Saddam Hussein: storia di un’esecuzione affrettata

Della feroce dittatura di Saddam sappiamo tutto o quasi. Da quando è arrivato al potere, nel 1979, la sua gestione politica è stata costellata da una serie infinita di crimini.

Tutte le opposizioni hanno dovuto subire il peso della repressione fisica oltre che politica. Ne hanno fatto le spese l’inerme popolazione civile, il proletariato, indipendentemente dall’etnia d’appartenenza, meglio se curdi e sciiti, i membri del partito comunista (seppure stalinista) letteralmente cancellato dalla carta politica del paese e le fazioni borghesi concorrenti curda e sciita, annientate fisicamente ed esautorate da qualsiasi forma di gestione del potere. Il tutto a favore di un’oligarchia basata sulla rendita petrolifera che vedeva al vertice lo stesso Saddam e i membri della sua famiglia e, alla base della piramide, gli appartenenti al suo clan.

Fino a quando i suoi interessi hanno coinciso con quelli dell’imperialismo “occidentale”, in primo luogo statunitense, non ci sono stati particolari problemi, ma appena hanno cominciato a divergere sono arrivati i guai: le guerre, la cattura e la morte. Nulla di nuovo sotto il cielo dell’imperialismo, ma un paio di cose vanno denunciate lo stesso.

Secondo il diritto internazionale degli stessi predoni imperialistici che lo hanno voluto hanno per dirimere le loro controversie, Saddam sarebbe dovuto essere consegnato, dopo la cattura, ad un organismo terzo e giudicato da un tribunale internazionale. Nulla di tutto questo è avvenuto. Il Rais è stato custodito in un carcere di massima sicurezza americano situato a pochi chilometri da Baghdad. Il tribunale era composto da giudici iracheni sciiti e politicamente gestito dalle forze di occupazione. Tre dei suoi presidenti sono stati destituiti perché non davano sufficienti garanzie. Tre membri del collegio di difesa sono stati uccisi, gli altri sottoposti a ricatti e minacce. Lo stesso Ramsey Clark, (alto magistrato americano, vice ministro della giustizia ai tempi di Kennedy e ministro nella successiva amministrazione Johnson) che aveva accettato di partecipare al collegio di difesa, si è dimesso, denunciando ogni genere di pressioni e ingerenze.

Saddam è stato processato e condannato all’impiccagione per la sola uccisione di 143 civili sciiti avvenuta nel lontano 1982 e volutamente il processo si è fermato a quell’eccidio, nonostante l’elenco delle nefandezze da lui compiute fosse molto più lungo; perché? La risposta è semplice: l’amministrazione Bush, da un lato sperava che l’esecuzione di Saddam avrebbe rafforzato la sua immagine e quella del governo Maliki; dall’altro, temeva un eventuale processo per i crimini commessi da Saddam contro i curdi e durante la guerra contro l’Iran perché sarebbe stato difficile separare le sue responsabilità da quelle del feroce dittatore iracheno, allora suo fedele e coccolato alleato.

Se Saddam ha usato i gas contro la popolazione curda, le armi di distruzione di massa (provenienti dagli stabilimenti chimici americani, inglesi e tedeschi), se ha invaso il Kuwait, se ha scatenato una guerra che ha causato due milioni di morti contro l’Iran di Khomeyni, lo ha fatto con l’avallo, l’appoggio e i rifornimenti militari americani. In breve, il mostro è stato cullato, cresciuto e poi eliminato quando non serviva più. Il tutto in uno scenario economico che vede gli USA impegnati - sotto la pressione dovuta all’ascesa dell’Euro sui mercati monetari internazionali - in una guerra permanente per il controllo della rendita petrolifera attraverso l’imposizione del dollaro quale unico mezzo di pagamento internazionale. Uno scenario, dunque, di scontro interimperialistico tra l’economia Usa, in profonda crisi, e il nascente processo di riaggregazione imperialistica internazionale.

Insomma, in un mondo in cui l’unica legge che vale è quella del capitale e l’unico diritto è quello del più forte, nella lotta tra briganti sanguinari, Saddam si è dimostato il più debole.

fd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.