Petrolio africano

Possibile fronte della guerra preventiva americana

Guerra preventiva perché

Anche un approccio superficiale a quella che l’amministrazione statunitense da anni definisce guerra preventiva non può non evidenziare come questa stia diventando la tendenza caratterizzante dell’imperialismo americano nella fase storica che stiamo vivendo. E l’uso della guerra preventivamente, cioè prima che sia compiuto un atto che la possa borghesemente giustificare, necessita di un nemico che non deve essere messo in condizione di operare.

Più che al terrorismo nella versione fondamentalista islamica, che pure ha la sua parte al pari del terrorismo degli Stati, occorre guardare all’economia americana per capire cosa gli USA intendono prevenire. I dati sul declino economico americano sono noti e circolano in ogni pubblicazione, e questo declino trova la sua evidenza macroscopica nel forte debito commerciale e negli enormi debiti statale e privato. Ciò che permette agli USA di reggere un simile disastro economico consiste nell’avere a disposizione la moneta delle transazioni internazionali, la moneta di riserva valutaria. Infatti chi vuole acquistare la materia prima che fa girare il mondo, il petrolio, deve prima acquistare dollari, accumulare riserve valutarie in dollari ad esempio con un attivo della propria bilancia commerciale. Invece, a differenza di tutti gli altri paesi, gli Stati Uniti possono permettersi di importare merci semplicemente stampando dollari, come possono allegramente finanziare il debito dello Stato emettendo buoni del tesoro. Possono cioè indebitarsi divenendo la nazione parassita dell’economia mondiale perché il ruolo privilegiato del dollaro glielo permette: a patto però che continui a rimanere la moneta mondiale, soprattutto la moneta con cui si paga il petrolio, e così garantire la rendita finanziaria legata al prezzo dell’oro nero. Il controllo del petrolio è quindi importante non solo dal punto di vista dell’approvvigionamento, ma perché è strategicamente vitale in quanto rende possibile la sopravvivenza degli Usa in quanto maggiore potenza imperialistica.

È questa possibilità, la luna, che gli USA non possono permettersi il lusso di perdere per difendere la quale è essenziale il controllo del petrolio mondiale. (1)

Ed il controllo militare del petrolio deve anche prevenire il fatto che il dollaro venga sostituito come mezzo di pagamento, seppur solo parzialmente, da altre monete. Ma non si può pensare di attaccare preventivamente, direttamente o indirettamente, tutto il mondo per imporre il proprio potere e con esso il proprio tributo, senza provocare la benché minima reazione; senza contribuire, seppur involontariamente, ai tentativi di ricostruzione di nuovi fronti imperialisti che ambiscono a partecipare all’appropriazione del tributo. Il capitalismo nella sua fase imperialista è sì divenuto sistema mondiale, ma rimane pur sempre diviso politicamente in Stati, o gruppi di Stati, imperialisticamente concorrenti con diversi tassi di sviluppo e diversi appetiti geostrategici. Ed anche di traverso a questo processo di rimescolamento e ricostituzione di un nuovo fronte imperialista che gli USA si pongono. Del resto i due problemi petrolio-dollaro-rendita ed opposizione alla formazione di un polo imperialista concorrente sono strettamente legati e determinano quello che all’inizio abbiamo indicato come tendenza caratterizzante di questa fase storica. Cioè gli Stati Uniti, per mantenere la loro condizione di privilegio, usano l’unico strumento di cui godono una relativa superiorità: la forza militare. Oggi gli USA rappresentano circa la metà di tutte le spese militari nel mondo, mentre la loro produzione di merci è pari al 20% di quella mondiale. Il mantenimento della catena petrolio-dollari-rendita finanziaria è militarmente costosissima, ma nel contempo permette il sostegno di quelle spese. La guerra è così l’unica forza della “debolezza” economica americana, e la guerra preventiva non è altro che il permanente stato di guerra degli Stati Uniti. Ma, tornando al petrolio, non esiste solo il petrolio Mediorientale, Eurasiatico o Latinoamericano.

Il petrolio africano...

In un documento del 2005 così si espresse il Consiglio per gli Affari esteri USA:

Per la fine del decennio è probabile che l’Africa sub-sahariana diventerà una fonte di approvvigionamento energetico USA di importanza pari al Medio Oriente.

“Oltre l’umanitarismo: un approccio strategico degli Stati Uniti verso l’Africa”.

Già nel 2002 la strategia di sicurezza nazionale americana prescriveva un aumento dell’impegno in Africa al fine di contrastare il terrorismo e garantire la sicurezza energetica. Da allora il Comando europeo degli USA competente per le operazioni nell’Africa sub-sahariana accrebbe la propria attività dedicandosi principalmente agli Stati del Golfo di Guinea ( Nigeria, Angola, Guinea equatoriale, Gabon, Camerun e le isole di Sao Tomé e Principe ) dove vi è una consistente produzione e/o riserva petrolifera. L’Africa occidentale ha circa 60 miliardi di barili di riserve petrolifere accertate, Nigeria ed Angola forniscono già il 14% del petrolio importato dagli Stati Uniti, inoltre si stima che gli USA importeranno dal Golfo di Guinea il 20% entro il 2010 ed il 25% entro il 2015 del loro fabbisogno di petrolio. Così nel 2002 gli Stati Uniti installarono la loro principale base permanente a Gibuti nel Corno d’Africa per controllare le vie del petrolio tra Africa e penisola Arabica. Altre strutture operative vengono costituite in Uganda, per controllare il Sudan meridionale ricco di petrolio, in Senegal, Mali, Ghana e Gabon. Sempre il Comando europeo USA per l’Africa sta sviluppando un sistema di sicurezza costiera nel Golfo di Guinea, chiamato Guardia del Golfo di Guinea, mentre ha pianificato di costruire una base navale a Sao Tomé e Principe. Gli Stati Uniti stanno così intensificando la loro presenza in quest’area sia diplomaticamente che militarmente al fine di controllare una vasta fascia petrolifera transafricana e le riserve che lì si vanno scoprendo. Fascia petrolifera già delineata in direzione sud-ovest dall’oleodotto di 1600 chilometri Higleig-Port Sudan, nell’Africa orientale, e dall’oleodotto di 1000 chilometri Ciad-Camerun-Golfo di Guinea nell’Africa occidentale. È quindi palese l’interesse strategico dell’imperialismo americano verso il petrolio africano tanto più che all’interno dell’establishment USA si fa strada l’idea, che soggiace ad una necessità, di un cambiamento geopolitico nella politica energetica americana privilegiando il Golfo di Guinea quale suo principale terminale petrolifero. Si approfondirà cosi il saccheggio e l’impoverimento di un continente; basti pensare che la quota africana del PIL mondiale è crollata dal 3,9% del 1980 all’1,8% del 1999 e che, sempre nel 1999, il 47% della popolazione africana viveva con meno di 1 dollaro al giorno, continente già abbondantemente martoriato da guerre civili e conflitti etnici, da instabilità politica indotta e da regimi corrotti e criminali il cui scopo è garantire alle multinazionali il libero accesso allo sfruttamento delle materie prime in cambio dell’arricchimento dell’elite di potere. Soprattutto aumenteranno le sofferenze, le privazioni, le mutilazioni dei popoli e dei proletari africani per i quali la tendenza è quella di essere carne da macello per le guerre, carne da sfruttamento migrante o in alternativa morire di inedia o di AIDS. Si risolve così il problema dell’eccesso di proletariato che non deve essere sfruttato dalle borghesie locali perché, nel complesso, il continente africano non si deve sviluppare, ed i dati sul PIL prima citati lo confermano facendolo ufficialmente considerare un continente inutile, al fine di meglio adattarlo al suo ruolo internazionale, imposto dall’imperialismo, di economia di saccheggio e di guerra.

... Però si tinge di giallo

Sempre dal documento del Consiglio per gli Affari esteri USA si può leggere:

La Cina ha alterato il contesto strategico in Africa. Oggi, in tutta l’Africa, la Cina acquisisce il controllo delle risorse naturali battendo le offerte dei concorrenti occidentali sui grandi progetti infrastrutturali e fornendo finanziamenti agevolati e altri incentivi per rafforzare il proprio vantaggio competitivo.

"Oltre l’umanitarismo:.." doc. citato.

E così si espresse il Pentagono nel suo rapporto sulla Cina del 2005:

Poiché la Cina ha bisogno di accrescere la quantità di energia e risorse disponibili, Pechino ha tratto la conclusione che l’accesso a queste risorse necessita di relazioni politiche ed economiche in Medio Oriente, Africa, America Latina, tali da avvicinare la Cina a paesi problematici quali l’Iran, il Sudan e il Venezuela. (2)

E la stampa italiana fa il verso americano ipotizzando un legame petrolifero tra dittature che violano i diritti umani:

Tra i primi dieci fornitori petroliferi di Pechino, nel 2005, figurano l’Angola, l’Iran, il Sudan, il Congo Brazzaville e la Guinea Equatoriale. Tutti paesi che, se non allergici allo Stato di diritto, con la democrazia hanno poco a che fare. (3)

Paesi problematici, dittature, violazione dei diritti umani, quindi emergenza democratica contro dittatura: è un film già visto che necessita di nuovi accadimenti per giustificare altri conflitti. E mentre gli USA si attivano per contenere militarmente l’espansionismo economico (esportazione di capitali) cinese ricucendo anche alleanze anticinesi in Asia, la Cina, cosciente della sua evidente inferiorità militare, fa business. Ormai la Cina è il secondo consumatore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti, viaggiando a 6 milioni di barili al giorno, questo consumo si raddoppierà entro il 2020 rendendo inevitabile una più aspra competizione per il controllo delle sempre più scarse riserve di greggio. Angola, Sudan, Congo e Guinea Equatoriale hanno fornito nel 2005 33,3 milioni di tonnellate di petrolio alla Cina con un incremento rispetto al 2004 del 45%. Anche il volume del commercio tra Cina e Africa è arrivato nel 2005 a 40 miliardi di dollari, 35% in più rispetto al 2004. E proprio i giacimenti petroliferi africani si rivelano essere promettenti, tanto che la Cina negli anni 90 del secolo scorso ha investito 8 miliardi di dollari in Sudan, 9 miliardi nel 2005 in Nigeria e concesso nel 2004 un prestito di 2,5 miliardi di dollari all’Angola per la ricostruzione del paese dopo 27 anni di guerra civile. Tale prestito ha permesso all’Angola di rifiutare quello, con le annesse politiche neoliberiste ed il legame col dollaro, del FMI. Le uniche condizioni cinesi sono l’inizio della restituzione del prestito dal 2007 e che il 70% dello stesso andrà a compagnie cinesi per i lavori di ricostruzione. (4)

L’Angola è il secondo fornitore di petrolio della Cina con 17,5 milioni di tonnellate nel 2005, il Sudan esporta il 70% del suo petrolio in Cina, ma tutti i petrodollari incamerati non servono allo sviluppo. L’Angola è uno dei paesi più poveri al mondo, un bambino su 4 non raggiunge i 5 anni, la vita media è attorno ai 40 anni, la disoccupazione coinvolge il 70% della popolazione. Ed oltre al petrolio, spiega il professore Heitor viceministro angolano delle finanze fino al 2001:

Abbiamo fiumi, un mare molto pescoso, terreno davvero fertile. Rame, diamanti, anche l’uranio. Eppure importiamo tutto. Persino viti, acqua e sale.

La Cina sta così acquisendo un ruolo globale nella lotta per il petrolio cosa che dà molto fastidio agli Stati Uniti soprattutto se la Cina punterà al rafforzamento della sua potenza militare. Però i rapporti economici tra Cina ed USA, per il momento, spingono quest’ultimo ad una moderazione relativa. Nel 2005 gli Stati Uniti hanno fatto registrare un deficit commerciale nei confronti della Cina pari a 202 miliardi di dollari (5), ma soprattutto la Cina è diventata il banchiere dell’America in quanto impiega parte del suo enorme surplus commerciale per acquistare buoni del tesoro statunitensi e accumulare riserve valutarie in dollari (nel 2004 la Cina deteneva 600 miliardi di dollari in riserve valutarie e buoni del tesoro). Così la Cina mentre aiuta gli americani a sostenere il corso del dollaro e mantenere relativamente basso il tasso di interesse, nel contempo li condiziona. Ed oltre alle schermaglie sulla rivalutazione del yuan, sull’apertura del mercato cinese, e sui diritti umani, l’America ha soprattutto bisogno che la Cina continui a finanziare il suo debito e a detenere i suoi buoni del tesoro. Non si vede però la chiusura del cerchio, anzi la crisi di ciclo del capitale si avvita in una sempre più vorticosa spirale che tendenzialmente trova nei conflitti armati una soluzione, ed il petrolio africano potrebbe essere la fonte di nuove guerre preventive.

Massimo Ravizzotti

(1) “Decadenza, decomposizione prodotti della confusione”, Prometeo n. 10 serie VI, dicembre 2004.

(2) Per i due documenti americani vedi “Obiettivo Africa”, in Guerre & Pace n. 132 settembre 2006 e “Chi gonfia la minaccia cinese?”, in Guerre & Pace n. 126 febbraio 2006.

(3) “Il Dragone e le petrodittature”, e “Tra quattro anni Cina prima potenza”, Il Sole-24 ore, 22 aprile 2006.

(4) “Operai cinesi in Angola in cambio di petrolio”, Il Sole-24 ore, 16 ottobre 2005. “Dalla Nigeria all’Indonesia Pechino a caccia di petrolio”, Il Sole-24 ore, 15 gennaio 2006. La Cina cerca inoltre di aggiudicarsi altri giacimenti in Guinea Equatoriale e Gabon.

(5) “Hu corteggia Bush con cento contratti”, Il Sole-24 ore, 16 aprile 2006.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.