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Home ›Il proletariato palestinese unica vittima sacrificale e servo di due padroni
Lo scontro armato tra Al Fatah e Hamas trascina il proletariato nella faida borghese
Tempo fa, in un articolo di presa di posizione sulla questione palestinese, avevamo denunciato la drammatica situazione in cui versava il proletariato dei territori occupati. In sintesi ci si chiedeva retoricamente “quanto sangue avrebbe dovuto ancora versare il proletariato palestinese per dare uno stato alla sua borghesia”. Il senso politco della domanda era quello di indicare la necessità,da parte del proletariato, di incominciare ad uscire dai condizionamenti politici della borghesia, per tentare di imboccare una strada autonoma di classe, in collegamento con gli altri proletariati dell’area, quale unica via per la sua futura emancipazione.
All’epoca la borghesia palestinese era politicamente rappresentata dall’Olp, dalla Anp, da Al Fatah, nella persona fisica di Yasser Arafat, con un contorno di alleati-dissidenti pressochè ininfluente. Oggi le cose sono cambiate. Hamas è arrivata al governo della Anp e Al Fatah naviga nelle retrovie del movimento con un consenso politico sempre più minoritario. Questa situazione, tutta interna alla borghesia palestinese, si è prodotta grazie a una serie di avvenimenti e di atteggiamenti che, se da un lato hanno favorito l’ascesa di Hamas, dall’altro hanno decretato il declino di Al Fatah.
Al Fatah da quando ha avuto il potere amministrativo in quel fazzoletto di terra che le hanno concesso gli accordi di Oslo-Washington del 1993, ha interpretato il suo ruolo, finchè ha potuto, in termini parassitari. Ha favorito l’ala affaristica della borghesia interna e di quella della diaspora, ha vissuto sulla corruzione trasformando la gestione della cosa pubblica in un affare privato che riguardava Arafat e pochi intimi. Dopo la guerra del Golfo e dopo l’implosione dell’imperialismo sovietico, l’Olp si è ritrovata senza finanziamenti. La sua già scarsa credibilità veniva minata da una lunga serie di scioperi nella striscia di Gaza con i quali i proletari chiedevano lavoro, salari che non fossero da sopravivenza e la sostituzione di un apparato politico corrotto che a tutto pensava meno che ad alleviare le misere sorti di milioni di lavoratori. Senza soldi e con un credito politco in ribasso, i destini di Al Fatah erano segnati.
Hamas al contrario, grazie ai finanziamenti di Iran e Siria, ha potuto impostare una politica di stato sociale, ha costruito moschee, scuole e ospedali. Ha corrisposto un minimo di pensioni alle vedove dei martiri, ha costruito la sua popolarità là dove Al Fatah l’aveva persa. Un simile investimento politico ha pagato. Nelle ultime elezioni amministrative prima, e politiche poi, ha stravinto il confronto con l’avversario diretto, arrivando a dirigere i destini politici della Anp. Da quel momento in avanti le cose si sono ulteriormente complicate. I due fronti della borghesia si sono di fatto affrontati a muso duro e schierati con gli imperialismi di riferimento della zona. Il presidente della Anp e capo di Al Fatah, Abu Mazen (succeduto ad Arafat dopo la sua morte) è diventato il referente politico degli Usa e l’uomo su cui Israele conta per la ripresa di eventuali, e non gradite, trattative. Le sue milizie ( I Martiri di al Aqsa) sono addestrate da specialisti israeliani. La sua organizzazione riceve finanziamenti e appoggio politico dagli Usa.
Hamas è collocato sull’altro versante dell’imperialismo. Con la vittoria alle elezioni, il partito integralista si è visto togliere tutti i proventi derivanti dalle tasse sui commerci (36 milioni di $) che Israele amministra in nome della Anp, e che, alla fine di ogni anno, dovrebbe restituire. L’occidente, fatta salva qualche eccezione, ha congelato gli aiuti alla Anp in attesa del riconoscimento ufficiale di Israele da parte di Haniyhe. Il che ha ulteriormente rinsaldato il legame con Iran e Siria che, a loro volta, hanno nella Russia il loro referente politico. Hamas riceve armi e finanziamenti da questo composito fronte imperialistico. La sua struttura armata (Ezzedin al Qassam) è organizzata dai Servizi di Damasco e di Teheran.
Le due fazioni, dopo un fallito tentativo di dare vita a un governo di unità nazionale, hanno incominciato un confronto armato, che ormai dura da mesi, e che ha lasciato sul terreno qualche centinaio di morti, tra i quali molti civili. Intanto per il proletariato palestinese le cose vanno sempre peggio. La disoccupazione è al 60%. Per il 64% di chi lavora il salario medio è di 1,50$ al giorno. Non c’è acqua per le colture perché l’80% dello sfruttamento idrico è nelle mani dei coloni israeliani. In questa cornice di miseria e di disperazione il proletariato palestinese è oltretutto chiamato a dividersi tra le due fazioni borghesi in lotta armata tra di loro per la gestione del potere politico. È diventato carne da macello domestico, o per la corrotta Al Fatah di Abu Mazen, filo americana, o per il teocratico integralismo di Hamas, filo russo-iraniano. Sulla sua testa si sta giocando una partita tutta interna alla borghesia con quei contorni imperialistici rappresentati dalle medie e grandi potenze internazionali che rincorrono, nella zona medio orientale, alleanze e spazi politici funzionali ai loro interessi economici. Se precedentemente la domanda retorica era “quanto sangue il proletariato palestinese dovrà ancora versare per dare uno stato alla sua borghesia” oggi la tragica risposta è che la faida nazionalistica impone la duplicazione dell’erogazione di sangue proletario per uno stato, peraltro tutto ancora da definire, conteso da due fazioni borghesi che, oltretutto, sono al servizio dei vari imperialismi che manovrano nella zona.
Ma c’è un’altra risposta che il proletariato palestinese può tentare di darsi. È una risposta complessa, che deve essere data con l’aiuto del proletariato di tutta l’area, ed è quella di imboccare un percorso autonomo di classe, contro le varie fazioni della borghesia nazionale e contro le interferenze degli imperialismi di turno. Questa è la sola condizione per la realizzazione dell’unico vero processo di emancipazione economica e sociale. In caso contrario, il proletariato palestinese, potrà soltanto scegliere a chi concedere lo sfruttamento della sua forza lavoro e a quale campo imperialista appartenere.
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2007
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