chiave anti iraniana. Da sempre l’Iran è nell’occhio del ciclone, ma mai come in questo periodo. È il quarto produttore petrolifero mondiale; è l’asse portante tra i bacini petroliferi del medio oriente e quelli centro asiatici, è pedina economica e strategica di vitale importanza, soprattutto dopo gli insuccessi statunitensi in Afghanistan e in Iraq. È storicamente nemico degli Usa dal 1979, anno in cui lo stato teocratico ha loro sottratto una fonte d’approvvigionamento petrolifero privilegiata come era ai tempi dello Shà Reza Phalawi. Inoltre, nella fase attuale, la strategia americana è orientata a sottrarre l’Iran all’influenza degli imperialismi concorrenti, Cina e Russia in primo luogo, e ad impedire che il regime di Ahmadinejad rompa la prassi della denominazione del prezzo del petrolio in dollari sostituendolo con l’euro o con qualche altra divisa comunque diversa dal dollaro. Il che creerebbe una pericolosa breccia nel tentativo americano di mantenere, anche con la forza, la supremazia del dollaro a sostegno della rendita parassitaria. In altri momenti il governo americano avrebbe già risolto la questione con l’ennesima guerra, ma gli empasse a cui è costretto in questo periodo, rendono la cosa, se non impossibile, molto improbabile. C’è il tentativo del governo di Washington di coinvolgere l’Onu nella vicenda, prendendo a prestito la questione nucleare, ma Cina e Russia non permetterebbero mai forme di embargo economico, né tanto meno, avventure militari. Per cui l’unica soluzione di ricambio, di profilo più basso, è quella che prevede un cambiamento di regime interno, preparato a dovere dalle intelligence americane, giocata sulla crisi economica interna e sullo stato di pesante malessere della popolazione.

I dati ci dicono che il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il paese è da anni attraversato da scioperi nei settori vitali dell’economia: nei trasporti, tra i lavoratori petroliferi, nel settore petrol-chimico. Il regime teocratico finora ha risposto con una violenta e criminale repressione, uccidendo alcuni manifestanti e arrestando i capi politici degli scioperi e delle rivolte. All’esterno il governo di Ahmadinejad si è tatticamente proposto come il difensore del mondo islamico, il vero avversario dell’imperialismo americano, il nucleo medio orientale attorno al quale si deve ricomporre l’alternativa politica all’aggressione occidentale. In funzione di ciò ha promesso 50 milioni di dollari al governo di Hamas, quale concreto contributo alla causa palestinese e, soprattutto, a sostegno del suo ambito ruolo di leadership nella calda zona petrolifera medio orientale.

In questo scenario lo stato d’Israele è richiamato, più che mai, a svolgere la sua funzione di deterrente militare e di fedele alleato politico degli Usa che, in cambio, sono disposti, alla faccia delle dichiarazioni precedenti, ad assecondare i progetti di annessione di alcuni territori della Cisgiordania del governo Olmert. Sono anche disponibili, inoltre, a colpire economicamente il governo di Hamas, inibendo le sue iniziali propensioni per una fase di riapertura delle trattative di pace. L’inevitabile risultato è quello di avvicinare ulteriormente Hamas al regime teocratico iraniano. Legata a doppio cappio dai vincoli economici e politici di una alleanza che l’isolamento le impone, subirà tutte le conseguenze del caso, che certamente saranno peggiori dei problemi pregressi.

Per i proletari palestinesi, già gravati dalla difficilissima condizione economica e da una disoccupazione che investe più del 60% della popolazione attiva, la prospettiva è quella di avere a che fare con un governo sempre più simile a quello iraniano, dove la miseria economica e la fame saranno coniugate con la più brutale delle repressioni qualora la disperazione dovesse generare ribellioni. Esattamente come per i proletari iraniani brutalmente repressi dal governo teocratico di Ahnadinejad, lo sponsor economico e politico del nuovo governo di Haniyeh.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.