Questo mondo non va, avanti con un altro!

Vongole avvelenate, foreste distrutte e guerre, questo è il capitalismo

Nelle notti di bassa marea, nelle acque di Porto Marghera con barche particolarmente attrezzate si possono pescare vongole per un valore di 10/15 mila euro. Basta - come ci informa A. Bolzoni su La Repubblica del 22 aprile 2007 - gettare...

l’ancora davanti al canale dove le industrie chimiche rovesciano i loro scarichi... In meno di dieci minuti ne pesca quaranta chili. Dopo sei ore ne porta via due, tre e forse anche quattro tonnellate.

Uno di quei professori che insegnano economia alla Bocconi o alla Harvard University, potrebbe dire che è proprio questo il lato bello del sistema capitalistico: basta ingegnarsi e in una notte tutti, anche dei pescatori di frodo, possono diventare ricchi.

Ma il fatto è che quelle vongole sono -- continua Bolzoni -- tutte tossiche. Cariche di diossina, di oli per il raffreddamento dei trasformatori elettrici, di pesticidi...

e dopo un paio di giorni finiscono sui banchi delle pescherie di tutta Italia,

Con tanto di marchio di provenienza. Falso. Con tanto certificato sanitario. Falso.

Sono talmente inquinate che - secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - un uomo che pesa settanta chili per non correre eccessivi rischi non dovrebbe mangiarne più di 14 grammi in una giornata. Si dirà: “ma questa è roba da criminali!” Ed è vero. Ma è vero pure che fra i margini di profitto di questa pesca e di quella legale vi è un abisso per cui sono sempre più numerosi i pescatori che si dedicano alla prima. Insomma, per dirla sempre con uno di quei professori della Bocconi o della Harvard University: questo è il lato bello del capitalismo!

Detta così potrebbe essere una forzatura, roba da vetero-comunisti incalliti che straparlano per l’invidia che provano per la ricchezza altrui. Diamo quindi la parola a un miliardario che è stato dal 1993 al 2001 anche vicepresidente degli Stati Uniti e che ora è il presidente dell’Alliance for Climate protection:

La nostra casa - la Terra - è in pericolo. Non è il pianeta a correre il rischio di essere distrutto, ma le condizioni che lo hanno reso un luogo accogliente per gli esseri umani. Senza renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni, abbiamo cominciato a riversare nel sottile involucro di aria che circonda il nostro mondo quantità di anidride carbonica tali da arrivare letteralmente ad alterare l’equilibrio tra la Terra e il sole. Se non ci fermiamo, e in fretta, la temperatura media crescerà a livelli che gli esseri umani non hanno mai sperimentato fino ad ora, mettendo fine al propizio equilibrio climatico su cui poggia la nostra civiltà.

La Repubblica del 2 luglio u.s.

Ovviamente, Al Gore - è lui che scrive - non dice che questa è una conseguenza del modo di produzione capitalistico e parla come se la responsabilità del disastro fosse dell’intera umanità, ma in realtà quel noi dovrebbe riferirsi esclusivamente alla sua classe di appartenenza: la borghesia. Il proletariato, anche se avesse voluto, non avrebbe mai potuto determinare un simile disastro per la semplice ragione che i mezzi di produzione non gli appartengono e non può in alcun modo decidere come utilizzarli. Le scelte sono tutte nelle anni della borghesia e la borghesia le fa in funzione del suo interesse fondamentale: la massimizzazione del profitto. Costi quel che costi, anche la devastazione dell’ambiente e la guerra permanente.

I giacimenti di bitume di cui è ricchissima l’Alberta, una regione del Canadà, fino al 2001 non venivano calcolati come facenti parte delle riserve petrolifere mondiali per la semplice ragione che per estrarre un barile di petrolio dal bitume occorrono dai 18 ai 22 dollari al barile.

Alla metà degli anni Ottanta - ci informa Naomi Klein - il petrolio si vendeva a 20 dollari al barile. Nel biennio 1998-99 il prezzo è sceso a 12 dollari al barile e i principali attori non avevano intenzione di pagare il petrolio a una cifra più alta di quella alla quale avrebbero poi potuto venderlo... Poi c’è stata l’invasione statunitense dell’Iraq. Nel marzo 2003 il prezzo del petrolio ha raggiunto i 35 dollari al barile e ciò ha fatto palesare la possibilità di trarre profitto dalle sabbie catramose (che l’industria di settore chiama sabbie petrolifere). Quell’anno, l’Energy Information Administration degli Stati Uniti ha “scoperto” il petrolio nelle sabbie catramose... L’anno seguente il Canadà ha sorpassato l’Arabia Saudita [il cui costo di estrazione è inferiore ai 4 dollari al barile - ndr], diventando il principale fornitore di petrolio degli Stai Uniti.

N. Klein - L’Iraq è in Canadà - L’Espresso 24/2007

E le compagnie petrolifere statunitensi hanno potuto così realizzare profitti insperati, potremmo dire dal nulla poiché senza la guerra quelle sabbie sarebbero rimaste prive di valore economico.

Tutte le grandi società petrolifere - continua N. Klein - a eccezione di BP, si sono precipitate nell’Alberta settentrionale; Exxon Mobil, Chevron e Total. Soltanto quest’ultima prevede di investire dai 9 ai 14 miliardi di dollari. Ad aprile la Shell ha speso 8 miliardi di dollari per assumere il pieno controllo della sua sussidiaria canadese.

E poiché, finché c’è guerra, il prezzo del petrolio è destinato a crescere, è prevedibile che questa corsa all’oro nero canadese non cesserà; eppure non sono alti solo i suo costi di estrazione ma ancor di più lo sono quelli ambientali. Infatti...

Sfruttare le sabbie - ci dice ancora N. Klein - significa spianare le foreste e distruggere la vita animale: il Pembina Institute, massima autorità in tema di impatto ambientale delle sabbie catramose, mette in guardia e afferma che si rischia di cancellare del tutto le foreste boreali che ricoprono una superficie pari a quella dello stato della Florida.

Insomma, la logica del profitto porta esattamente nella direzione opposta a quella verso cui si dovrebbe andare per tentare di salvare quella che Al Gore chiama la nostra casa.

Visto dalla Luna, più che la nostra casa, questo nostro mondo sembrerebbe il nostro manicomio. Sembrerebbe, ma in realtà lo è solo a seconda dei punti di vista. Certamente non lo è dal punto di vista della borghesia ovvero della classe che detiene i mezzi di produzione e se ci si pone nella logica del profitto. Per i capitalisti, infatti, tutto questo è il massimo della razionalità. Se uno di loro, per esempio, investe un capitale 100 nella produzione di una qualsiasi merce, se tutto va bene, grazie allo sfruttamento della forza-lavoro si ritroverà di volta in volta un capitale accresciuto. Così se quel capitale 100 diventa 150, sottratto diciamo 20 per le proprie spese, ecco che il nostro capitalista, ne ha ora in mano 130 da investire di nuovo. Ora, anche supponendo che sia un bravo uomo, uno di quelli che si accontenta di realizzare un saggio del profitto anche immutato, ha comunque di fronte a sé il problema di dover realizzare una profitto totale maggiore perché ora investe un capitale di 130 e non più di 100. È la riproduzione su base allargata del capitale resa possibile dallo sfruttamento della forza-lavoro, che impone la massimizzazione del profitto.

Di conseguenza la pesca delle vongole avvelenate, poco importa se chi le mangia può rimanere stecchito, diventa più vantaggiosa dell’allevamento controllato. Lo stesso dicasi per l’estrazione del petrolio dal bitume anche se questa implica la distruzione della foresta boreale. Il nostro professore di economia potrebbe obiettarci che in fondo si tratta di fenomeni marginali e che è una forzatura da vetero-comunisti affermare che non è vero che ciò che è razionale per il capitale è in conflitto con gli interessi non solo del proletariato ma ormai anche con quelli della stragrande maggioranza dell’umanità. Sennonché basta guardarsi attorno per scoprire che anche nella cosiddetta economia legale ogni giorno muoiono più lavoratori che soldati impegnati nelle tante guerre in giro per il mondo; che il confine fra legale e illegale è talmente sottile che è difficilissimo distinguere l’uno dall’altro o che il pianeta è sull’orlo della collasso per le enormi quantità di anidride carbonica che le fabbriche scaricano nell’atmosfera. E allora non si può non convenire con Saramago quando afferma: Questo mondo non va, avanti un altro.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.