Il capitale uccide la vita sul pianeta

Sempre più allarmanti i disastri ambientali determinati dalla logica del profitto

Il riscaldamento del pianeta è ormai un fatto innegabile. Gli impatti sulla natura potrebbero risultare devastanti anche a breve termine con violenti cambiamenti climatici ed estremi fenomeni atmosferici: ondate di caldo rovente, forte piovosità alternata ad aumenti della siccità in aree centrali dei continenti, alluvioni e uragani in altre. L’inglese J. Loleck annuncia che:

prima della fine di questo secolo, miliardi di noi moriranno e le ultime persone che sopravvivranno si troveranno nell’Artico dove il clima resterà tollerabile.

Le conferenze internazionali e i summit sull’ambiente si moltiplicano, evidenziando l’impotenza del capitalismo nel trovare una soluzione ai disastrosi effetti ambientali dello sviluppo del modo di produzione dominante. Mentre si getta un po’ di fumo negli occhi della pubblica opinione con la promessa di una risibile limitazione della emissione di gas effetto serra (senza intaccare gli interessi economici dominanti, vedi Usa in primis!), il “punto di non ritorno” si fa sempre più vicino. Il Rapporto Stern, commissionato dal governo britannico, denuncia:

l’impatto del riscaldamento globale sui vari comparti produttivi da oggi al 2100; lo scenario che emerge è impressionante. Nella migliore delle ipotesi il 5% del prodotto lordo dovrà essere speso per riparare i danni prodotti dal nuovo clima, ma nello scenario peggiore si arriverà al 20% cioè a 5,5 trilioni di euro. L’effetto combinato dall’aumento dei fenomeni estremi (siccità, alluvioni, uragani), del collasso di interi settori agricoli e dell’aumento dei livelli dei mari costituisce un pericolo gravissimo per la capacità di tenuta dell’economia mondiale e per gli equilibri politici.

Repubblica, 2-11-2006

Una relazione “segreta” del Dipartimento Difesa americana aveva segnalato un possibile precipitare della situazione fra 20 anni, col pericolo di guerre per l’appropriazione delle ridotte risorse naturali, fra cui l’acqua. Il quadro è quello del precipitare della crisi economica già in corso, con sbocchi devastanti e un imbarbarimento sociale senza precedenti. Si parla di centinaia di milioni di individui costretti ad emigrare dall’inaridimento di intere zone geografiche. In Ciberzone n. 20/2006, Mike Davis ha scritto:

La sprezzante attitudine di Washington nei confronti del protocollo di Kyoto potrebbe non essere così arcaica e miope come appare: è certo che l’amministrazione Bush è in possesso di uno staff aggiornato e perfettamente consapevole delle possibili conseguenze del riscaldamento climatico sulla terra. Dobbiamo forse pensare che esista un disegno strategico che spiega l’equanimità americana nei confronti del catastrofico cambio ambientale? Dal momento che molti studi preannunciano che il mutamento climatico potrebbe, di fatto, produrre un beneficio per la produzione agricola Nordamericana, mentre causerebbe un impatto disastroso sulla Russia ed altri paesi euro-asiatici, temo che qualcuno all’interno del regime possa di fatto vedere nel riscaldamento globale della terra una ulteriore risorsa per l’egemonia geopolitica americana.

Da parte sua, l’Europa si aggrappa ai resti del protocollo di Kyoto e propone contenimenti del riscaldamento alla meno peggio, stimando un massimo aumento della temperatura media globale di 2°C rispetto alla metà del XIX secolo: le modifiche di clima sarebbero ugualmente terrificanti, ma - si dice - “gestibili”. A condizione di ridurre le emissioni di gas serra almeno del 60% nel 2050 rispetto al 1990. Questo quando tutti i paesi, dal 1990 al 2004, hanno invece aumentato tali emissioni in media del 10-11% (l’Italia del 12,4%). Se tutto andrà bene, la produzione agricola diminuirebbe del 22% nell’area mediterranea, con danni enormi per i paesi interessati. Inoltre, a causa delle ondate di caldo, si moltiplicherebbero i decessi annui delle persone più a rischio, anziani e bambini. Le erosioni costiere e le inondazioni causate dall’innalzamento dei mari provocherebbero decine di mld di euro in danni annuali: se i ghiacciai della Groenlandia continueranno a sciogliersi, entro il 2100 il livello dei mari si alzerà di 6 metri. Danni inestimabili saranno provocati dalle piene dei fiumi (specie Danubio e Mosa) e dagli inevitabili inquinamenti. Quanto all’industria turistica, crollerebbe quasi del tutto nelle regioni mediterranee. Se poi guardiamo a Cina ed India, dove gli aumenti di emissioni di gas serra avvengono a ritmi vertiginosi, la situazione si fa spaventosa. È in parte vero che i consumi dei combustibili fossili (petrolio, gas) dovrebbero fra qualche decina d’anni diminuire con l’esaurimento delle rispettive fonti, ma si prospetta l’aumento del consumo di carbone e di energia nucleare. Per il capitalismo, sia nella scelta di fonti alternative sia nel contenere danni da lui stesso provocati che ci stanno avvicinando a un cataclisma, si tratta di una questione di costi e di profitti e non certo di mentalità o di comportamenti responsabili a cui si appellano le “anime belle” del capitale, in realtà disposte a tutto purché nulla cambi nell’ordine economico e sociale che li tiene in vita ormai a spese dell’umanità intera.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.