Referendum e nazionalizzazioni in Bolivia

Il socialismo di Morales alla prova dei fatti

Che sull’America Latina soffi un vento nuovo, dopo decenni di feroci dittature militari e di governi totalmente asserviti agli USA, è cosa nota. Come nel gioco del domino, quasi tutti i paesi del Cono Sud del continente americano sono passati in pochi anni nelle mani di partiti (o coalizioni) “di sinistra”. Ultimo, in ordine di tempo, il Paraguay, per decenni dominio pressoché incontrastato della nazistoide famiglia Stroessner e del partido colorado.

Sembra quasi (quasi...) preistoria il tempo in cui la CIA dirigeva l’orchestra delle spietate giunte militari che, col Plan Condor, stringevano in un abbraccio di morte il Sudamerica. Il crollo dell’imperialismo sovietico, la “globalizzazione”, l’infognarsi della superpotenza a stelle e strisce in una crisi sempre più profonda e in una serie di guerre di cui non si vede l’uscita, hanno offerto, come abbiamo detto altre volte, opportunità nuove alle borghesie latinoamericane in cerca di quell’autonomia cercata invano per oltre un secolo.

Ma questo percorso non è certo facile, né è scontato il risultato, dati i forti legami col “Grande Fratello” del Nord di molto settori economici dell’America centro-meridionale. I governi “di sinistra”, che con diversa determinazione hanno imboccato la strada del nazionalismo più o meno riformista, devono non solo badare a che non siano toccati più di tanto gli interessi particolari di questo o quel segmento borghese, ma anche che le masse sfruttate e diseredate - la base elettorale dei più “accesi” riformatori - non prendano troppo sul serio le promesse di riscatto sociale avanzate dai rispettivi leaders. Il pericolo è che si possano spingere più in là di quanto i limiti di questa nuova versione del capitalismo di stato consentano. Infatti, quando le masse si muovono mettono sempre paura, anche se le spinte classiste da cui, di solito, prendono le mosse, sono annegate nel mare del riformismo, del nazionalismo, persino dell’indigenismo, come in America Latina.

È il caso, per esempio, della Bolivia, dove la rivolta del 2003 contro la svendita del gas al Messico e agli USA, condotta a colpi di dinamite, ha spianato la strada all’elezione del presidente “indio” Evo Morales, sulla base di un programma riformista teso a “ridare dignità” alle poverissime popolazioni “indigene”, per secoli sfruttate a sangue e disprezzate come animali, tramite il lancio del cosiddetto capitalismo andino. La ricetta, simile a quella di Chavez, prevede la rinazionalizzazione totale o parziale delle industrie chiave del paese, per far sì che i profitti derivanti dallo sfruttamento delle materie prime - in primo luogo quelle energetiche: gas e petrolio - promuovano lo sviluppo economico e permettano politiche sociali che allevino la povertà estrema di milioni di esseri umani. Nonostante le patetiche illusioni delle litigiose formazioni trotskyste, tali misure non sono l’anticamera del socialismo, ma “normale” riformismo borghese - reso per altro possibile dagli alti prezzi degli idrocarburi - benché in un paese dove da sempre pochi capitalisti (e lo Zio Sam) regnano come signori feudali su una massa sterminata di proletari e contadini poverissimi, possano fare un certo effetto abbagliante.

Morales ha nazionalizzato - con indennizzo - gli idrocarburi, suscitando l’irritata apprensione anche delle borghesie confinanti (argentina, brasiliana) abituate a comprare, tramite le loro compagnie, il gas boliviano per poco e niente:

lo Stato aveva raccolto la miseria di 300 milioni di dollari dai suoi idrocarburi nel 2005, divenuti 1930 nel 2007 e, stando alle previsioni, 2500 alla fine del 2008.

il manifesto, 3 maggio 2008

Il presidente si prepara a nazionalizzare altre materie prime, stavolta agricole, e il primo maggio ha annunciato la statalizzazione della principale compagnia telefonica, la Entel, che fa capo alla Telecom italiana. Questo attivismo “socialista” ha messo in allarme le tradizionali oligarchie borghesi e, anzi, ha dato loro un motivo in più per contrastare il riformismo del governo. Infatti, la ricca borghesia della regione orientale di Santa Cruz, dove si concentrano le risorse energetiche e le grandi aziende agricole, spesso di tipo latifondistico, che producono per l’esportazione facendo ricorso alla colture transgeniche e a un bracciantato super-sfruttato, vuole tenere per sé gli introiti derivanti dagli idrocarburi. Contemporaneamente, si oppone decisamente a qualsiasi ipotesi di riforma agraria. Esattamente come i suoi altrettanto schifosi omologhi europei (uno per tutti: la Lega Nord) minaccia la secessione se Morales non concederà l’autonomia ossia la possibilità di non dividere con nessuno le ricchezze accumulate con lo sfruttamento del proletariato e dei contadini poveri. Domenica 4 maggio, la borghesia crucegna ha organizzato un referendum - illegale - autonomista, il cui risultato era scontato, visto anche l’appoggio della Chiesa cattolica, ossia il netto prevalere, tra i votanti, degli autonomisti, benché tenendo conto dell’astensione e dei voti contrari la partita sia da ritenersi chiusa almeno in pareggio.

Difficile ora dire come andrà a finire, anche perché dietro gli autonomisti ci sono gli Stati Uniti, che premono per destabilizzare Morales, e quest’ultimo non vuole dare il via libera alla propria base elettorale per il timore di non riuscire a governarne le spinte più radicali.

È stato detto che il riformismo prende schiaffi da destra e da sinistra. Il punto è che troppo spesso gli schiaffi da sinistra vanno a vuoto o, se colpiscono l’avversario, poi il tutto si ferma lì, perché, purtroppo, da parecchio tempo manca qualcuno che abbia chiaro il “che fare” dopo; per noi, quel “qualcuno” è il partito: l’Argentina 2001 insegna.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.