Il capitale divora i suoi figli

Su una recente ricerca del Censis

Quante volte siamo stati accusati di schematismo, di utilizzare strumenti interpretativi vecchi, legati a un passato ormai remoto? Praticamente sempre, visto che dall’impianto accusatorio dei nostri avversari ne doveva discendere - e ne discende - che con le nostre analisi dovremmo essere collocati in un museo del folklore, da osservare, nei casi più benevoli, con curiosità o un sorriso di compatimento.

Ogni tanto, però, e pur senza volerlo, ci viene in aiuto la stessa “scienza” sociale borghese che, purché si sappia tradurre correttamente, dimostra quanto la nostra lettura della realtà sia fondata su fatti ben concreti e non sui preconcetti o gli autoinganni di cui si alimenta l’ideologia della classe dominante in tutte le sue sfumature.

Nella prima metà di giugno è uscito un lavoro del Censis - noto istituto di ricerca - sulla mobilità sociale ossia su come si muovono gli individui su e giù per i gradini della scala sociale. I risultati, per molti, sono stati piuttosto sorprendenti e hanno avuto l’onore delle prime pagine dei giornali. In pratica, certificano che non solo c’è la forte tendenza all’immobilismo, ma che, se di movimento di deve parlare, questo consiste per lo più in una discesa verso il basso. Il fenomeno riguarda soprattutto la piccola e media borghesia, quel famigerato ceto medio diventato il principale referente di ogni schieramento politico (parlamentare).

La maggioranza dei figli della piccola borghesia, quasi il 64%, rimane nella stessa posizione del padre, un 22,5% scende nella classe operaia e circa il 14% sale al piano superiore della borghesia vera e propria. Per i figli della classe operaia, invece, una valutazione precipitosa potrebbe rilevare un’effettiva promozione sociale, dato che un 47,3% diventa piccola borghesia, ma, come per altro sottolinea lo stesso Censis, in realtà questo movimento ascensionale è dovuto più alle modificazioni avvenute nel sistema economico-produttivo che alle possibilità di migliorare la propria posizione offerte dal mercato, come pretende il mito fondatore del mondo borghese. D’altro canto, basta semplicemente guardarsi attorno, senza scomodare sofisticati sistemi statistici, per constatare che se tanti figli di operai non fanno più il mestiere del padre, fondamentalmente è perché l’area del lavoro strettamente operaio si è ridotta, mentre quella dei servizi si è notevolmente accresciuta, e non solo in Italia, ovviamente. Però, ciò non significa affatto che ci sia stata una vera “promozione sociale”, come amano dire i borghesi, sebbene sia indubbio che in tanti settori del terziario le condizioni di lavoro sono meno dure che in fabbrica. A parte questo, anche nei servizi - e ci riferiamo in particolare a quelli pubblici - si stanno da tempo imponendo forme di organizzazione del lavoro tipiche della fabbrica (ritmi, carichi, produttività, ecc.), per cui, tenendo anche conto degli stipendi tutt’altro che astronomici, è sempre meno vera l’equazione lavoratore dei servizi (pubblici)=lavoratore privilegiato; naturalmente, ammesso e non concesso che questa equazione abbia avuto, al di là dei luoghi comuni, una valenza generalizzata.

Ma la vera sorpresa, se così si può dire, dell’indagine Censis, riguarda i figli della borghesia propriamente detta, “medio-piccoli imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e quadri alti” (L.Grion, “Borghesi sempre più piccoli”, La Repubblica del 9 giugno ’06): il 50,4% di essi scende nella piccola borghesia e addirittura il 9,6% nella classe operaia. Se a questo dato si aggiunge quel 22,5% di piccola borghesia di cui si parlava prima, possiamo proprio dire che quando parliamo di proletarizzazio-

ne e/o minaccia di proletarizzazione incombenti su questi strati di borghesia medio-piccola, non inventiamo né esageriamo nulla, ma semplicemente filmiamo un processo in corso. Ed è da scombussolamenti sociali di questo tipo che nascono movimenti e ideologie “contestatarie” come quello, per citare il più recente, no-global. Non a caso, è sempre il Censis a dirlo, i settori borghesi maggiormente colpiti da “processi di mobilità discendente”non sono quelli imprenditoriali - i padroni, tanto per intenderci - ma quelli delle professioni ed “intellettuali” in genere. Chiunque può vedere coi propri occhi che un giovane laureato - e ricordiamo che solo il 5,4% dei laureati proviene dalle classi più basse, contro il 32,1% dei giovani borghesi ! - trova sempre più spesso lavori - non solo nel terziario - contrassegnati da una precarietà selvaggia e da stipendi che, se si avesse voglia di ridere, si potrebbero definire ridicoli: secondo uno studio prodotto alla fine del 2005 dall’istituto Ires-CGIL, il 28,2% dei giovani laureati non guadagna più di 800 euro mensili, contro il 25% dei titolari di sola licenza elementare e il 14,1% in possesso della licenza media. Certo, per tutti i giovani lavoratori, indipendentemente dal titolo di studio, ci sono precarietà e bassi stipendi a volontà, ma il dato in parte nuovo è che tutto questo investe massicciamente anche chi proviene da quelle classi fino a qualche tempo fa relativamente al riparo da forme così spinte di insicurezza sociale.

In assenza di un proletariato che lotta e, insieme, di un punto di riferimento autenticamente classista - il partito rivoluzionario - è normale che questa massa di borghesia dal futuro - come il presente - quanto mai fosco, occupi la scena politica con i suoi movimenti e le sue astruse ideologie solo apparentemente antagoniste all’odierno capitalismo. Dietro alle “moltitudini” e al “cognitariato” ci sono migliaia e migliaia di giovani di origine borghese costretti a subire le più odiose forme di sfruttamento, anche se al posto della tuta blu indossano il microfono di un call center.

La ricomposizione politica di questi nuovi sfruttati dal capitale col resto della classe è una priorità, ma ancor più prioritaria è la ricomposizione di quei compagni e quelle compagne ancora isolati per ricostruire il partito di classe, senza il quale il primo obiettivo, due righe indietro indicato, diventa una “missione impossibile”.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.