Crisi del capitale e ripresa della lotta di classe

È passato ormai un anno da quando èscoppiata la crisi dei mutui americani che ha messo a dura prova la tenuta dell'intero sistema finanziario internazionale. A pareredegli economisti borghesi la bolla dei mutui subprime sarebbe stata assorbita dai mercati finanziari nel volgere di pochissimo tempo, in quanto i fondamentali dell'economia reale era­no tutto sommato in buona salute.

Sempre a giudizio dei corifei del capitale la crisi non era di natura sistemica ma rappresen­tava una semplice distorsione nel funzionamen­to dei meccanismi dell'accumulazione capitali­stica. In altre parole la causa dello scoppio della bolla speculativa non andava cercata nel perver­so funzionamento nel modo di produzione capi­talistico ma semplicemente nel fatto che alcuni operatori economici non avevano rispettato le regole del libero mercato determinando l'insor­gere della bolla speculativa immobiliare.

I recenti spettacolari arresti di alcune centinaia di brokers statunitensi, operati dalla polizia federale americana, con l'accusa di aver truffa­to milioni di risparmiatori falsificando i dati contabili di molte società quotate in borsa, sem­brerebbe confermare il quadro di lettura degli economisti borghesi: il sistema è sano, occorre soltanto eliminare i furbi che ostacolano il fun­zionamento della legge della domanda e del­l'offerta.

Abbiamo scritto molte volte sulla nostra stampa di partito che la crisi dei mutui subprime ameri­cani rappresenta un nuovo e più alto livello della crisi strutturale del capitalismo su scala mondia­le, una crisi le cui radici affondano agli inizi degli anni settanta del secolo scorso. Una crisi che per la sua vastità, non risparmia dalle sue nefaste conseguenze alcun angolo del pianeta e la cui propagazione è stata tanto repentina da travolgere quasi istantaneamente i mercati fi­nanziari mondiali con pesantissime ricadute sulla stessa economia reale.

Ancora oggi, a dodici mesi dal suo scoppio, non si conoscono i dati contabili definitivi celle perdite causate dallo scoppio della bolla. Quel che è certo è che questa crisi sta determinando un attacco senza precedenti alle condizioni di vita e di lavoro di miliardi di proletari da parte di una borghesia internazionale sempre più deter­minata ed aggressiva nel difendere i propri privilegi di classe.

Non è proprio un caso che nel momento in cui è scoppiata la bolla dei mutui subprime, i capitali di ogni angolo del pianeta si siano riversati verso attività speculative nei confronti delle prin­cipali materie prime, petrolio in primis, e sulle derrate alimentari.

La conseguenza sociale di tale attacco specula­tivo è l'affamamento di milioni di proletari che non sono più in grado di accedere con i loro bassissimi salari ai beni di prima necessità. Le rivolte per il pane in molti paesi della periferia capitalistica sono le prime e drammatiche rispo­ste che il proletariato internazionale sta dando all'attacco sferrato dalla borghesia.

L'aumento del prezzo del pane e degli altri generi alimentari è la più lampante dimostra­zione che la borghesia per poter mantenere i propri privilegi di classe non può che affamare il mondo intero, e siamo solo agli inizi se lo stesso proletariato non saprà porre storicamente all'ordine del giorno il superamento della bar­barie capitalistica.

Sugli sviluppi della crisi dei subprime rinviamo alla lettura, in questo stesso numero di Prometeo, dell'articolo: Uno spettro si aggira per il mondo: la fame. Qui ci soffermeremo invece sui possibili sviluppi della lotta di classe in conseguenza di fenomeni così devastanti e generalizzati.

Per comprendere in pieno le dinamiche di questi ultimi decenni è necessario considerare la por­tata storica della caduta del muro di Berlino e del crollo dell'ex impero sovietico.

Grazie a questo evento si sono aperte per il capitalismo le condizioni necessarie per unifica­re il mercato mondiale della forza lavoro.

Se è vero che il terzo conflitto mondiale non è ancora scoppiato, e le ragioni sono ovviamente molteplici, sul piano economico gli effetti del crollo della seconda potenza imperialistica sono stati molto simili a quelli che avrebbe prodotto un conflitto mondiale. Il crollo della produzione in un'area molto vasta del globo, come quella dominata in passato dal rublo, è assimilabile agli effetti della guerra sul piano della distruzio­ne del capitale costante in eccesso, mentre la disponibilità di forza lavoro qualificata e a bassissimo costo è un fenomeno del tutto nuovo. Per il capitale si sono create in questi ultimi decenni le condizioni per avere a proprio com­pleta disposizione un mercato della forza-lavo­ro unificato su scala mondiale come mai prima in passato.

Questa nuova condizione da un lato ha scatena­to la corsa al ribasso del costo della forza lavoro, dall'altro ha per la prima volta nella storia, in gran parte uniformato su scala interna­zionale le condizioni di vita e di lavoro e i bisogni di miliardi di proletari. Se ai tempi di Ma rx il motto "proletari di tutto il mondo unitevi' poteva apparire una forzatura poiché le loro condizioni nei diversi paesi del globo erano profondamente diverse, oggi il richiamo all'internazionalismo proletario del Manifesto non è semplicemente un'aspirazione ideologica ma trova corrispondenza in una solida base materiale data dalle comuni condizioni di vita e di lavoro del proletariato mondiale.

Con l'avanzare della crisi economica si fanno sempre più pressanti gli attacchi sferrati dalla borghesia. Attacchi che si sostanziano sia nel susseguirsi di guerre nelle aree strategiche per il controllo delle risorse petrolifere e per la gestio­ne della rendita finanziaria che ne consegue, sia nella costante compressione dei salari e nell'intensificazione dello sfruttamento della for­za lavoro.

Alla vastità degli attacchi sferrati dalla borghe­sia però non ha fatto finora seguito una risposta, neppure solo difensiva, da parte della classe lavoratrice. Questo non significa che la lotta di classe sia scomparsa, come vorrebbe farci cre­dere la classe dominante, ma che allo stato attuale tale lotta è condotta quasi esclusivamente dalla stessa borghesia mentre il proletariato subisce gli attacchi quasi senza opporre alcun tipo di resistenza o in maniera sporadica e comunque inadeguata a contrastare l'intensità dell'attacco in corso .

L'assenza di una risposta proletaria va ricercata nelle profonde modificazioni che sono interve­nute nella composizione della classe negli ultimi decenni e nel modo di vivere della stessa.

Se consideriamo le aree più avanzate del capi­talismo, possiamo osservare che negli ultimi trenta anni le grandi fabbriche, quando non sono scomparse perché delocalizzate nelle aree della periferia capitalistica, grazie alle nuove tecnologie, sono state profondamente ristruttu­rate e la vecchia organizzazione taylorista del lavoro ha lasciato il posto a quella oer "isola" o per "gruppi omogenei" composti ci un numero molto esiguo di operai. In contesto siffatto anche la coscienza di appartenere a una medesima classe, ossia la consapevolezza di ogni proleta­rio di avere gli stessi interessi dei sui compagni di lavoro inconciliabilmente contrapposti a quello del padrone, si è fortemente affievolita.

Se consideriamo inoltre la conformazione che avevano allora le città, con la presenza di interi quartieri operai a ridosso delle stesse fabbriche, possiamo ben capire come per l'operaio ci fossero molte condizioni favorevoli affinché potesse maturare e sviluppare la propria co­scienza di classe.

Oggi tutto questo in gran parte non esiste più: le grandi concentrazioni operaie sono state ridotte ad un numero molto limitato rispetto all'intero sistema produttivo, mentre i quartieri operai sono stati sventrati dalla riconversione edilizia, determinando nei fatti un'atomizzazione della presenza proletaria spalmata sul territorio e nell'intera società, con una obiettiva forte ridu­zione degli ambiti in cui maturare la coscienza di una comune condizione di classe.

La prima difficoltà che incontrano i moderni proletari è quella di non sapersi più riconoscere come appartenenti a una medesima classe, ma solo, seppure super sfruttati, come singoli atomi fra miliardi di altri di una società apparente­mente. Di questo i rivoluzionari debbono tenere conto se non vogliono brancolare nel buio ed inseguire schemi non più attuali.

In questo quadro il proletariato si presenta nei fatti disarmato rispetto agli attacchi subiti da parte della borghesia. Un proletariato che nelle aree più avanzate non ha più un collante che favorisca il processo di produzione di una pro­pria coscienza di classe, mentre nelle aree peri­feriche le giovani masse proletarie subiscono i ricatti e le vessazioni senza poter mettere in campo neanche una propria tradizione di lotta come per il proletariato delle aree più avanzate. Inoltre, la situazione per si complica ulterior­mente laddove si pensi che il consumo di molte delle merci che producono i proletari, quali per esempio l'automobile, implica stili e modi di vita che reiterano le ragioni del modo di produzione capitalistico facendolo apparire perciò come l'unico possibile.

La produzione delle merci non è più soltanto un modo di estorcere plusvalore al proletario, ma nello stesso tempo riproduzione di comporta­menti funzionali anche al dominio ideologico della borghesia, determinando la sussunzione del proletariato alle ragioni della conservazio­ne capitalistica.

Nonostante il dominio totalizzante del pensiero dominante l'antagonismo tra borghesia e prole­tariato resta però insanabile e pertanto sempre pronto ad esplodere laddove la crisi economi­ca, per profondità e dimensioni, fa emergere in tutta la sua profondità la frattura di classe che peraltro è resa più acuta dal fatto che i margini di mediazione per la ricomposizione del conflit­to si sono molto assottigliati quando non si sono del tutto scomparsi.

Ecco allora che la lotta economica tende imme­diatamente a trascrescere e ad assumere le forme più disparate in relazione alle diverse ragioni e circostanze che la determinano e in cui si determinano e possono assumere perfino il carattere di sommossa senza una precisa carat­terizzazione di classe.

Giusto per fare degli esempi, le rivolte in Argen­tina, agli inizi del nuovo millennio, e nelle peri­ferie di Parigi, qualche anno addietro.

Pur trattandosi di esperienze profondamente diverse l'una dall'altra in entrambe si è potuto osservare che le ragioni immediate da cui sono scaturite, più immediatamente economiche nel primo caso e più frutto di un profondo disagio sociale nel secondo, la frattura proprio perché sono mutate gran parte delle forme del dominio del capitale sul lavoro, non ha avuto come epicentro il tradizionale posto di lavoro o la fabbrica ma il territorio e la tendenza a espri­mersi più immediatamente su un piano prettamente politico, ma non per questo conse­guentemente rivoluzionario senza escludere, perdurando l'assenza di un autentico partito, perfino approdi reazionari.

Per tutto ciò ipotizzare che nel ventunesimo secolo la lotta di classe possa ripercorrere lo schema tracciato da Lenin, in cui il sindacato aveva il compito di svolgere un ruolo fondamen­tale di cinghia di trasmissione tra il partito rivoluzionario e la stessa classe lavoratrice sa­rebbe del tutto illusorio.

Da tempo il sindacato è passato dall'altra parte della barricata di classe e pertanto è inutilizzabile ai fini di una qualunque strategia che abbia come suo fulcro il più coerente anticapitalismo. I due esempi sopra citati assumono una rilevanza molto importante non solo per l'insegnamento che ci offrono circa le modalità in cui si può esprimere la lotta di classe, ma soprattutto per l'ulteriore dimostrazione che senza la presenza sul territorio e sui luoghi di lavoro di un partito rivoluzionario dotati di suoi propri organismi radicati nella classe e capace di dare le giuste indicazioni politiche anche le lotte più radicali vengono ricondotte immediatamente nell'alveo della conservazione borghese.

In questo quadro è fondamentale, ancor di più che ai tempi di Lenin, ricostruire un moderno partito rivoluzionario che abbia dimensione internazionale capace di praticare il più coe­rente internazionalismo proletario.

Se è vero che la lotta di classe è frutto dell'agire del proletariato, nel moderno capitalismo, pro­prio per la totalizzante dittatura ideologica di cui è succube la nostra classe, la presenza del partito rivoluzionario rappresenta un punto im­prescindibile per far innalzare il livello della lotta di classe fino al livello dello scontro aperto classe contro classe.

Se ai tempi di Lenin il partito, organo perma­nente della classe lavoratrice, poteva avvalersi del sindacato quale trait d'union fra lotta econo­mica e lotta politica, oggi deve necessariamente assumere anche nella lotta immediata una sua fondamentale rilevanza.

Sono questi i motivi che ci inducono a ritenere che senza la presenza di un'organizzata avan­guardia rivoluzionaria anche una eventuale ri­presa della lotta di classe alimentata dall'ina­sprirsi della crisi sia destinata ad abortire e rimanere irretita nelle maglie del dominio ideo­logico e politico della borghesia.

Occorre pertanto operare per ricostruire il par­tito rivoluzionario, un'organizzazione capace di operare sui posti di lavoro e sul territorio, laddove, benché frantumato, è presente il prole­tariato. Un partito capace di legarsi alla classe, non più attraverso la cinghia di trasmissione sindacale, ma attraverso propri strumenti ope­rativi che noi individuiamo nei gruppi di fabbri­ca e nei gruppi territoriali. È attraverso questi strumenti operativi che il partito opera nella classe per porre fin da subito il problema poli­tico del superamento del capitalismo, rappre­sentando nello stesso tempo una sorta di volano della lotta di classe. Insomma: se in passato senza partito rivoluzionario non c'erano le con­dizioni per fare la rivoluzione, oggi questo vale in misura doppia e senza il partito anche un'even­tuale ripresa della lotta di classe difficilmente potrà dare luogo a esperienze come quella del 1905 in Russia o della Comune di Parigi del 1871.

Le probabilità, cioè, che l'eventuale ripresa della lotta di classe possa abortire ancor prima di assumere forme definite e consistenza sono incomparabilmente maggiori che in passato. Sono questi i motivi che impongono all'ordine del giorno la necessità di costruire un moderno partito rivoluzionario capace di saper cogliere la sfida per rilanciare nel nuovo millennio un moderno progetto di società socialista.

Lorenzo Procopio

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.