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Condizioni e lotte operaie nel mondo
Grecia
Gli insegnanti delle scuole primarie hanno portato avanti uno sciopero di sei settimane per richiedere un aumento salariale e più investimenti pubblici nell’educazione, la Grecia è infatti il paese europeo che spende la minor percentuale del suo Pil nell’istruzione.
Lo sciopero ha avuto una forte risonanza in tutto il paese, soprattutto in seguito ad una grande manifestazione il 26 ottobre nel centro di Atene; gli insegnanti hanno ricevuto il sostegno di altri settori lavorativi e prima di tutto dei loro colleghi delle scuole secondarie e hanno deciso di continuare la loro protesta finché le richieste salariali non saranno soddisfatte.
Per questo molte scuole non hanno ancora iniziato il normale svolgimento delle lezioni dall’inizio dell’anno scolastico, a metà settembre.
La loro lotta s’inserisce in un contesto di forte rabbia contro le riforme economiche portate avanti dal governo e ha trovato il supporto anche degli studenti che hanno dato vita a un ampio movimento (in tutto il paese a fine ottobre c’erano oltre 1100 scuole superiori occupate) e di tutti i dipendenti statali, scesi a loro volta in sciopero nazionale contro il peggioramento delle loro condizioni.
Il governo dice di non poter soddisfare le richieste e, come spesso accade, di essere costretto a compiere queste riforme antiproletarie per rientrare nei parametri europei di Maastricht.
Cina
Nel sud della Cina, a Dongguan, una città di recente immigrazione, si susseguono da mesi numerosi scioperi e manifestazioni di lavoratori che contro lo sfruttamento insostenibile a cui sono sottoposti.
Gli operai di una fabbrica della Merton company hanno intrapreso una lotta durissima contro le inumane condizioni in cui sono costretti a lavorare e vivere.
Come in molte fabbriche cinesi, alla Merton gli operai lavorano spesso 11 ore al giorno, senza diritto di ferie e arrivando a volte anche a 70 ore di straordinari mensili, senza ricevere compenso nei giorni di malattia o festivi; tutto questo per un salario di circa 71 dollari al mese, di cui però una parte deve essere restituita all’azienda per pagare i pasti e il posto nel dormitorio dello stabilimento.
Proprio nei dormitori, dove gli operai vivono ogni giorno ammassati, è scoppiata la protesta che si è poi estesa a tutti i lavoratori continuando per alcuni giorni. Gli scontri con le guardie dell’azienda sostenute dalla polizia sono stati molto violenti, con decine di arrestati e feriti.
Questa rivolta ha avuto risonanza in quanto la Merton produce soprattutto oggetti in plastica per grandi multinazionali nordamericane come McDonald’s, Mattell, Disney e Hasbro: ma al di là di un ottuso antiamericani-smo, le condizioni in cui vivono questi operai sono le stesse in cui si trovano milioni di operai in tutta la Cina.
Purtroppo infatti, anche secondo il China Labor Watch, è “normale” per un operaio cinese essere sfruttato per 12 ore al giorno o lavorare tutta la notte se le esigenza produttive lo richiedono, e passare più di 16 ore all’interno della fabbrica.
La Cina è solo l’esempio più eclatante di come in questa fase di crisi i grandi capitali tendano a spostarsi verso i Paesi un tempo periferici, dove la competitività è garantita da un costo del lavoro quasi irrisorio dovuto allo sfruttamento feroce del proletariato locale.
Messico
La Continental Tire, una multinazionale che impiega quasi 20.000 operai in tutto il mondo, è un altro esempio della tendenza a delocalizzare la produzione da parte del capitalismo a livello mondiale.
La compagnia infatti negli ultimi anni ha chiuso 10 stabilimenti in Europa e negli Stati Uniti, e ha aumentato la sua produzione in altri paesi, soprattutto in sudamerica, dove le possibilità di sfruttare i lavoratori sono molto più ampie. In questi paesi è infatti possibile non pagare i premi di produttività e gli straordinari, inoltre gli orari di lavoro sono molto più lunghi e i salari base più bassi.
Gli operai della Tire in Messico hanno iniziato una protesta contro le condizioni in cui sono costretti a lavorare, e hanno trovato il sostegno dei loro compagni in altri paesi. Ora i lavoratori delle fabbriche in Brasile, Argentina, Messico e USA stanno cercando di organizzarsi per intraprendere una lotta comune contro il loro comune padrone.
L’ennesimo efficace esempio di come l’attacco della borghesia alle condizioni di vita del proletariato non abbia confini territoriali e di come sia quindi sempre più pressante la necessità di un’organizzazione della classe operaia a livello internazionale.
Australia
Sono numerose le lotte nel paese contro la tendenza, comune a tutto il mondo, in molti settori della produzione ad adottare contratti di lavoro individuali.
All’inizio di novembre centinaia di operai tessili hanno scioperato contro la decisione della loro fabbrica di utilizzare solo i nuovi contratti individuali, chiamati Australian Workplace Agreements (AWA), al posto dei contratti collettivi.
I lavoratori protestano anche perché sembra abbiano subito forti pressioni per firmare questi contratti, come minacce di licenziamento e il rifiuto del pagamento di alcune indennità.
juBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2006
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