Condizioni e lotte operaie nel mondo

Cile

Nella seconda metà del XX secolo gli interessi economici legati alle risorse naturali hanno scatenato conflitti e portato al potere feroci dittature in molti Paesi dell’America Latina.

Il settore minerario è ancora oggi centrale nell’economia di questi Stati e si regge su un livello di sfruttamento e di repressione che sta portando, negli ultimi mesi, a diversi tentativi di reazione da parte dei lavoratori.

In Cile, dove la Codelco (Corporación del Cobre) con il 30% della produzione nazionale continua ad essere la maggior produttrice mondiale di rame, 28.000 lavoratori precari hanno dichiarato lo sciopero ad oltranza e ha fermato l’attività di due tra le principali miniere del pianeta, giacimenti di Chuquicamata e El Teniente.

Il settore del rame cileno è stato progressivamente liberalizzato durante la dittatura di Pinochet, così come una ondata di liberalizzazioni ha coinvolto tutti i principali servizi sociali del Paese. In questo quadro la Codelco resta ancor oggi la principale industria di Stato del Cile, ma questo non è certo sinonimo di migliori condizioni per i lavoratori.

Per anni le rivendicazioni dei minatori hanno avuto come obiettivo la nazionalizzazione del settore, intesa come un primo importante passo verso una migliore distribuzione del reddito e forse anche verso una società priva di sfruttamento.

Oggi, dopo gli anni in cui l’industria di stato ha svolto la funzione di favorire la concentrazione del capitale ma non certo quella di trampolino di lancio verso il socialismo, la lotta dei minatori precari cileni è concentrata su questioni che possono apparire forse più banali ma che derivano direttamente dalla situazione di precarietà in cui si trovano, in questa fase di crisi, i lavoratori di tutto il mondo.

I minatori precari cileni non chiedono di essere assunti a tempo indeterminato, pretendono solo di guadagnare lo stesso salario dei lavoratori a tempo indeterminato (circa 280 € al mese) e di avere servizi sanitari di base gratuiti, piani per case popolari e libero accesso all’istruzione per loro stessi e per i loro figli.

Perù

Anche in Perù i minatori della Southern Copper corporation, il terzo produttore al mondo di rame di proprietà del Grupo Mexico (multinazionale con impianti in Messico e Stati Uniti), sono scesi in sciopero il 22 giugno scorso reclamando aumenti salariali e un miglioramento complessivo delle loro condizioni di lavoro.

Per la delicatezza del settore il ministro del lavoro si è affrettato a minacciare i lavoratori di dichiarare illegali le agitazioni con l’obiettivo di rigettare le rivendicazioni, soprattutto quella relativa agli aumenti salariali in relazione all’incremento dei profitti determinato dall’aumento del prezzo mondiale del rame.

Le condizioni di lavoro sono molto pesanti anche nelle miniere messicane tanto da aver spinto i lavoratori ad uno sciopero che dura dalla metà di giugno. Il dato più agghiacciante è quello dei morti sul lavoro: più di 70 minatori negli ultimi 15 mesi.

Filippine

La crescita delle cosiddette tigri asiatiche è stata possibile non solo grazie alle moderne tecnologie nel settore delle telecomunicazioni e dei trasporti, ma soprattutto grazie a un costo del lavoro bassissimo e conseguentemente a un tasso di sfruttamento non paragonabile a quello dei Paesi occidentali.

In questo quadro, da alcuni anni peraltro in crisi, si inseriscono con sempre maggiore frequenza le lotte dei lavoratori dei settori trainanti.

Nelle Filippine i lavoratori della Chiyoda Integre Philippines Incor-porated stanno protestando contro le intimidazioni che la dirigenza giapponese sta compiendo contro i lavoratori più combattivi e che sono giunte fino al licenziamento di 68 operai membri del sindacato proprio ora che è all’ordine del giorno il rinnovo del contratto di lavoro.

Vietnam

In Vietnam diversi scioperi selvaggi stanno colpendo le principali aziende che producono beni per l’esportazione: tra queste la Top Royal Flash Limited, impresa di Ho Chi Minh City a prevalente capitale taiwanese dove 800 lavoratori sono in lotta contro il ricorso eccessivo agli straordinari cui sono stati obbligati negli ultimi 4 mesi e per cercare di recuperare le quote di salario che l’azienda aveva trattenuto e indirizzato al fondo pensionistico ora fallito.

Indonesia

In questo contesto si inseriscono anche le lotte dei lavoratori indonesiani contro l’introduzione delle nuove normative che permetteranno l’ester-nalizzazione di interi settori aziendali e conseguentemente un’ ulteriore flessibilità e frammentazione del lavoro. In un Paese dove già ora il livello salariale è bassissimo, questo progetto rischia di ridurre realmente alla fame milioni di lavoratori e rappresenta una ulteriore conferma (se ancora ce n’era bisogno) di come la crisi del capitalismo sia realmente un fenomeno strutturale a livello mondiale.

Dal più grande musulmano al mondo, piccoli ma significativi segnali di come le lotte dei lavoratori possano rappresentare un importante segnale di ripresa generalizzata della lotta di classe. Non basta la cappa ideologica religiosa a soffocare lo scontro inconciliabile degli interessi di classe tra borghesia e proletariato.

Tom

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.