A Parigi i grandi della terra discutono di ambiente e, come sempre, mentono

È il capitalismo il responsabile dei disastri ambientali

Si è svolta lo scorso 2 e 3 febbraio a Parigi la prima conferenza mondiale per una governance ecologica mondiale. A fare gli onori di casa è stato lo stesso presidente Chirac che si è riscoperto, in tarda età, paladino verde dell’ambiente. L’obiettivo della conferenza era quello di promuovere un’organizzazione internazione ecologica sullo stesso modello dell’Oms (organizzazione mondiale della sanità). Nel giro di qualche anno dovrebbe nascere una Onu ecologica, capace di far proprie le istanze ambientaliste che provengono da ogni angolo del mondo. Durante i lavori della conferenza si è formato un gruppo di lavoro composto da ben 45 rappresentanti di diversi paesi, i quali si sono dati appuntamento per la prossima primavera in Marocco per gettare le basi per una Dichiarazione universale dei diritti e doveri ambientali. In sostanza la Dichiarazione dovrà rappresentare la piattaforma ispiratrice per la futura organizzazione internazionale.

Il disastro ambientale è una realtà che nessuno può ormai più negare. E i potenti della Terra fanno finta di interessarsene senza, ovviamente, mettere sul banco degli imputati l’unico responsabile, ossia il modo di produzione capitalistico. Effetto serra, surriscaldamento del pianeta, scioglimento dei ghiacciai, buco nell’ozono, desertificazione di intere nazioni sono solo alcuni dei fenomeni con cui si manifestano i guasti determinati dalla logica del profitto che guida la produzione capitalistica. Per comprendere appieno i cambiamenti climatici determinanti dall’inquinamento atmosferico è interessante leggere le dichiarazioni di Richard Seager, esperto geofisico dell’Università della Columbia, rilasciate in occasione della pubblicazione del quarto rapporto di valutazione del panel intergovernativo sul cambiamento climatico, rapporto che ha raccolto ben 19 modelli climatici elaborati sulla base dei dati ambientali registrati.

La transizione verso un clima nuovo e più estremo scaturisce non da fluttuazioni delle temperature oceaniche, ma dalla trasformazione dei modelli della circolazione atmosferica e del trasporto del vapore acqueo che sorgono come conseguenza del riscaldamento atmosferico. (1)

Eventi atmosferici estremi che per la prima volta negli ultimi secoli hanno interessato anche il vecchio continente. Infatti lo scorso mese di gennaio, uno dei più caldi negli ultimi 100 anni, in molti paesi dell’Europa si è abbattuto un uragano di una tale violenza da causare decine di morti e produrre ingenti danni materiali.

I guasti ambientali prodotti dal capitalismo sono così devastanti che anche i suoi rappresentanti politici hanno fatto propria la priorità di porre un freno all’inquinamento. Ma possiamo dare ancora fiducia alle ciarle di lor signori? Ed ancora: permanendo gli attuali rapporti di produzione, è davvero ipotizzabile che la tutela dell’ambiente possa diventare la nuova frontiera dello sviluppo capitalistico? Non ci soffermiamo sul business del disinquinamento, al quale dedichiamo su questo numero del giornale un apposito articolo, ma vogliamo evidenziare come la stessa logica del profitto stia in totale contraddizione con la difesa dell’ambiente. Una contraddizione che non nasce dalla cattiva volontà del singolo capitalista o della classe dei capitalisti, o da una loro presunta malvagità, ma che si materializza per le caratteristiche dello stesso processo di accumulazione. Per il capitale esiste un unico scopo, quello di massimizzare il proprio profitto e, pur di realizzare tutto ciò, il capitale è pronto a tutto: affamare miliardi di proletari, scatenare guerre in ogni angolo del pianeta e perfino distruggere l’eco sistema terrestre.

Per alimentare il processo di accumulazione il capitale è portato inesorabilmente a ridurre quanto più possibile i costi della produzione e la strada intrapresa per dare concretezza a tale riduzione è stata la concentrazione dei mezzi di produzione e la nascita della grande impresa capitalistica.

L’impatto di una grande fabbrica sul piano ambientale è devastante, e non rappresenta la sommatoria dei danni che provocherebbero tante piccole imprese. Per fare un solo esempio di come siano le condizioni capitalistiche di produzione a determinare i disastri ambientali, basta considerare la costruzione della più grande diga al mondo realizzata in Cina. Ebbene nel paese asiatico tale costruzione, non solo ha imposto ad un milione di contadini l’abbandono dei propri villaggi per essere scaraventati negli slums delle grandi città cinesi, ma ha profondamente modificato sia il corso dei fiumi che lo stesso clima della regione. Se anziché una sola grande diga ne fossero state costruite tante di piccole dimensioni, l’impatto sociale ed ambientale sarebbe stato quasi nullo, però ad impedirlo è, come sempre, la logica dei profitti. In sostanza il capitale è prigioniero della dittatura dei costi fissi e non può assolutamente modificare questa tendenza alla concentrazione, pena la sua stessa negazione.

Non si può seriamente pensare di difendere l’ambiente se nello stesso tempo non si pone all’ordine del giorno il superamento di questo barbaro modo di produzione. E i disastri ambientali sono destinati ad aggravarsi con l’avanzare di una crisi economica che non lascia alla borghesia alcun margine di manovra per accreditare quello che loro definiscono come sviluppo sostenibile. L’eredità che ci lascia il capitalismo è pesantissima; compito dei proletari è quello di ricomporsi come classe sociale, costruire il proprio partito rivoluzionario e dar vita ad una nuova formazione sociale che ponga in primo piano i bisogni degli uomini ed il rispetto dell’ambiente circostante.

(1) Citato da Mike Davis in un articolo pubblicato sul quotidiano “il manifesto” del 2 febbraio 2007.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.