Il doppio fronte dei precari Atesia

Attacco padronale e raggiro sindacale

... per il mio vissuto non ho avuto l’occasione di entrare in contatto con i sindacati, ma adesso provo un senso di frustrazione. È come parlare a un ebete: gli fai una domanda non sanno rispondere, se rispondono lo fanno con argomentazioni che non c’entrano niente. Poi se continua il discorso contraddicono quello che hanno detto un minuto prima. Boh, ma li hanno scelti apposta? Comunque la critica all’azione sindacale non va rivolta ai porta-ordini, che fanno il loro mestiere, ma ai responsabili delle trattative (Dio ci aiuti).

Questo è uno dei tanti interventi pieni di rabbia e di sconcerto che si possono trovare sul forum del Collettivo dei Precari Atesia ( precariatesia.altervista.org ), ma per comprendere le ragioni di tale disorientamento bisogna fare un passo indietro, all’11 aprile scorso, quando i sindacati confederali firmano l’ennesimo accordo bidone con la COS, la società che gestisce il più grande call center d’Italia: Atesia, appunto.

Quel giorno, i presunti rappresentanti dei lavoratori siglano un contratto che chiamare infame è dire poco. CGIL-CISL-UIL superano se stesse, cioè la lunga prassi di imporre rinnovi contrattuali al ribasso, riuscendo nella non facile impresa di peggiorare addirittura la legge 30. Passi - si fa per dire - per CISL e UIL, che hanno sempre apprezzato la famigerata legge, ma per la CGIL si tratta o, meglio, si tratterebbe di un’aperta contraddizione con quanto va cianciando sulla necessità di abolire la legge in questione. In realtà, al di là degli imbarazzi e malumori di una parte della stessa CGIL, l’accordo dell’11 aprile non fa altro che ricalcare la logica di quello del maggio 2004, che già era uno schiaffo sonoro alle migliaia di precari che costituivano e costituiscono la stragrande maggioranza della forza-lavoro della Atesia.

In aprile, le cosiddette parti sociali decidevano che solo una piccola parte dei circa 4.000 lavoratori sarebbe stata assunta a tempo indeterminato, poco più di 400 avrebbero “beneficiato” del contratto di inserimento, 1.100 di quello di apprendistato - quando però la legge 30 impone il rapporto tra fissi e apprendisti di 1 a 1 - mentre un altro migliaio avrebbe continuato a lavorare nella condizione di LAP (lavoratore a progetto), forma mutante ma egualmente schifosa del co.co.co. Si badi bene: esclusi quelli a tempo indeterminato, nessuno avrebbe avuto poi la garanzia dell’assunzione duratura, una volta scaduti i termini dell’apprendistato o dell’inserimento. Inoltre, per tutti il lavoro sarebbe stato come prima a part-time, anzi con una turnazione distribuita praticamente su tutto l’arco delle giornata, tanto per non far dimenticare ai lavoratori di essere una semplice appendice della macchina. Gli stipendi? Una miseria, nemmeno settecento euro al mese. Ma ogni abbuffata che si rispetti non è completa se alla fine non arriva il dolce e difatti i camerieri sindacali hanno servito al padrone la completa discrezionalità per i restanti 900 lavoratori (circa) non compresi nel conteggio precedente, ossia la possibilità di sbatterli fuori senza tanti complimenti.

Al danno è seguita immancabile la beffa. Infatti, il sindacato aveva promesso che il 15 maggio avrebbe organizzato un referendum sul “gradimento” dell’accordo, ma, com’era ampiamente prevedibile, quella data è passata e del referendum neanche l’ombra. Nel frattempo, l’azienda, di proprietà di un “grande elettore” della Margherita, ha cominciato a non rinnovare il contratto a 400 precari, il che equivale a un licenziamento e per di più politico, visto che si è cominciato da coloro che fanno parte del combattivo “Collettivo Precari” o semplicemente che hanno compiuto un gesto di dignità, non abbassando la testa di fronte alla prepotenza dei soliti squallidi capi..

La condizione dei lavoratori nei call center è ovunque difficile, vedi, per fare un altro esempio, il call center della Cosmed di Palermo, dove il salario mensile si aggira sui 250 euro e proprio in questi giorni i lavoratori stanno lottando contro la pretesa del padrone di ridurlo ulteriormente (il manifesto, 1-6-06). Ma diventa ancora più difficile se, appunto, i precari si ribellano a una vita impossibile, perché - è banale sottolinearlo - la precarietà è un potentissimo strumento di ricatto nelle mani dei nuovi schiavisti: i padroni della cosiddetta new economy. Lo scorso anno sono stati licenziati cinque lavoratori appartenenti al Collettivo, adesso è la volta degli altri. L’obiettivo è di un’evidenza solare: fare piazza pulita dei “rompicoglioni”, intimidire tutti.

Come da copione, il giorno della notifica dei licenziamenti è comparsa la polizia a tutelare i democratici diritti del padrone: le “teste calde”, sono sempre pronte a creare disordini.... E il nuovo governo? Ministri e sottosegretari, tutti rigorosamente “di sinistra”, finora non hanno speso altro che chiacchiere e vaghi inviti a sospendere i licenziamenti. A questo flebile coro si è unita anche la CGIL (Oscar alla migliore faccia di bronzo!), invitando Atesia a sospendere fino a nuova verifica (?) l’accordo da lei stessa stipulato e decantato.

Dunque, ritorniamo alla domanda del disorientato precario: i sindacalisti sono degli ebeti? Casi singoli - più o meno numerosi - a parte, la risposta è no. Il sindacato è un organo di contrattazione della vendita della forza-lavoro all’interno del mercato capitalistico: dunque, presuppone il capitalismo, non il suo superamento. Da organismo esterno e per molti aspetti antagonistico al capitale, quale era alla sua nascita, ha finito inevitabilmente per integrarsi nei meccanismi della società borghese, diventandone l’indispensabile strumento di gestione della forza-lavoro. Distribuendone le briciole nelle epoche di prosperità economica, imponendo sacrifici nelle epoche di crisi come quella che stiamo vivendo. Per questo, non si propone di abolire la precarietà né lo sfruttamento in generale, ma solo di amministrarli, con l’obiettivo di circoscrivere, isolare e infine soffocare i possibili focolai di vera lotta di classe là dove, nonostante tutto, si manifestano. Il suo compito - compresi i sindacatini sedicenti di base - è quello di gestire vertenze, non di organizzare lotte anticapitalistiche che, per loro natura, tendono al superamento degli steccati di categoria e di azienda che servono per dividere i lavoratori fra di loro. Il suo orizzonte invalicabile è il capitale e con questo collabora nel mortificare e colpire coloro che pensano che questo non può essere l’unico modo di vivere. E poiché ogni fine ha i suoi mezzi, i sindacalisti di mestiere sono maestri della parola ambigua, degli equilibrismi linguistici, del puro e semplice imbroglio.

Per tutto ciò i combattivi precari di Atesia possono contare solo su se stessi in questa difficilissima lotta. Ma l’aver avuto la forza di alzare la testa nelle condizioni più sfavorevoli è già un grosso risultato. Un altro - che vincano o che perdano - sarebbe quello di dare continuità a questo grande patrimonio di esperienza, di socializzazione e di lotta; ma per fare questo, occorre un ulteriore salto di qualità: ricostruire un autentico partito comunista.

cb

PS. Mentre queste note venivano scritte, i lavoratori Atesia hanno aderito in massa allo sciopero organizzato dal Collettivo - il primo giugno - il padrone ha risposto con la serrata, il governo con le solite ambigue promesse.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.