La civiltà del capitalismo

Volantino per la manifestazione del 19/01/2008 a Torino

Eccoci ancora qui a piangere di fronte all’ennesima feroce dimostrazione di che cos’è davvero il capitalismo, di quanto vale, sulla bilancia dei padroni, una vita umana rispetto al profitto, cioè l’unico reale interesse di questo mostruoso sistema economico.

Quella che la ThyssenKrupp si è spudoratamente permessa di chiamare “fatalità”, quella che i sindacati, allo scopo di contenere e mediare la legittima rabbia operaia, ancora si ostinano a definire “tragedia”... in realtà ha un solo nome: strage. Sì, questo è terrorismo puro, il cui mandante ed esecutore hanno un solo nome: capitalismo. La Confindustria ha avuto la faccia tosta di dichiarare, tramite un suo esponente veneto, che il governo dovrebbe comunque dedicare più attenzione agli incidenti stradali perché causano più morti di quelli sul lavoro (Corriere della sera 09/12/2007). Questo caso presenta tutte le caratteristiche più tipiche dell’omicidio padronale: tre estintori su cinque vuoti, manichette antincendio senz’acqua e allarme guasto. Alla faccia delle norme di sicurezza! Ma tanto, che volete, questo stabilimento deve chiudere a giugno, non varrà mica la pena investire denaro per il mantenimento di impianti ormai prossimi allo spegnimento definitivo, no?

Non se ne può più di sentir dire, ogni volta, che la situazione è insostenibile, che gli industriali e le istituzioni devono intervenire, che maggiori risorse vanno investite nel campo della sicurezza. Per i lavoratori, il governo non partorirà nessun “pacchetto sicurezza”, e, se anche lo varerà solo per soddisfare le apparenze, non lo farà rispettare.

È ora che la classe operaia (e tutto il lavoro dipendente) rialzi la testa autorganizzando le lotte, senza aspettare le vertenze sindacali - anzi, fuori e contro i bidoni sindacali e le illusioni di sindacalismo sedicente di base - o, peggio ancora, le proposte di legge di un qualche parlamentare di sinistra (radicale?!). In entrambi i casi non c’è speranza di ottenere un risultato concreto. Una lampante dimostrazione l’abbiamo sotto gli occhi proprio in questo periodo, con le lotte e gli scioperi indetti per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Per che cosa scioperano gli operai? Per 107€ lordi al quarto livello, per poter rimanere 36 mesi in un’azienda da precari (e nell’arco di cinque anni!), per l'orario plurisettimanale (di fatto, un allungamento/peggioramento dell'orario di lavoro) o... per “un’ora all’anno di assemblea retribuita nella quale verranno illustrati i temi della salute e della sicurezza” (dall’ipotesi di piattaforma per il rinnovo del CCNL di Fim-Fiom-Uilm). C’è bisogno di aggiungere altro?

Sì: che tutto questo è espressione normale del capitalismo, oggi, per di più, “incattivito” da una crisi profonda che lo corrode a livello mondiale. Una crisi che, anche fuori dal posto di lavoro, imbarbarisce ulteriormente la vita: razzismo diffuso, intolleranza, rigurgiti di squadrismo fascista, chiusura nell'individualismo più bieco e ottuso. A questo si aggiunge la storica cialtroneria della borghesia italiana, la cui componente apertamente criminale ha sempre avuto un ruolo non secondario nella gestione del plusvalore estorto al proletariato e del territorio: forse che nel problema - schifoso sotto ogni aspetto - della “munnezza” napoletana è estranea la “civile” borghesia del nord (e del resto del paese)?

Così stanno le cose. E fintanto che non ne prendiamo coscienza per noi ci rimangono solo abbrutimento, rassegnazione e fatalismo.

Allora, l’autorganizzazione delle lotte, cioè l'organizzazione di lotte dal basso, è solo il primo, necessario passo, da fare, senza però mai dimenticare che solo il superamento del sistema capitalistico ci può mettere al riparo dallo sfruttamento, dalle stragi e dalla barbarie che esso provoca. La ricostruzione di un punto di riferimento politico internazionalista, inequivocabilmente anticapitalista, è l’altro, non meno necessario, passo.