Morti bianche? No, omicidi dei padroni!

Ci risiamo... eccoci ancora qui a piangere di fronte all’ennesima, feroce e brutale dimostrazione di che cos’è davvero il capitalismo, di quanto vale, sulla bilancia dei padroni, una vita umana rispetto al profitto, cioè l’unico reale interesse di questo mostruoso sistema economico.

Quella che la ThyssenKrupp, per bocca di un suo portavoce, si è spudoratamente permessa di chiamare “fatalità”, quella che i sindacati, allo scopo di contenere e mediare la legittima (c’è bisogno di dirlo?) rabbia operaia, ancora si ostinano a definire “tragedia”... in realtà ha un solo nome: strage. Sì, questo è terrorismo puro, il cui mandante ed esecutore hanno un solo nome: capitalismo. La Confindustria, anche dopo un fatto del genere, non contenta, ha la faccia tosta di dichiarare, tramite un suo esponente veneto, che il governo dovrebbe comunque dedicare più attenzione agli incidenti stradali perché causano più morti di quelli sul lavoro (Corriere della sera 09/12/2007). Questo caso presenta tutte le caratteristiche più tipiche dell’omicidio padronale: tre estintori su cinque vuoti, manichette antincendio senz’acqua e allarme guasto. Alla faccia delle norme di sicurezza! Ma tanto, che volete, questo stabilimento deve chiudere a giugno, non varrà mica la pena investire denaro per il mantenimento di impianti ormai prossimi allo spegnimento definitivo, no?

Non se ne può più di sentir dire, ogni volta, che la situazione è insostenibile, che gli industriali e le istituzioni devono intervenire, che maggiori risorse vanno investite nel campo della sicurezza. Per i lavoratori, il governo non partorirà nessun “pacchetto sicurezza”, e, se anche lo varerà solo per soddisfare le apparenze, non lo farà rispettare. Il parlamento ha già recitato la sua manfrina, lo squallido minuto di silenzio che ha preceduto la seduta di giovedì, così come buona parte della borghesia italiana ha letteralmente preso per il culo gli operai col suo minuto di commemorazione, tra una coppa di champagne, uno smoking e una pelliccia, venerdì sera, 7 dicembre, all’inaugurazione della stagione lirica della Scala di Milano. Ecco fin dove possono arrivare le attenzioni che il padronato dedica al mondo dei suoi sudditi, davanti ad un’ecatombe di queste proporzioni.

È ora che la classe operaia rialzi la testa autorganizzando le lotte, senza aspettare le vertenze sindacali - anzi, fuori e contro i bidoni sindacali, ma anche le illusioni di sindacalismo sedicente di base - o, peggio ancora, le proposte di legge di un qualche parlamentare di sinistra (radicale?!). In entrambi i casi non c’è speranza di ottenere un risultato concreto, ed una lampante dimostrazione l’abbiamo sotto gli occhi proprio in questo periodo, con le lotte e gli scioperi indetti per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Per che cosa scioperano gli operai? Per 107€ lordi al quarto livello, per poter rimanere 36 mesi in un’azienda da precari (e nell’arco di cinque anni!), e poi... per “un’ora all’anno di assemblea retribuita nella quale verranno illustrati i temi della salute e della sicurezza” (testuali parole estratte dall’ipotesi di piattaforma per il rinnovo del CCNL proposta da Fim-Fiom-Uilm). C’è bisogno di aggiungere altro?

Sì, che l'autorganizzazione delle lotte è solo il primo, necessario passo da fare, senza però mai dimenticare che solo il superamento del sistema capitalistico ci può mettere al riparo dallo sfruttamento e dalle stragi che esso provoca.

La ricostruzione di un punto di riferimento politico internazionalista, inequivocabilmente anticapitalista, è l'altro, non meno necessario, passo.

PCInt - Bologna